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La presenza italiana in Venezuela alla fine del XIX secolo e nei primi decenni del XX

La presenza italiana in Venezuela alla fine del XIX secolo e nei primi
decenni del XX, se paragonata a quella in altre nazioni, non era delle più
cospicue. Antonella De Bonis ci presenta a puntate il lavoro del Dott.
Lorenzo D. Belardo, autore della tesi.

La politica immigratoria del Venezuela e la presenza italiana nel paese.

Capitolo 1 La presenza italiana in Venezuela alla fine del XIX secolo e nei
primi decenni del XX, se paragonata a quella in altre nazioni, non era delle
più cospicue: le statistiche riportano che all'inizio del '900 essa
raggiungeva appena le tremila persone, mentre il Brasile e l'Argentina già
supponevano le trentamila presenze di italiani.

L'Italia era immersa nella povertà e nella guerra civile, il Venezuela visse
un XIX secolo caratterizzato da sommosse politiche e da guerriglia. Fin dai
primi anni d'indipendenza (luglio1811), i governi argentini si erano resi
ben presto conto della necessità di popolare quel vasto territorio mediante
l'immigrazione europea. Sappiamo che nel 1813 Simon Bolivar invitava “gli
stranieri di qualunque nazionalitá e professione a stabilirsi in queste
regioni”, per i quali il governo dell'epoca avrebbe garantito loro
sicuerezza personale e proprietá.

Nel 1830 il problema dell'immigrazione era una questione di vita o di morte
per il paese; infatti una amplia legislazione datata 1823-1936, serví a
stimolare l'arrivo degl immigrati e a spronarli a far patria comune con i
venezuelani. Infatti giá dal ´23 agli immigrati si offrivano titoli di
proprietá su terre ociosas y sin cultivo, la quale consisteva in una carta
di naturalizzazione ed esenzione dalle imposte per un periodo di dieci anni
nell'arco di cento.

