On. Maurizio Fugatti (Lega Nord)
Per sapere – premesso che:
il pagamento del canone di abbonamento, istituito con regio decreto n. 246 del 1938 quando ancora non esisteva la televisione, è dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive, indipendentemente dai programmi ricevuti, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale del 2002, che ha riconosciuto la sua natura sostanziale d'imposta, per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato; si tratta di una imposta antiquata e iniqua, che non ha alcun motivo di esistere anche in virtù del maggiore pluralismo indotto dall'ingresso sul mercato di nuovi editori e dall'apporto delle nuove tecnologie (DTT, DDT, DVbh, TV satellitare, ADSL, WI-FI, cavo e analogico); il canone è un'imposta ingiusta; territorialmente e socialmente, territorialmente, in quanto mentre nel Nord del Paese il mancato pagamento si attesta al 5 per cento, nel Meridione oscilla tra il 30 e il 50 per cento; è un'imposta socialmente iniqua, in quanto colpisce tutte le fasce di reddito, comprese le più deboli nonostante che il comma 132, articolo 1, della legge finanziaria per il 2008, come modificato dal decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, preveda, a decorrere dall'anno 2008, per i soggetti di età pari o superiore a 75 anni e con un reddito proprio e del coniuge non superiore complessivamente a euro 516,46 per tredici mensilità, senza conviventi, l'abolizione del pagamento del canone RAI esclusivamente per l'apparecchio televisivo ubicato nel luogo di residenza; vanno altresì considerate le recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio e del Viceministro dello sviluppo economico -:
se non ravvisi l'opportunità di assumere iniziative normative volte ad abolire il canone di abbonamento alla televisione, nonché la relativa tassa di concessione governativa, definendo una forma alternativa di finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo secondo criteri di equità, efficacia ed appropriatezza.