UN CUMULO DI MACERIE

“Se va avanti così, smaltiamo in 50 anni.” “finora le cose fatte sono del tutto inadeguate.” Parole del prefetto dell’Aquila, Franco Gabrielli, non quelle di uno dei tanti cittadini impazienti… Il sasso nello stagno è di notevoli dimensioni. Anche lo stagno – ce ne siamo resi conto tutti – è di notevoli dimensioni. A situazioni di questa portata si deve rispondere con misure eccezionali. Sono mesi che denunciamo la lentezza di tutta l’operazione: dallo smaltimento delle macerie ai puntellamenti insufficienti e vanamente ricordiamo che l’inverno è alle porte. Abbiamo già perso una gara, quella contro il tempo. Non metereologico, ma il tempo dei fatti. Siamo già in ritardo sul ritardo. Abbiamo tutti la precisa cognizione che a un evento eccezionale si debba rispondere con misure eccezionali. Sono trascorsi sette mesi, 210 giorni circa (per noi che contiamo anche i giorni), una montagna di giorni. Osserviamo e denunciamo soltanto la realtà dei fatti. La Zona Rossa è sempre più rossa di vergogna. Si sbriciolano le case e la pazienza. Pochi gli edifici puntellati, sempre più lontano il momento in cui inizierà la ricostruzione. Siamo qui, in attesa. Ma non abbiamo nessuna intenzione di abbandonare il nostro compito che è quello di presidiare idealmente il centro storico della nostra città. Vogliamo che la nostra città sia curata, come si fa con i malati gravi: velocemente, prendendo decisioni rapide, riunendo tutte le varie Autorità preposte. Non vogliamo pagare sulla nostra pelle i ritardi dei veti incrociati, quelle dei consigli o degli organi che non si riuniscono. Pretendiamo che il bene comune (la ricostruzione della nostra città) sia più forte dell’interesse dei singoli, delle loro rivalità, delle loro idiosincrasie politiche o personali. Noi siamo in guerra contro un nemico invisibile che ci ha cacciato via dalle nostre case, dai nostri luoghi e in parte anche dalla nostra vita. Siamo in guerra da mesi: con gli elmetti gialli sulla testa abbiamo affrontato la paura, siamo entrati nelle nostre case più o meno distrutte, li abbiamo portati con orgoglio nelle manifestazioni. Anche se non li vedete, li indossiamo ogni giorno, per non farci troppo male, per andare avanti: perché continuiamo a sperare che, un giorno non troppo lontano, questa guerra finisca. Solo allora li appenderemo agli ingressi delle nostre case come si fa con un cappello di lana quando l’inverno è passato.
Patrizia Tocci
patrizia.tocci@email.it
Associazione UN CENTRO STORICO DA SALVARE

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