A prescindere dal rallentamento di tale propaganda che si riscontró durante
la dittatura di Vicente Gomez, continuava a sopravvivere l'invito
all'immigrati di far patria comune con il venezuelano. È ad ogni modo
fondamentale ricordare che ancora nel 1838 in Venezuela si moriva di
malattie tropicali quali la malaria, la febbre giala, il tifo, la
dissenteria, la tubercolosi, la sifilide, la polmonite che falcidavano la
giá esigua e inerme popolazione.
In sostanza, il Venezuela non si presentava come un paese ospitale e sicuro
per gli emigrati, sia per le condizioni ambientali, che per le continue
lotte tra fazioni e caudillos e sia per l'alternarsi di epoche di crisi con
altre di abbondanza: tutte condizioni che rendevano incerto l'avvenire per
chi cercava una nuova terra dove stabilirsi definitivamente. La popolazione
continuava ad essere scarsa rispetto all'estenzionde del territorio, con una
crescita lenta e inferiore rispetto agli altri paesi del continente
americano e persino di quello europeo.
Da qui, risulta interessante notare come tra il '21 e il '36 vennero emessi
ben 23 decreti e leggi ad incrementare l'immigrazione, ma ogni tentativo si
piegó di fronte a quei fattori che il nostro autore (1) riassume
nell'incuria del governo dell'epoca e della debolezza di quelle finanze
pubbliche: le già esigue colonie, declinavano rapidamente per via dei
pessimi raccolti e per le malattie che non risparmiava la popolazione
straniera.
Tra queste, vi erano ridotti nuclei di italiani che erano emigrati a catena
(2) e la cui provenienza risale prevalentemente dalla Liguria e dall'Isola
D'Elba, le quali già da tempo commerciavano via mare con i paesi “d'oltre
oceano”.
Tra il 1840 e il 1870 le colonie italiane, pur ancora poco numerose,
raggiunsero uno sviluppo economico notevole, tanto che gli italiani
assunsero il monopolio del commercio nelle zone di stanziamento, che
all'epoca corrispondevano prevalentemente quelle andine. La corrente
migratoria cessò in seguito alla guerra civile in Venezuela e gli emigrati
ripresero la via dell' Argentina e del Brasile. Seguirono le invitanti
promozioni del governo di Guzman Blanco, il quale s'impegnava a pagare il
viaggio e ad offrire sussidi durante i primi tempi di permanenza; nel 1874
egli garantiva la libertà religiosa e d'insegnamento, con notevoli sconti
sulle imposte. Era stata addirittura creata la Direzione Generale
dell'Immigrazione (Dirección General de Immigración), con l'obiettivo di
assicurare agli immigrati un'adeguata occupazione. Il ritmo
dell'immigrazione continuava ad altalenare, ma ció nonostante la presenza
delgi italiani in Venezuela rimase inferiore rispetto a quella diretta verso
il Brasile e l'Argentina.
Tuttavia, una maggiore presenza italiana si registró tra l'inizio del secolo
XX e il primo conflitto mondiale: in quegli anni, infatti, l'esodo
dall'Italia stava assumendo le sembianze di una fuga di massa, interessando
anche al Venezuela.
Durante il periodo del dopoguerra, gli Stati Uniti intervennero con
restrizioni all'immigrazione, quali il Liberacy Act del 1921 e, per via
della situazione delle mete giá note, si inizió in Italia una qualche
campagna a sostegno di un'emigrazione transoceanica diretta al Venezuela.
Infatti, risulta che l'incaricato d'Affari Italiani Ubaldo Chiara, nel
rapporto datato 25 maggio 1921, indirizzato al ministro degli esteri Sforza,
sottolineava che: “Nei riguardi della nostra emigrazione S.E.Itriago Chacin,
mi dichiarò che il suo governo avrebbe appoggiato le correnti migratorie
italiane che si fossero orientate verso il Venezuela dove troppi sono i
terreni incolti e disabitati”. Affermava, inoltre, che il paese avesse
bisogno di molti lavoratori stranieri e che fra tutti l'esperienza
consigliava di preferire gli italiani.
Ad ogni modo, ancora negli anni '20, in Venezuela non era stato risolto il
problema della scarsa popolazione. A tal proposito, ci sembra interessante
riportare la lettura di l'intervista che nel 1923, Emilio Curatolo del
> di Roma, fece ad Antonio J.Tagliaferro. L'intervista,
pubblicata in Venezuela, viene riproposta anche sul quotidiano romano nel
quadro di quella politica di informazione che si cercava di portare avanti
