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L’on. Narducci fa dell’informazione o disinformazione?

Apprendo dalle agenzie di stampa che l’on. Narducci, insieme ad altri, è intervenuto nei giorni scorsi sul tema dello scudo fiscale, in particolare riguardo alla sua applicabilità ai frontalieri ed ex frontalieri italiani. Si dice allarmato perché, a suo dire, «lo scudo fiscale minaccia il lavoro transfrontaliero».
Non nascondo che il cosiddetto «scudo fiscale» è una misura non priva di insidie e del resto ha sollevato numerosi problemi in sede parlamentare sia sul piano giuridico che su quello etico. E’ difficile, ad esempio, negare che si tratta in qualche modo dell’ennesimo condono tributario o di un’amnistia mascherata, e che a beneficiarne possano essere anche autentici criminali di riciclaggio. E’ anche difficile non osservare che questa legge potrebbe violare il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge per il fatto che i capitali rientrati, dopo essere stati evasi per anni, sarebbero sottoposti addirittura in maniera anonima ad una tassa solo del 5%, mentre chi paga le tasse regolarmente per intero è spesso tartassato (talvolta con un’imposizione sopra il 30-40-50 per cento).
Personalmente, tenuto conto della particolare difficoltà di cassa dello Stato italiano e delle buone intenzioni del governo (far emergere capitali nascosti illegalmente), ritengo lo scudo fiscale una misura politicamente difendibile e nel complesso ragionevole. Sta di fatto che ora è divenuta legge dello Stato e come tale va osservata, da tutti coloro per i quali è stata adottata, ossia cittadini residenti in Italia che detengono «illegalmente» (secondo la legge italiana) capitali all’estero.
Fatta queste doverose premesse, mi sorprende l’argomentazione dell’on. Narducci che vorrebbe «esonerare i frontalieri [e gli ex-frontalieri] sia dallo scudo che dal monitoraggio fiscale», nonostante siano considerati per la legge italiana residenti in Italia. E non vedo come un parlamentare serio possa sostenere che questa legge «colpisce in modo deplorevole un rilevante numero di cittadini». La legge mira infatti a colpire gli evasori fiscali che hanno portato o detengono illegalmente i loro capitali all’estero e, per fortuna, non distingue tra evasori buoni ed evasori cattivi. Nessun cittadino in regola con la legge fiscale italiana dovrebbe subire alcun danno dallo scudo fiscale.
Riguardo ai frontalieri italiani che lavorano soprattutto nel Cantone Ticino, trovo francamente incomprensibile che l’on. Narducci cerchi di sottrarli a un preciso dovere fiscale (ai sensi del diritto italiano), ritenendo giustificato che possano mantenere in Svizzera i loro conti, «anche ad attività lavorativa terminata», senza dichiararli al fisco italiano, per il semplice fatto ch’essi servono a «custodire i risparmi messi faticosamente da parte». Se questa giustificazione valesse per i frontalieri dovrebbe valere anche per tutti coloro che avendo soggiornato per qualche tempo in Svizzera detengono qui magari ingenti capitali senza che il fisco italiano, a cui vanno comunque dichiarati tutti i redditi ovunque percepiti dai residenti, ne sappia nulla. E poi, come si fa a sapere che qualche titolare di questi conti non sia (stato) un semplice prestanome?
Eppure anche Narducci riconosce che «la lotta all’evasione e agli illeciti finanziari è sacrosanta». Capisco che nella stragrande maggioranza dei frontalieri ed ex frontalieri si tratta di persone modeste «che hanno regolarmente pagato le tasse in Svizzera» e non di «persone che hanno trovato rifugio nei paradisi fiscali», ma come si fa a distinguere le une dalle altre se né le une né le altre dichiarano al fisco italiano quanto possiedono all’estero? E come si può escludere a priori che anche nella prima categoria ci siano degli autentici evasori? Non sarebbe meglio per tutti che le leggi vengano osservate da tutti, senza eccezione?
Quanto ai pericoli evocati per il lavoro transfrontaliero e le minacce di ritorsione da parte del Ticino e della Svizzera, andrebbe ricordato che nemmeno gli svizzeri negano che ingenti capitali depositati nelle banche svizzere sono stati evasi al fisco italiano e che, se rientrassero in misura notevole a seguito dello scudo, ne risentirebbe un danno non indifferente per la piazza finanziaria ticinese. E’ comprensibile che questo terzo scudo dia fastidio a parecchi banchieri e politici ticinesi, ma per quanto sgradevole nemmeno loro lo ritengono illegittimo.
All’on. Narducci, ma in generale a tutto il Parlamento italiano, mi permetterei di rivolgere l’invito intanto ad augurarsi che il terzo scudo di Tremonti porti alle casse vuote dello Stato più denaro dei precedenti, ma soprattutto a battersi non genericamente contro l’evasione fiscale, ma attivamente per abbattere la pressione fiscale che in Italia è da decenni una forte tentazione di evasione.
Diversamente, si continuerà a leggere, ad esempio sulla stampa svizzera, che tanto «i capitali continueranno a scappare dall’Italia». E questo francamente dispiace.
Giovanni Longu, Berna

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