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Stragi 1992: Mafia di Stato

di Luigi de Magistris

La mafia ha tanti volti, tra questi anche quello dello Stato e delle istituzioni. L’ho compreso durante gli anni trascorsi in Calabria come pm e l’ho appreso dalla storia di Falcone e Borsellino. Due omicidi identicamente drammatici eppure diversi nella natura. La morte di Falcone è stata un messaggio rivolto da cosa nostra alla politica, rea di non aver rispettato i patti e di aver consentito la sentenza del maxiprocesso del gennaio ’92.

Con Capaci infatti cambia il quadro politico del tempo e saltano i progetti della mafia, tra cui quello di vedere Andreotti varcare la soglia del Quirinale. L’assassinio di via D’Amelio, invece, ha una valenza diversa: Borsellino doveva morire perché aveva capito, come disse lui stesso, che probabilmente i responsabili della strage di Capaci andavano ricercati anche dentro la magistratura. E soprattutto aveva saputo dell’esistenza di una trattativa tra Stato e Mafia, cominciata forse addirittura prima dell’assassinio di Falcone.

Che la magistratura abbia avuto un ruolo oscuro nelle stragi di mafia non sorprende: a molti colleghi Falcone e Borsellino non erano graditi perché considerati troppo ‘protagonisti’. L’accusa di protagonismo eccessivo verso i magistrati è stata sollevata anche di recente dal presidente della Repubblica Napolitano, a cui obietto una semplice considerazione: se protagonismo giudiziario vuol dire fare il proprio dovere rispettando la Costituzione, allora c’è da augurarsi che i magistrati protagonisti siano tanti.

Dopo il ’93 cosa nostra offre la sua ultima prova di forza contro lo Stato: le bombe di Firenze, Roma e Milano. Poi la fine della violenza armata. Su questa stagione, così come su quella delle stragi, le indagini giudiziarie hanno visto una rinnovata spinta, con grande preoccupazione della politica. Sicuramente le frasi del premier Berlusconi testimoniano questa paura. Affermare che i magistrati, oggi impegnati su quegli eventi, congiurino ai suoi danni, spinge ad una semplice domanda: che cosa sa per sentirsi chiamato in causa? E cosa sa l’allora ministro Mancino che Borsellino, come testimonia la sua agenda grigia, incontrò pochi giorni prima di morire? Come fa a sostenere, in modo offensivo, di non ricordare il volto di Borsellino perché in quei giorni lo vennero a trovare in molti? Dalla morte di Falcone era infatti trascorso un mese: un tempo non sufficiente a dimenticare il viso di un magistrato ‘protagonista’ ucciso dalla mafia.

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