nel tentativo di aprire nuovi sbocchi alla nostra emigrazione. Tagliaferro
afferma: “Per clima e per posizione geografica, il Venezuela rappresenta la
meta più opportuna per gli emigrati italiani. Le sue enormi risorse agricole
e minerarie e la grande disponibilità di terre, ne fanno il luogo ideale per
impiantare nuove attività e per prosperare”. L'intervistato continuava cosí:
“Secondo il censimento del 1923, in Venezuela vivono 5.000 italiani; tutti
godono di un ottimo tenore di vita e in moltissimi si sono arricchiti
durante la guerra. Con la Legge de Inmigración del 1921, il Venezuela ha
propiziato gli arrivi, concedendo grosse estensioni di terra col solo
obbligo dell'impegno a coltivarle; inoltre, il governo offre crediti per
l'acquisto di concimi e sementi”.
Tagliaferro continua citando l'esempio di grande civiltà offerto dal paese
sudamericano nel quale gli immigrati trovano, al loro arrivo al porto de La
Guaira, delle strutture di accoglienza che potevano ospitarli dal momento
del loro sbarco, fino alla partenza verso le altre destinazioni all'interno
del paese. Ció che a Tagliaferro sembrava fondamentale, era che anche il
governo italiano si assuemsse una parte delle spese, finanziando almeno i
viaggi degli emigrati. La visione ottimistica di Tagliaferro non ebbe grandi
riscontri nella realtà: con la scoperta di nuovi giacimenti di petrolio
portati alla luce il 14 dicembre 1926, il Venezuela cessava di essere una
nazione agro-pecuaria e quindi cessava l'interesse ad incrementare
l'immigrazione di persone addette all' agricoltura.
Quindi l'immigrazione delle prime decadi del XX secolo, venne lasciata ad
una crescita spontanea.
Si verificò un'ulteriore fase di rallentamento dovuto in Italia
all'incertezza che precedette e seguí la prima guerra e in Venezuela, al
lungo ristagno della non – politica gomecista, durante la quale non ci fu
interesse nell'investire la manodopera straniera a favore dello sviluppo del
paese. Si ritiene infatti che Gomez non fu in grado di valutare
appropriatamente la portata storica del grave problema legato allo
spopolamento. La posizione del Presidente pare fosse influenzata dal fatto
che rispetto all'immigrazione italiana, la principale quota di stranieri era
rappresentata dal personale delle compagnie americane e inglesi, cioè
maestranze inviate da quei paesi con compiti specifici e temporanei. Secondo
lo storico Ramon J.Velasquez, “Gomez era piú che altro un proviciale che
temeva la presenza dello straniero, chiunque fosse. Visse in regioni molto
isolate dove lo straniero rappresentava un motivo di inquietudine. Fino ai
quaranta anni, visse solo con parenti e amici dei villaggi vicini. Inoltre
in quell'epoca si guardava con sospetto chiunque non parlasse castigliano o
non professasse la religione cattolica”. Ma c'è un altro elemento di non
trascurabile importanza da segnalare, secondo chi scrive, un elemento che
riporta a fatti di portata sociale e politica che avevano profondamente
turbato l'opinione pubblica mondiale. A questo proposito, lo storico Gustavo
D'Ascoli scrisse: “Intorno al caso di Sacco e Vanzetti” (3) , si produsse
un'agitazione delle masse: il proletariato sollevò senza precedenti il
proprio grido di protesta contro quella barbarie commessa; le manifestazioni
a sostegno dei condannati adunavano decine di migliaia di persone in ogni
parte del mondo. L'intero continente americano ribolliva; le manifestazioni
e i cortei tennero per anni viva l'attenzione sul caso”. Secondo D'Ascoli il
processo agli anarchici italiani scosse l'intero sistema politico americano.
Aggiunse l'autore: “Anche in Venezuela, nonostante la censura e il regime
dittatoriale, arrivano le notizie sul caso, sia sui giornali governativi a
tendenza gomecista come >, sia in quelli oppositivi, come
lo fu >. Tutti questi avvenimenti ebbero ripercussione nella
vita politica del paese e condizionarono molte decisioni”.
Si noti come motivazioni psicologiche e politiche, impedirono un
considerevole afflusso di manodopera italiana; quanto al suggerimento di
Tagliaferro riportato nell' intervista, l'Italia non fu capace di inserirsi
nel campo di quelle concessioni petrolifere, il cui sfruttamento fu lasciato
al monopolio delle grandi compagnie nordamericane.

