Relazioni italo-svizzere in crisi ma non in pericolo

Son volate parole grosse su questa vicenda, ma sulle parole a caldo va fatta sempre la tara. Il governo federale ha dovuto reagire «duramente» nei confronti dell’Italia soprattutto per stemperare le voci molto più critiche degli ambienti bancari e politici ticinesi. Con quanta convinzione l’ha fatto non è dato sapere.
Leggendo tra le righe la reazione del Presidente della Confederazione Hans-Rudolf Merz sulla interruzione delle trattative per un nuovo accordo sulla doppia imposizione fiscale si capisce bene che non c’è nessuna intenzione seria di abbandonare il dialogo con l’Italia. Ed è stato forse un lapsus terminologico che il Consigliere federale ora pensionato, Pascal Couchepin, abbia qualificato come «razzia» un’ispezione legittima nelle filiali di banche svizzere in Italia da parte degli agenti della Guardia di finanza. La razzia la compiono infatti i ladri, non i derubati. Inoltre, lo scudo fiscale concerne unicamente i cittadini italiani che detengono «illegalmente» capitali all’estero senza dichiararli al fisco italiano. Le banche e le istituzioni svizzere ne sono coinvolte solo indirettamente.
Sta di fatto che il clima nei rapporti italo-svizzeri si è un po’ raggelato ed è obiettivamente un peccato, anche se non mortale. Per evitare che gli stessi rapporti si deteriorino è necessario riprendere il dialogo.
Dialogo necessario
La ripresa del dialogo è non solo necessaria ma urgente. Si tratta anzitutto di abbandonare i toni minacciosi da entrambe le parti e trovare a tavolino soluzioni concrete e accettabili ai vari problemi sul tappeto, compreso quello riguardante l’evasione fiscale. E’ vero infatti che è un problema interno italiano, ma è anche un po’ svizzero, perché in una convivenza pacifica tra Stati non si deve nemmeno dare l’impressione che uno favorisca anche solo indirettamente atti delittuosi commessi nell’altro.
Per questo è necessario e urgente che si chiariscano le posizioni. L’Italia e il ministro Tremonti devono chiarire fin dove vogliono spingersi, perché se è legittima l’applicazione della legge italiana che mira a colpire l’evasione fiscale, le operazioni al riguardo vanno fatte nel rispetto delle convenzioni (anche quelle non scritte) internazionali. Anche la Svizzera, tuttavia, deve chiarire quale comportamento intende seguire per evitare di continuare ad apparire un «paradiso fiscale». Per liberarsi definitivamente da questa accusa (oggi in gran parte ingiustificata) dovrebbe mostrarsi più collaborativa con l’Italia intenzionata a snidare gli evasori fiscali che pensano di farla franca sapendo che in Svizzera vige il «segreto bancario».
Con questo non voglio certo dire che i metodi poco diplomatici (per usare un eufemismo) adoperati da Tremonti rappresentino il massimo del rispetto che si deve portare ad un Paese amico con cui la collaborazione più che un obbligo è una necessità. E dispiace che la vertenza in atto rischi di ripercuotersi sulle relazioni quotidiane tra svizzeri e italiani. Forse Tremonti, pensando allo scudo fiscale, si è dimenticato che in Svizzera vive una numerosa collettività italiana che qui ormai ha messo le proprie radici e ha sposato serenamente due anime, due patrie e due culture in una convivenza pacifica e senza ostacoli. Perché mettere in pericolo questa convivenza tranquilla?
Mi auguro che il ministro Tremonti faccia tesoro di questo «incidente» e si renda conto che se a lui interessano soprattutto i soldi degli evasori, ai cittadini italiani che vivono in Svizzera interessa soprattutto una leale ed efficace collaborazione tra i due Paesi. Se lo scopo è quello di far emergere il molto denaro sottratto al fisco italiano e giacente nei forzieri svizzeri, sarebbe stato sicuramente preferibile chiedere aiuto al governo federale piuttosto che mettersi a fotografare le macchine che varcano la frontiera e quant’altro o far vedere «chi siamo noi» sguinzagliando centinaia di agenti della guardia di finanza alla caccia dell’evasore che porta i soldi in Svizzera.
