Il mondo, l’Italia e l’Europa di fronte ad un bivio di politica economica
Il Centro Studi Economia Reale, fondato da Mario Baldassarri, ha presentato oggi presso la Sala Capitolare del Senato il IV Rapporto di previsione sull’economia italiana per il triennio 2010 – 2013.
Lo scenario dell’economia mondiale è stato illustrato da relazioni di: Arrigo Sadun Executive Director IMF, Massimo Suardi Direzione Affari Economici e Finanziari Commissione Europea, Michele Fratianni Indiana University, Paolo Guerrieri Istituto Affari Internazionali e Paolo Savona Università LUISS.
Mario Baldassarri ha poi presentato il IV Rapporto di Previsione del Centro Studi Economia Reale. Al dibattito che ne è seguito hanno partecipato con gli economisti Giuliano Cazzola, Gustavo Piga, Nicola Rossi ed i giornalisti Giancarlo Mazzuca e Antonio Polito.
Il rapporto del Centro Studi Economia Reale si basa sull'analisi del quadro economico internazionale che, secondo il consenso corrente in questo mese di settembre, indica un andamento a “V” del ciclo economico internazionale, dopo la forte caduta di quest’anno ci sarebbe una consistente risalita l’anno prossimo.
Rispetto a questo scenario, relativamente “ottimistico”, molti osservatori e centri studi internazionali hanno posto però alcuni elementi di rischio che porterebbero invece a un andamento a “W” o a “U” o addirittura a “L” del ciclo economico internazionale. A ciò si aggiungerebbe per l'Europa il “rischio” di un ulteriore forte apprezzamento dell'euro fino a 1,60-1,70 in rapporto al dollaro al quale resta agganciato comunque lo yuan cinese che quindi si svaluterebbe ulteriormente rispetto all'euro penalizzando ancor più le produzioni europee.
In queste condizioni del quadro estero relativamente positivo, l'economia italiana avrebbe una lenta e modesta ripresa nei prossimi anni, fatto in sé positivo, ma troppo lento e troppo lungo sarebbe il percorso di recupero almeno delle condizioni esistenti nel 2007 prima della crisi.
Infatti, il PIL in valore reale tornerebbe al livello del 2007 soltanto nel 2014, così come il livello di occupazione e il tasso di disoccupazione. I consumi recupererebbero quello stesso valore del 2007 tra il 2012 e il 2013. La pressione fiscale continuerebbe a rimanere elevata. Il deficit pubblico scenderebbe sotto il 3% del PIL soltanto nel 2015 e si riporterebbe a quell'1,5% registrato nel 2007 soltanto dopo il 2016. Il rapporto debito pubblico/PIL continuerebbe a crescere fino al 2015 e tornerebbe sotto il 105% registrato nel 2007 non prima del 2020.
Sempre secondo il Centro Studi Economia Reale, accettare supinamente questo profilo tendenziale significherebbe subire a lungo condizioni di quasi stagnazione e comunque bassa crescita, elevata disoccupazione subendo inoltre il rischio permanente di una finanza pubblica in condizioni di estrema fragilità. Per di più, ingenti sarebbero le risorse da destinare agli ammortizzatori sociali anche oltre il prossimo anno per fronteggiare una evidente emergenza sociale.
“Dopo aver fronteggiato meglio di altri Paesi la fase di emergenza della crisi economica e reale, non è sufficiente limitarsi a governare l’andamento tendenziale dell’economia” ha detto Baldassarri. “Per rafforzare le modeste prospettive di ripresa non basta una Finanziaria “leggera” pur nell’obiettivo necessario di salvaguardare i saldi della finanza pubblica. Certamente ulteriori risorse potranno rendersi disponibili con il gettito del provvedimento per il rientro dei capitali, ma 3-4 miliardi di gettito una tantum in più sono appena lo 0.3% del PIL, cioè una “quantità” tale da non poter modificare gli andamenti tendenziali dell’economia italiana. Occorre aggiungere una manovra quantitativamente rilevante e qualitativamente significativa, capace cioè di modificare quegli andamenti tendenziali e di introdurre al tempo stesso elementi di coesione sociale”.
“Tale manovra – ed è questa la proposta del Centro Studi Economia Reale di Baldassarri – si articola in un contenimento di spesa pubblica corrente pari a 35 miliardi di euro da concentrare sulle voci “Acquisti di beni e servizi delle Amministrazioni Pubbliche” e “Trasferimenti pubblici a fondo perduto”. Le risorse così liberate consentirebbero pertanto, senza determinare neanche un euro in più di deficit pubblico, un taglio strutturale e consistente del carico fiscale sulle famiglie (15 miliardi) e sulle imprese (12 miliardi), un aumento degli investimenti pubblici in infrastrutture (5 miliardi), maggiori risorse per la sicurezza e la difesa (2 miliardi), e per la ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica (1 miliardo)”.
Queste riforme strutturali rafforzerebbero in modo consistente la ripresa della produzione e dell'occupazione, introdurrebbe elementi di maggiore equità sociale, accelerando, per di più, il rientro del deficit e del debito pubblico.
Gli effetti della manovra sull’economia italiana, secondo il Rapporto, sarebbero infatti i seguenti.
Il PIL, l'occupazione e il tasso di disoccupazione tornerebbero ai livelli del 2007 due anni prima, tra il 2011 e il 2012, così come l'andamento dei consumi che tornerebbero al livello del 2007 tra il 2010 e il 2011. La pressione fiscale si ridurrebbe già nel 2010 e tornerebbe a livello del 40% registratosi nel 2006 già tra il 2011 e il 2012. Il deficit pubblico scenderebbe sotto il 3% del PIL nel 2012 e sotto il livello del 2007 nel 2013, cioè tre anni prima rispetto all'andamento “tendenziale”. Il debito pubblico comincerebbe a ridursi rispetto al PIL già nel 2012 e tornerebbe al 105% del PIL del 2007 nel 2015, cioè 5 anni prima rispetto al tendenziale