Nel 1931 vediamo come il 97% della popolazione venezuelana fosse
rappresentata dalle ex colonie di schiavi afro – discendenti; con il governo
parlamentare di Lopez Contreras, si ritornó ad una politica che fosse a
sostegno dell'immigrazione, ma le perplessità nei confronti
dell'immigrazione di massa non erano estinte: il terrore venezuelano di una
immigrazione che non fosse rigorosamente selezionata, era sintomo di una
mentalità debole, che vede in ogni estraneo un pericolo o un alfiere
dell'imperialismo.

Sia pure limitata dai timori di infiltrazioni di persone e di dottrine
destabilizzanti, la politica migratoria di Contreras si distinse tuttavia
per il valore positivo con cui si guarda all'emigrato europeo; come già
avevano intuito i primi governanti, a cominciare dal libertador Simon
Bolivar, l'immigrato non solo rappresenta ora un contributo enorme alla
soluzione dell'antico problema della carenza di popolazione, ma a lui viene
riconosciuto un nuovo valore come fonte di insegnamento; l'immigrato può
contribuire alla formazione e alla qualificazione della manodopera
venezuelana, può costituire la spinta e l'impulso alla modernizzazione del
paese. Contreras aveva compreso insomma il ruolo dell'immigrazione come
fonte di trasmissione di esperienza: lo scambio di idee e costumi avrebbe
contribuito a migliorare e sviluppare la qualità di vita dei venezuelani.
Per questo motivo la Legge del 1936 rappresentó, sia pure con le limitazioni
accennate, una svolta nella politica d'immigrazione: il governo voleva
dimostrare il proprio carattere democratico applicando una maggiore libertà
per l'ingresso e per la permanenza degli stranieri nella Repubblica.
Nonostante la nuova Legge, la consistenza numerica degli italiani caló, però
la loro attività ebbe grandissima influenza in ogni campo della vita
venezuelana: infatti risulta che gli italiani insegnarono come si costruisce
una patria e come si deve lavorare. Essi insegnano dal come pulire le scarpe
a come tagliare le carni; i barbieri italiani sono stati i nostri maestri in
questo mestiere. L'agricoltore italiano applica nei terreni delle regioni
orientali o preandine gli stessi metodi appresi nelle regioni italiane di
provenienza in secoli di esperienza: appaiono i primi limoni, i primi
vigneti, i campi di caffé, abbandonati dai coloni spagnoli, tornano a nuova
vita e il grano comincia ad essere addirittura esportato. Questo nuovo ruolo
degli emigrati italiani, che cominció a delinearsi mentre in Italia prendeva
piede il fascismo: secondo il fascista attivista Caiani, gli italiani che
emigrano negli anni '30, rappresentarono una parte qualificata della
popolazione, perché il fascismo stava per così dire investendo nella
preparazione dell'emigrante, per evitare di inviare all'estero una massa
bruta che sarebbe servita e si sarebbe piegata alla necessità del bisogno,
alle esigenze dell'imprenditore straniero; chi scrive aggiunge, come succede
invece nel caso dell'immigrazione attuale, che incontra tuttavia gli stessi
imprenditori “stranieri”, privi di etica ed evasori dei regolamenti che sono
previsti dal codice della tutela del lavoratore.
Ad ogni modo, l'Italia era un paese di agricoltori che non sarebbe stato
facile aggiornare alla tecnica dei livelli dei paesi anglofoni. Infatti, nel
1941, alcuni continuavano le attività e i mestieri che avevano esercitato in
Italia, altri alternavano il lavoro nei campi con l'allevamento di bestiame,
giungendo a diventare proprietari di prospere aziende.
Durante gli anni del secondo conflitto, l'emigrazione rimase praticamente
paralizzata a causa degli eventi bellici, per la pericolosità dei viaggi
attraverso l'oceano e per la limitata disponibilitá di mezzi di trasporto.
Infatti, pare che molti governi, sia pure favorevoli in linea di principio
all'emigrazione, avessero limitato gli ingressi di persone i cui paesi erano
coinvolti nel conflitto.
Ad ogni modo, il nostro autore ebbe modo di ricercare dei riscontri degli
esiti di quegli italiani che ebbero modo di affermarsi brillantemente nel
paese sudamericano; ad esempio troviamo il savonese Andrea Ferro, che
divenne uno dei più grandi allevatori di bestiame, con una hacienda tra le
più moderne a San Fernando de Apure; o come il siciliano Calogero Paparoni
che, partito sedicenne per il Venezuela, divenne ben presto abilissimo uomo
d'affari, allargò la sua attività all'agricoltura impiegando le migliori
macchine nelle tre fattorie di sua proprietà: >, >,
>.
Per concludere questo capitolo sulla presenza italiana in Venezuela, pare
opportuno citare le parole di due studiosi venezuelani. Il primo é Eddo
Palesal che nel suo saggio del 1992 afferma: “La presenza italiana, nei più
lontani angoli dell'immenso paese, é stato il principale motore delle
trasformazioni socio-economiche di villaggi e città, con mutuo beneficio di
entrambe le parti”.
Il secondo é Raphael Pineda, il quale nel suo saggio >,
riprende un articolo del quotidiano caraqueño > del 13 ottobre
1957: “Indubbiamente l'italiano ha contribuito, qui come in Argentina o
negli Stati Uniti, alla presente grandezza.Vera ape lavoratrice, i risultati
del suo lavoro sono evidenti in tutti i rami dell'attività nazionale,
specialmente in quello dell'edilizia. Intere urbanizzazioni piene di
eleganza mostrano a Caracas e altrove lo spirito e la volontà dei
concittadini di Dante Alighieri. Intellettualmente l'italiano ha pure
provato la sua capacità in tutti i campi artistici e scientifici”.
La saggista Marisa Vannini, riassume infine quello che fu l' apporto degli
italiani nella costruzione della nazione venezuelana: “Gli immigrati
italiani penetrarono profondamente la nazione venezuelana. Numericamente
scarsi, la loro importanza e influenza sono dovute ai loro grandi meriti
morali e sociali, alla loro volontà di rimanere nel paese e al modo col
quale si sparsero in ogni punto del territorio, contribuendo non solo a
popolarlo, ma aprendo il cammino verso le zone di più difficile accesso”.
Nell'opera di Aliprandi sono citate le famiglie Braschi, Ulivi, Pigna,
Tattoni, Roversi, Yallonardo, Lemmo, Boccardo, Vanzina, Saturno, Paparoni,
Bortone e molte altre. Si tratta di imprenditori e commercianti arrivati già
alla seconda generazione, i cui genitori si erano stabiliti nel paese negli
ultimi decenni dell'Ottocento o ai primi del Novecento, vale a dire con
quella che viene definita “la prima ondata migratoria”.

Antonella De Bonis
Portale dei Lombardi nel Mondo

Note al testo:

1- Dott. Lorenzo D. Belardo, autore della tesi di laurea validata presso
l'Universitá La Sapienza di Roma, Facoltá di Scienze Politiche, durante
l'anno 1996.

2 – Chi scrive, definisce “A catena” quella forma di migrazione che si
verifica attraverso le chiamate tra parenti.