Relazioni italo-svizzere in pericolo?
Non credo che in una trattativa seria, soprattutto oggi, la Svizzera avrebbe negato la collaborazione, tanto più che ormai ha rinunciato all’assolutezza del segreto bancario e, dopo gli attacchi di Stati Uniti, Germania, Francia e Gran Bretagna, è disponibile a fornire assistenza amministrativa ai Paesi che la richiedono per combattere anche l’evasione fiscale oltre alla frode fiscale. Del resto, la Svizzera sa bene che con i vicini è più conveniente mantenere stretti legami che rapporti conflittuali.
Ha scritto l’on. Narducci, del Partito democratico contrario allo scudo fiscale, che a causa di questa controversia «i rapporti tra la Svizzera e l’Italia hanno verosimilmente toccato il punto di tensione massimo e a giudicare dalle posizioni assunte dai rispettivi governi pare piuttosto difficile un ritorno alla normalità in tempi relativamente brevi». Mi pare un’interpretazione pessimistica della realtà. Condivido piuttosto l’ottimismo dell’ambasciatore Giuseppe Deodato che qualifica ancora i rapporti bilaterali «straordinari», ma condivido soprattutto l’atteggiamento della Consigliera federale Doris Leuthard, che sulla vicenda ha usato toni più concilianti, già prima della sua visita di ieri a Roma, affermando che con l’Italia «bisogna dialogare». Lo ha ribadito ieri di fronte al ministro Scajola, anche se ha posto come condizione per la ripresa del dialogo che l’Italia cancelli la Svizzera dalla lista nera dei Paesi che considera «paradisi fiscali». Ed è un buon segno che entrambi i ministri abbiano sottolineato la reciproca volontà di «incrementare la cooperazione economico-commerciale e di proseguire il dialogo per superare le difficoltà emerse nelle ultime settimane».
La via del dialogo è dunque da prendere seriamente in considerazione da entrambe le parti anche perché gli interessi comuni sono enormi. Basti pensare che l’interscambio Svizzera-Italia sta andando a gonfie vele (25,7 miliardi di euro nel 2008) e l’Italia è il secondo partner commerciale europeo della Svizzera dopo la Germania. La collettività italiana è ancora quella straniera più consistente e più radica sul territorio. Gli interessi in gioco sono davvero enormi, non solo economici, e non si può stare a tergiversare sul da farsi.
Sono 148 anni che l’Italia e la Svizzera vivono rapporti non solo di buon vicinato ma di intenso scambio e di profonda amicizia. Quei soldi frodati al fisco italiano, e che devono essere riportati alla legalità, non possono essere considerati ragione sufficiente per interrompere un’ottima relazione che esiste sostanzialmente invariata da quando esiste la Confederazione e da quando esiste l’Italia unita.
Nella lunga storia dei rapporti italo-svizzeri, gli incidenti diplomatici si contano forse sulle dita di una mano. Ci fu solo un caso di rottura (all’inizio del secolo scorso col famoso affare Silvestrelli) ed ebbe origine probabilmente da una reciproca incomprensione e dal non rispetto delle rispettive competenze. Gli altri episodi critici, durante il periodo fascista e negli anni della forte immigrazione italiana in Svizzera furono superati con i tradizionali scambi di note diplomatiche e la rimozione di qualche personaggio poco gradito.
Nessun episodio fu veramente grave, nemmeno quando sotto la cenere covavano grandi paure più che rancori e ogni Paese cercava di proteggersi da eventuali rischi con fortificazioni, piani d’invasione e piani di difesa. Storicamente l’arma più efficace si è sempre dimostrata il dialogo e la collaborazione. Lo sarà, ne sono convinto, anche in questa occasione. L’incontro Leuthard-Scajola di ieri è stato il primo passo e un ottimo segnale.
Giovanni Longu
Berna, 6.11.2009

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