Una crisi economica terribile e per l’Italia è ancora peggio

Qualsiasi crisi economica, particolarmente una crisi così profonda come quella attuale, chiama direttamente in causa l’insieme del sistema istituzionale, della politica, del corpo socioeconomico, della formazione, dell’informazione. Non è una crisi tradizionale e non ne usciremo con ricette tradizionali. E’ netta e diffusa la percezione che l’eccezionalità della fase, e della crisi stessa, determinerà effetti negativi duraturi nel tempo, con tassi di disoccupazione crescenti che, al di là dei timidi e lenti segnali di ripresa per il futuro previsti dal Fondo Monetario, aumenteranno l’incertezza, le paure collettive, il crollo dei consumi, un impoverimento diffuso, l’indebolimento del sistema di welfare nei paesi sviluppati, determinando effetti ancora più devastanti sulle persone e sull’ambiente nei paesi in via di sviluppo e in quelli più poveri. Si dice in tutte le occasioni e in tutte le sedi, ma senza agire di conseguenza, che per fronteggiare la crisi è essenziale rivedere radicalmente le basi che hanno ispirato l’azione delle istituzioni finanziarie internazionali, del WTO, della banca europea e delle banche nazionali.
Ma questa crisi, come tutte le crisi, è anche una opportunità per cambiare e la sua soluzione dipende grandemente dalla politica e dalla sua stessa capacità di innovare rinnovandosi. Qualsiasi soluzione conformista e tradizionale rischia di non produrre soluzioni, con effetti pericolosi per la stessa tenuta delle nostre democrazie che rischiano di indebolirsi, di entrare in crisi, come la storia ci dimostra, quando una lunga recessione è accompagnata da alti livelli di disoccupazione. E l’Italia è uno dei Paesi strutturalmente più deboli, uno di quelli più esposti ai rischi e più in difficoltà nell’agganciarsi alla ripresa. A fronte della previsione di un modesto incremento del Pil nel 2010 ( + 0,2) per l’anno in corso viene confermato un tracollo pari al 5,1%. E alcune istituzioni prevedono una flessione addirittura del 6%. Ma i problemi dell’Italia non derivano solo dall’impatto diretto della crisi, ma anche dalle inefficienze interne del sistema paese, specialmente sul versante innovazione. Il world Economic Forum, prendendo come riferimento 133 paesi, ha stilato una graduatoria preoccupante. L’Italia è agli ultimi posti per la fiducia pubblica nella sua classe politica ( 107esimo), scende al 121esimo posto per spreco di denaro pubblico, al 128esimo per l’efficienza del suo sistema legale, al 102esimo per la stabilità macro-economica. Su tutto questo scenario spicca la scarsa partecipazione delle donne al mondo del lavoro ( 90esimo posto ).
Il rischio più forte per il sistema Italia è quello dell’innovazione. Con un investimento per innovazione e ricerca fermo da vent’anni fra lo 0,6 e lo 0,9% del Pil, l’Italia è in Europa uno dei Paesi meno predisposti culturalmente all’innovazione e a promuovere il merito, l’inventiva e la creatività. Evidenze che, nel loro insieme spiegano come, proprio l’Italia, con un tasso di crescita pari a zero, sia stato nel 2008 il primo Paese europeo ad entrare in recessione. Il rapporto Luiss 2009 affronta in termini macro-economici i costi dell’autoreferenzialità e del non-merito, indotti da tendenziali comportamenti delle classi dirigenti, che costerebbero al Paese una perdita annua pari a 7,5 punti di Pil. Ricorre una domanda per l’Italia : sopravvivere prima di innovare o innovare per sopravvivere ? Mi pare del tutto evidente che l’attivazione dei processi di innovazione, fondati sulla conoscenza, sono strutturalmente indispensabili per la sopravvivenza, per mantenere la competitività dell’Italia nel sistema europeo e internazionale. Un modello di sviluppo fondato sulla conoscenza è l’unico traguardo credibile per invertire la spirale recessiva e rimettere equilibrio nella distribuzione delle risorse materiali e intellettuali, che sono le prerogative essenziali affinché condizioni di eguaglianza ristabilite, consentano pari condizioni di accesso alle opportunità, condizioni che rendono sostanziale e pulsante qualsiasi sistema democratico.

Luciano Neri
Coordinamento Nazionale Circoscrizione Estero del PD
Presidente del Centro Relazioni Internazionali (CenRI)

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