3 – Sacco e Vanzetti,anarchici italiani emigrati negli USA furono i
protagonisti nel 1921 di uno dei più clamorosi casi giudiziari e di
xenofobia del secolo. Accusati di omicidio a scopo di rapina,non ostante le
innumerevoli prove a discolpa e la confessione di uno dei veri colpevoli
furono condannati a morte da un tribunale del Massachusetts e giustiziati

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La politica immigratoria del Venezuela e la presenza italiana nel paese. Capitolo 1 La presenza italiana in Venezuela alla fine del XIX secolo e nei primi decenni del XX, se paragonata a quella in altre nazioni, non era delle più cospicue: le statistiche riportano che all'inizio del '900 essa raggiungeva appena le tremila persone, mentre il Brasile e l'Argentina già supponevano le trentamila presenze di italiani.

L'Italia era immersa nella povertà e nella guerra civile, il Venezuela visse un XIX secolo caratterizzato da sommosse politiche e da guerriglia. Fin dai primi anni d'indipendenza (luglio1811), i governi argentini si erano resi ben presto conto della necessità di popolare quel vasto territorio mediante l'immigrazione europea. Sappiamo che nel 1813 Simon Bolivar invitava “gli stranieri di qualunque nazionalitá e professione a stabilirsi in queste regioni”, per i quali il governo dell'epoca avrebbe garantito loro sicuerezza personale e proprietá.

Nel 1830 il problema dell'immigrazione era una questione di vita o di morte per il paese; infatti una amplia legislazione datata 1823-1936, serví a stimolare l'arrivo degl immigrati e a spronarli a far patria comune con i venezuelani. Infatti giá dal ´23 agli immigrati si offrivano titoli di proprietá su terre ociosas y sin cultivo, la quale consisteva in una carta di naturalizzazione ed esenzione dalle imposte per un periodo di dieci anni nell'arco di cento.

