Ad un passo dal baratro

Quali scenari nel nostro Paese?

Le elezioni anticipate non sono solo una questione politica

In politica, si sa, le smentite valgono come il due coppe a briscola. Dunque, sia chiaro che in questo momento in ballo non c’è la scelta di Berlusconi sulle elezioni anticipate – che vuole a tutti i costi, sapendo che l’azzardo di farle sarebbe più che compensato dall’alto rischio, politico e giudiziario, derivante dal non farle – bensì in quali mani eventualmente finisca il cerino acceso della loro responsabilità. E finora le prescelte, di mani, sono quelle di Fini, con il concorso di Napolitano, della Corte Costituzionale, della magistratura e del “partito di Repubblica”. Perfino le mani di Bossi e della Lega, se sarà necessario. Senza dimenticare, ovviamente, quelle dell’opposizione comunista e giustizialista, che peraltro, come nel caso di Di Pietro e del suo “anti B day”, ce la mettono tutta per favorire i disegni del premier di interruzione della legislatura. Che poi Berlusconi riesca in questo che si presenta come un doppio salto mortale, è tutto da vedere. Ma è certo che la partita è questa, non altre.

E che si tratti di un vero azzardo lo dimostra il fatto che non c’è un esponente del mondo economico e finanziario che uno, anche tra quelli più vicini e fedeli al centro-destra, che sia disposto a spendere una parola non dico di approvazione, ma neppure di comprensione per questa mossa del Cavaliere. Sì, certo, la teoria del complotto fa sempre breccia con una certa facilità. Ma di fronte al dipanarsi della crisi, di cui si comincia a vedere la fine – in molti casi solo a sentirne parlare, per la verità – senza per questo intravedere ancora né il dopo-recessione né tantomeno la ripresa, nessuno se la sente di guardare al ritorno alle urne come una prospettiva seria, neppure come male minore. Ieri lo ha detto un Montezemolo per un momento tornato a fare il presidente della Confindustria vista la latitanza della stessa (“esiste in Parlamento un’ampia maggioranza che ha il diritto e il dovere di governare fino alla fine della legislatura, nessuno comprenderebbe l’esigenza di andare a elezioni anticipate”). Ma chiunque, in privato, ti ripete lo stesso concetto. Anzi, in molti si rifiutano di credere che davvero Berlusconi abbia questo in testa.

D’altra parte, basta vedere le nuove previsioni che l’Ocse ha sfornato ieri per capire come gli operatori economici abbiano il cuore in gola. Perché se da un lato l’organizzazione economica internazionale riconosce che in Italia il miglioramento delle condizioni finanziarie ha aiutato a ricostituire la fiducia e a spingere la domanda interna, nel terzo trimestre dell’anno, dall’altro lato dice chiaro e tondo che “sia il timing sia la forza della ripresa sono incerte”. Inoltre, i numeri dimostrano che la recessione ha sì riguardato tutti, ma non ha affatto cancellato – e come avrebbe potuto senza alcun intervento strutturale? solo in Italia si poteva affermare una bestialità del genere inducendo molti a crederci – le differenze, purtroppo a nostro sfavore, che esistevano prima dello scoppio della crisi. Infatti, secondo l’ultima stima Ocse nel 2009 il pil italiano calerà del 4,8% mentre nel suo insieme l’area dei paesi occidentali perderà il 3,5%. E allo stesso modo, vediamo che per l’anno prossimo e per il 2011 le previsioni relative all’Italia recitano +1,1% e +1,5%, a fronte di una crescita per l’area Ocse rispettivamente dell’1,9% e del 2,5%. Considerato che nell’anno già horribilis 2008 di questi paesi solo l’Italia e il Giappone hanno registrato una contrazione del pil, mentre gli altri sono rimasti a zero o anche di qualcosa sopra, questo significa che il gap che ci ha separato da Europa e Stati Uniti dall’inizio degli anni Novanta continua ad essere strutturale. E siccome a farci compagnia in questa scomoda posizione di ultimi della classe sono stati proprio i nipponici nell’ultimo decennio, ora rischiamo anche di rimanere soli in fondo alla classifica, visto che, esclusi gli emergenti, il paese dove più e meglio hanno reso le politiche anti-recessive è guarda caso il Giappone, che tra luglio e settembre ha portato a casa una crescita dell’1,2% sul trimestre precedente, che fa un +4,8% annualizzato.

Allora, in uno scenario del genere, una maggioranza di governo che ha ottenuto la fiducia con 60 voti di scarto alla Camera e 34 al Senato può davvero pensare di rimandare gli italiani a votare dopo soli 19 mesi di vita (tre mesi meno del disastroso governo Prodi!) senza dover dichiarare il proprio irreversibile fallimento politico? Ed avendo superato il punto di non ritorno nell’evocare le elezioni anticipate, può davvero pensare di tirarsi indietro o ancor peggio andare avanti senza riuscire nell’intento, e non pagare dazio? (Terza Repubblica)

Pubblicato su Il Foglio

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