Gli errori dell’esecutivo
Come rischiare di rovinare un’operazione impopolare ma opportuna. Così, a poche ore dall’approvazione parlamentare, si può riassumere la vicenda “scudo fiscale”. Opportuna, perché il rientro dei capitali rappresenta una necessità per un paese bisognoso di investimenti come il nostro, specie se si realizza nel corso di una grande crisi finanziaria che ha drenato liquidità e nel momento in cui ci si pone a livello mondiale l’obiettivo di combattere la “speculazione fiscale” attraverso la cancellazione dei “paradisi” che fin qui hanno accolto i denari in fuga. Certo, è una di quelle iniziative che si dovrebbero prendere una tantum, facendo prevalere il crudo pragmatismo al sentimento di sana ripulsa che dovrebbe suscitare sempre una sanatoria per gli evasori, ma che davvero non merita tutto il populismo e la prevenzione ideologica di cui sono state capaci le opposizioni fin dal primo momento in cui Tremonti ha parlato di questa ipotesi (e dunque quando non era ancora dettagliata la norma).
Piuttosto, si sarebbe dovuto chiedere – questo sì – che l’eccezionalità della manovra fosse consacrata da un altrettanto eccezionale intervento strutturale, tipo un programma di revisione delle aliquote e dell’intero carico fiscale di persone fisiche e imprese, oppure una novità di natura giuridica, come in parte, ma solo in parte, è stato con la cosiddetta “inversione dell’onere della prova” relativa agli accertamenti sulle future esportazioni di capitali (in pratica sarà l’esportatore o la banca a dover dimostrare la correttezza di un certo flusso di denaro).
Inoltre, si sarebbe dovuto pretendere un impegno solenne circa l’uso dei proventi per lo Stato dello scudo, magari nella direzione di una riduzione del debito pubblico – la scelta più corretta e neutra – piuttosto che di improbabili “usi sociali” di cui si sta blaterando in queste ore.
Invece, come al solito, si è preferito dar fiato alla demagogia, senza peraltro riuscire a battere il tasto politicamente più dolente dell’operazione, e cioè il fatto che in assenza di riforme strutturali – che naturalmente il centro-sinistra si è ben guardato dal chiedere o controproporre – questa resterà l’unica manovra di politica economica e i denari rivenienti dallo scudo l’unica moneta spendibile per agganciare la ripresa economica. Peccato.
Peccato anche, però, che pure il Governo ci abbia poi messo del suo, in fase realizzativa, per rendere attaccabile il provvedimento. Mettendo così in difficoltà chi era disposto a spendersi a favore, come il sottoscritto che in tal senso si è fin qui speso. Francamente, per esempio, non ho ancora ben capito chi e perché abbia voluto inserire nel provvedimento la parte relativa al falso in bilancio e a quella parte dei reati dichiarati non punibili che vanno ben oltre il perimetro dei reati tributari, che per definizione debbono essere non perseguiti se si vuole che il condono funzioni.
Una scelta, questa, che non può essere considerata come “indispensabile” per la funzionalità complessiva del provvedimento, tanto più visto che dal Governo sono venute ampie rassicurazioni circa la non sussistenza di casi di amnistia surrettizia di riciclaggio di denaro sporco.
Bene, ma se così è – e deve essere – perché allora introdurre la non punibilità di reati societari e tributari non direttamente funzionali al rientro dei capitali? Quali vantaggi in più apportano, considerato che alzano il livello dell’insopportabilità morale del provvedimento? Ma c’è di più: così facendo, si sono messi i presupposti per una dichiarazione di illegittimità dello “scudo”, sia da parte della Corte Costituzionale – che potrebbe ravvisare gli estremi di una “amnistia strisciante” per i reati “aggiuntivi” – sia da parte dell’Unione Europea, per quanto attiene al condono dell’Iva, che è notoriamente un’imposta comunitaria.
Senza contare i problemi di metodo in sede parlamentare sollevati da Fini. “Anomalie procedurali”, le ha definite il presidente della Camera, al quale potranno pure essere attribuite tutte le intenzioni furbesche che si vogliono ma non c’è dubbio che la Costituzione preveda termini precisi per la conversione in legge dei decreti e che sia sua preciso dovere applicarli. Insomma, valeva davvero la pena usare scarponi chiodati dovendosi muovere in una cristalleria?