A prescindere dal rallentamento di tale propaganda che si riscontró durante la dittatura di Vicente Gomez, continuava a sopravvivere l'invito all'immigrati di far patria comune con il venezuelano. È ad ogni modo fondamentale ricordare che ancora nel 1838 in Venezuela si moriva di malattie tropicali quali la malaria, la febbre giala, il tifo, la dissenteria, la tubercolosi, la sifilide, la polmonite che falcidavano la giá esigua e inerme popolazione.
In sostanza, il Venezuela non si presentava come un paese ospitale e sicuro per gli emigrati, sia per le condizioni ambientali, che per le continue lotte tra fazioni e caudillos e sia per l'alternarsi di epoche di crisi con altre di abbondanza: tutte condizioni che rendevano incerto l'avvenire per chi cercava una nuova terra dove stabilirsi definitivamente. La popolazione continuava ad essere scarsa rispetto all'estenzionde del territorio, con una crescita lenta e inferiore rispetto agli altri paesi del continente americano e persino di quello europeo.
Da qui, risulta interessante notare come tra il '21 e il '36 vennero emessi ben 23 decreti e leggi ad incrementare l'immigrazione, ma ogni tentativo si piegó di fronte a quei fattori che il nostro autore (1) riassume nell'incuria del governo dell'epoca e della debolezza di quelle finanze pubbliche: le già esigue colonie, declinavano rapidamente per via dei pessimi raccolti e per le malattie che non risparmiava la popolazione straniera.
Tra queste, vi erano ridotti nuclei di italiani che erano emigrati a catena (2) e la cui provenienza risale prevalentemente dalla Liguria e dall'Isola D'Elba, le quali già da tempo commerciavano via mare con i paesi “d'oltre oceano”.
Tra il 1840 e il 1870 le colonie italiane, pur ancora poco numerose, raggiunsero uno sviluppo economico notevole, tanto che gli italiani assunsero il monopolio del commercio nelle zone di stanziamento, che all'epoca corrispondevano prevalentemente quelle andine. La corrente migratoria cessò in seguito alla guerra civile in Venezuela e gli emigrati ripresero la via dell' Argentina e del Brasile. Seguirono le invitanti promozioni del governo di Guzman Blanco, il quale s'impegnava a pagare il viaggio e ad offrire sussidi durante i primi tempi di permanenza; nel 1874 egli garantiva la libertà religiosa e d'insegnamento, con notevoli sconti sulle imposte. Era stata addirittura creata la Direzione Generale dell'Immigrazione (Dirección General de Immigración), con l'obiettivo di assicurare agli immigrati un'adeguata occupazione. Il ritmo dell'immigrazione continuava ad altalenare, ma ció nonostante la presenza delgi italiani in Venezuela rimase inferiore rispetto a quella diretta verso il Brasile e l'Argentina.
Tuttavia, una maggiore presenza italiana si registró tra l'inizio del secolo XX e il primo conflitto mondiale: in quegli anni, infatti, l'esodo dall'Italia stava assumendo le sembianze di una fuga di massa, interessando anche al Venezuela.
Durante il periodo del dopoguerra, gli Stati Uniti intervennero con restrizioni all'immigrazione, quali il Liberacy Act del 1921 e, per via della situazione delle mete giá note, si inizió in Italia una qualche campagna a sostegno di un'emigrazione transoceanica diretta al Venezuela. Infatti, risulta che l'incaricato d'Affari Italiani Ubaldo Chiara, nel rapporto datato 25 maggio 1921, indirizzato al ministro degli esteri Sforza, sottolineava che: “Nei riguardi della nostra emigrazione S.E.Itriago Chacin, mi dichiarò che il suo governo avrebbe appoggiato le correnti migratorie italiane che si fossero orientate verso il Venezuela dove troppi sono i terreni incolti e disabitati”. Affermava, inoltre, che il paese avesse bisogno di molti lavoratori stranieri e che fra tutti l'esperienza consigliava di preferire gli italiani.
Ad ogni modo, ancora negli anni '20, in Venezuela non era stato risolto il problema della scarsa popolazione. A tal proposito, ci sembra interessante riportare la lettura di l'intervista che nel 1923, Emilio Curatolo del > di Roma, fece ad Antonio J.Tagliaferro. L'intervista, pubblicata in Venezuela, viene riproposta anche sul quotidiano romano nel quadro di quella politica di informazione che si cercava di portare avanti nel tentativo di aprire nuovi sbocchi alla nostra emigrazione. Tagliaferro afferma: “Per clima e per posizione geografica, il Venezuela rappresenta la meta più opportuna per gli emigrati italiani. Le sue enormi risorse agricole e minerarie e la grande disponibilità di terre, ne fanno il luogo ideale per impiantare nuove attività e per prosperare”. L'intervistato continuava cosí: “Secondo il censimento del 1923, in Venezuela vivono 5.000 italiani; tutti godono di un ottimo tenore di vita e in moltissimi si sono arricchiti durante la guerra. Con la Legge de Inmigración del 1921, il Venezuela ha propiziato gli arrivi, concedendo grosse estensioni di terra col solo obbligo dell'impegno a coltivarle; inoltre, il governo offre crediti per l'acquisto di concimi e sementi”.
Tagliaferro continua citando l'esempio di grande civiltà offerto dal paese sudamericano nel quale gli immigrati trovano, al loro arrivo al porto de La Guaira, delle strutture di accoglienza che potevano ospitarli dal momento del loro sbarco, fino alla partenza verso le altre destinazioni all'interno del paese. Ció che a Tagliaferro sembrava fondamentale, era che anche il governo italiano si assuemsse una parte delle spese, finanziando almeno i viaggi degli emigrati. La visione ottimistica di Tagliaferro non ebbe grandi riscontri nella realtà: con la scoperta di nuovi giacimenti di petrolio portati alla luce il 14 dicembre 1926, il Venezuela cessava di essere una nazione agro-pecuaria e quindi cessava l'interesse ad incrementare l'immigrazione di persone addette all' agricoltura.
Quindi l'immigrazione delle prime decadi del XX secolo, venne lasciata ad una crescita spontanea.
Si verificò un'ulteriore fase di rallentamento dovuto in Italia all'incertezza che precedette e seguí la prima guerra e in Venezuela, al lungo ristagno della non – politica gomecista, durante la quale non ci fu interesse nell'investire la manodopera straniera a favore dello sviluppo del paese. Si ritiene infatti che Gomez non fu in grado di valutare appropriatamente la portata storica del grave problema legato allo spopolamento. La posizione del Presidente pare fosse influenzata dal fatto che rispetto all'immigrazione italiana, la principale quota di stranieri era rappresentata dal personale delle compagnie americane e inglesi, cioè maestranze inviate da quei paesi con compiti specifici e temporanei. Secondo lo storico Ramon J.Velasquez, “Gomez era piú che altro un proviciale che temeva la presenza dello straniero, chiunque fosse. Visse in regioni molto isolate dove lo straniero rappresentava un motivo di inquietudine. Fino ai quaranta anni, visse solo con parenti e amici dei villaggi vicini. Inoltre in quell'epoca si guardava con sospetto chiunque non parlasse castigliano o non professasse la religione cattolica”. Ma c'è un altro elemento di non trascurabile importanza da segnalare, secondo chi scrive, un elemento che riporta a fatti di portata sociale e politica che avevano profondamente turbato l'opinione pubblica mondiale. A questo proposito, lo storico Gustavo D'Ascoli scrisse: “Intorno al caso di Sacco e Vanzetti” (3) , si produsse un'agitazione delle masse: il proletariato sollevò senza precedenti il proprio grido di protesta contro quella barbarie commessa; le manifestazioni a sostegno dei condannati adunavano decine di migliaia di persone in ogni parte del mondo. L'intero continente americano ribolliva; le manifestazioni e i cortei tennero per anni viva l'attenzione sul caso”. Secondo D'Ascoli il processo agli anarchici italiani scosse l'intero sistema politico americano. Aggiunse l'autore: “Anche in Venezuela, nonostante la censura e il regime dittatoriale, arrivano le notizie sul caso, sia sui giornali governativi a tendenza gomecista come >, sia in quelli oppositivi, come lo fu >. Tutti questi avvenimenti ebbero ripercussione nella vita politica del paese e condizionarono molte decisioni”.
Si noti come motivazioni psicologiche e politiche, impedirono un considerevole afflusso di manodopera italiana; quanto al suggerimento di Tagliaferro riportato nell' intervista, l'Italia non fu capace di inserirsi nel campo di quelle concessioni petrolifere, il cui sfruttamento fu lasciato al monopolio delle grandi compagnie nordamericane.

Nel 1931 vediamo come il 97% della popolazione venezuelana fosse rappresentata dalle ex colonie di schiavi afro – discendenti; con il governo parlamentare di Lopez Contreras, si ritornó ad una politica che fosse a sostegno dell'immigrazione, ma le perplessità nei confronti dell'immigrazione di massa non erano estinte: il terrore venezuelano di una immigrazione che non fosse rigorosamente selezionata, era sintomo di una mentalità debole, che vede in ogni estraneo un pericolo o un alfiere dell'imperialismo.

Sia pure limitata dai timori di infiltrazioni di persone e di dottrine destabilizzanti, la politica migratoria di Contreras si distinse tuttavia per il valore positivo con cui si guarda all'emigrato europeo; come già avevano intuito i primi governanti, a cominciare dal libertador Simon Bolivar, l'immigrato non solo rappresenta ora un contributo enorme alla soluzione dell'antico problema della carenza di popolazione, ma a lui viene riconosciuto un nuovo valore come fonte di insegnamento; l'immigrato può contribuire alla formazione e alla qualificazione della manodopera venezuelana, può costituire la spinta e l'impulso alla modernizzazione del paese. Contreras aveva compreso insomma il ruolo dell'immigrazione come fonte di trasmissione di esperienza: lo scambio di idee e costumi avrebbe contribuito a migliorare e sviluppare la qualità di vita dei venezuelani.
Per questo motivo la Legge del 1936 rappresentó, sia pure con le limitazioni accennate, una svolta nella politica d'immigrazione: il governo voleva dimostrare il proprio carattere democratico applicando una maggiore libertà per l'ingresso e per la permanenza degli stranieri nella Repubblica.
Nonostante la nuova Legge, la consistenza numerica degli italiani caló, però la loro attività ebbe grandissima influenza in ogni campo della vita venezuelana: infatti risulta che gli italiani insegnarono come si costruisce una patria e come si deve lavorare. Essi insegnano dal come pulire le scarpe a come tagliare le carni; i barbieri italiani sono stati i nostri maestri in questo mestiere. L'agricoltore italiano applica nei terreni delle regioni orientali o preandine gli stessi metodi appresi nelle regioni italiane di provenienza in secoli di esperienza: appaiono i primi limoni, i primi vigneti, i campi di caffé, abbandonati dai coloni spagnoli, tornano a nuova vita e il grano comincia ad essere addirittura esportato. Questo nuovo ruolo degli emigrati italiani, che cominció a delinearsi mentre in Italia prendeva piede il fascismo: secondo il fascista attivista Caiani, gli italiani che emigrano negli anni '30, rappresentarono una parte qualificata della popolazione, perché il fascismo stava per così dire investendo nella preparazione dell'emigrante, per evitare di inviare all'estero una massa bruta che sarebbe servita e si sarebbe piegata alla necessità del bisogno, alle esigenze dell'imprenditore straniero; chi scrive aggiunge, come succede invece nel caso dell'immigrazione attuale, che incontra tuttavia gli stessi imprenditori “stranieri”, privi di etica ed evasori dei regolamenti che sono previsti dal codice della tutela del lavoratore.
Ad ogni modo, l'Italia era un paese di agricoltori che non sarebbe stato facile aggiornare alla tecnica dei livelli dei paesi anglofoni. Infatti, nel 1941, alcuni continuavano le attività e i mestieri che avevano esercitato in Italia, altri alternavano il lavoro nei campi con l'allevamento di bestiame, giungendo a diventare proprietari di prospere aziende.
Durante gli anni del secondo conflitto, l'emigrazione rimase praticamente paralizzata a causa degli eventi bellici, per la pericolosità dei viaggi attraverso l'oceano e per la limitata disponibilitá di mezzi di trasporto. Infatti, pare che molti governi, sia pure favorevoli in linea di principio all'emigrazione, avessero limitato gli ingressi di persone i cui paesi erano coinvolti nel conflitto.
Ad ogni modo, il nostro autore ebbe modo di ricercare dei riscontri degli esiti di quegli italiani che ebbero modo di affermarsi brillantemente nel paese sudamericano; ad esempio troviamo il savonese Andrea Ferro, che divenne uno dei più grandi allevatori di bestiame, con una hacienda tra le più moderne a San Fernando de Apure; o come il siciliano Calogero Paparoni che, partito sedicenne per il Venezuela, divenne ben presto abilissimo uomo d'affari, allargò la sua attività all'agricoltura impiegando le migliori macchine nelle tre fattorie di sua proprietà: >, >, >.
Per concludere questo capitolo sulla presenza italiana in Venezuela, pare opportuno citare le parole di due studiosi venezuelani. Il primo é Eddo Palesal che nel suo saggio del 1992 afferma: “La presenza italiana, nei più lontani angoli dell'immenso paese, é stato il principale motore delle trasformazioni socio-economiche di villaggi e città, con mutuo beneficio di entrambe le parti”.
Il secondo é Raphael Pineda, il quale nel suo saggio >, riprende un articolo del quotidiano caraqueño > del 13 ottobre 1957: “Indubbiamente l'italiano ha contribuito, qui come in Argentina o negli Stati Uniti, alla presente grandezza.Vera ape lavoratrice, i risultati del suo lavoro sono evidenti in tutti i rami dell'attività nazionale, specialmente in quello dell'edilizia. Intere urbanizzazioni piene di eleganza mostrano a Caracas e altrove lo spirito e la volontà dei concittadini di Dante Alighieri. Intellettualmente l'italiano ha pure provato la sua capacità in tutti i campi artistici e scientifici”.
La saggista Marisa Vannini, riassume infine quello che fu l' apporto degli italiani nella costruzione della nazione venezuelana: “Gli immigrati italiani penetrarono profondamente la nazione venezuelana. Numericamente scarsi, la loro importanza e influenza sono dovute ai loro grandi meriti morali e sociali, alla loro volontà di rimanere nel paese e al modo col quale si sparsero in ogni punto del territorio, contribuendo non solo a popolarlo, ma aprendo il cammino verso le zone di più difficile accesso”.
Nell'opera di Aliprandi sono citate le famiglie Braschi, Ulivi, Pigna, Tattoni, Roversi, Yallonardo, Lemmo, Boccardo, Vanzina, Saturno, Paparoni, Bortone e molte altre. Si tratta di imprenditori e commercianti arrivati già alla seconda generazione, i cui genitori si erano stabiliti nel paese negli ultimi decenni dell'Ottocento o ai primi del Novecento, vale a dire con quella che viene definita “la prima ondata migratoria”.

Antonella De Bonis
Portale dei Lombardi nel Mondo

Note al testo:

1- Dott. Lorenzo D. Belardo, autore della tesi di laurea validata presso l'Universitá La Sapienza di Roma, Facoltá di Scienze Politiche, durante l'anno 1996.

2 – Chi scrive, definisce “A catena” quella forma di migrazione che si verifica attraverso le chiamate tra parenti.

3 – Sacco e Vanzetti,anarchici italiani emigrati negli USA furono i protagonisti nel 1921 di uno dei più clamorosi casi giudiziari e di xenofobia del secolo. Accusati di omicidio a scopo di rapina,non ostante le innumerevoli prove a discolpa e la confessione di uno dei veri colpevoli furono condannati a morte da un tribunale del Massachusetts e giustiziati

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