Bonus bancari: comanda sempre la finanza?

Mario Lettieri, sottosegretario all’Economia nel governo Prodi
Paolo Raimondi, economista

Il presidente francese Nicolas Sarkozy, puntando il dito contro le ultime acrobazie delle banche, ha scosso il mondo politico ed economico troppo intorpidito dai continui rapporti lusinghieri relativi ad una presunta imminente soluzione della crisi globale. Ha annunciato che a settembre, al summit del G-20 di Pittsburgh, chiederà con decisione di dare soluzione ai problemi della governance della finanza e dell’economia, della completa eliminazione dei paradisi fiscali e delle regole per i cosiddetti bonus bancari.

Annunciando sanzioni contro le banche che non rispettano le regole, ha ricordato che non si può “accettare che quanti ci hanno fatto precipitare nella crisi più grave dagli anni ’30 siano autorizzati a ricominciare”. La cancelliera Angela Merkel lo ha sostenuto ribadendo che “urta sapere che certe banche continuano ad operare come prima della crisi”.

La questione dei bonus bancari milionari non è solamente un’indicente provocazione contro la ragione e la giustizia sociale. E’ anche questione etica, ma è anzitutto una questione di potere.

Infatti sulla vicenda bonus si vede e si decide chi effettivamente comanda l’economia: gli stati che vogliono un’economia sociale di mercato o le banche e le finanziare notoriamente legate alla esclusiva ideologia della speculazione.

Ciò riguarda anche l’Italia, dove, nonostante il dettato della Costituzione in materia di risparmio e credito, i grandi gruppi bancari continuano a “farla da padroni”. Nonostante abbiano usufruito dei Tremonti-bond, essi mantengono stretti i cordoni della borsa verso le imprese e le famiglie, mentre i bonus restano elevati.

Soprattutto negli USA e in Gran Bretagnia, mentre andavano a sollecitare salvataggi governativi per centinaia di miliardi di dollari, le banche sin dal primo momento ingaggiavano con i governi un braccio di ferro sull’indirizzo e sulla gestione della riforma del sistema finanziario.

Già a gennaio era scoppiato il primo scandalo dei 18,4 miliardi di dollari di bonus che le banche americane avevano allocato per i grassi pagamenti a quegli stessi dirigenti che si erano resi responsabili di aver abusato del rischio, di aver mal amministrato gli affari e di aver portato l’intero sistema sul baratro del fallimento.

Il presidente Obama, irritato, giustamente aveva alzato la sua voce. Ma fu lasciato solo!
Nel 1933, invece, Roosevelt fece chiudere per alcuni giorni tutte le banche e impose la sua riorganizzazione che metteva al centro la ripresa dell’economia reale.

Oggi nulla sembra essere veramente cambiato.

Da qualche settimana il pubblico ministero di New York, Andrew Cuomo, ha reso pubblica un’indagine condotta sulla politica dei bonus praticata dalle maggiori banche americane. Il rapporto spiega che, nonostante i disastri commessi nel 2008, i 4.793 dirigenti e operatori finanziari di 9 banche hanno ricevuto bonus per ben 33 miliardi di dollari!
Alcune di queste banche hanno addirittura distribuito bonus per un ammontare superiore ai guadagni iscritti nei loro bilanci.

Incredibile quanto sconcertante è il fatto che le suddette banche agiscano così, nonostante esse abbiano ricevuto lo scorso ottobre 125 miliardi di dollari di sostegno statale, come previsto dal famoso programma di salvataggio TARP (Troubled Asset Relief Program).

La Goldman Sachs ha incassato 10 miliardi di fondi TARP e pagato bonus per 4,8 miliardi; la Morgan Stanley, a fronte di 10 miliardi di sostegno statale, ha dato 4,475 miliardi di bonus; la JP Morgan, la banca numero uno in derivati finanziari, ha incassato 25 miliardi di aiuti e dato 8,69 miliardi di bonus.

Come si evince dai dati citati il problema riguarda l’intero sistema delle grandi banche.

Non si tratta soltanto di cattive abitudini di Wall Street. Anche la City di Londra “vanta” di aver distribuito quest’anno 16 miliardi di sterline in bonus bancari. E la BNP Paribas, la banca francese numero uno, aiutata con 5 miliardi di euro dallo Stato, ha pianificato di distribuire bonus per 1 miliardo.

E’ chiaro quindi che siamo di fronte ad una prova di forza. Da mesi la City e il governo inglese, sempre più apertamente e ad alta voce, sfidano chi parla di regolare il mondo della finanza e i bonus, ripetono che “al G20 non ci sarà alcun accordo”.

Ciò sarebbe un disastro per l’economia reale e per quegli istituti di credito non speculativi ad essa legati.

L’Europa dovrebbe perciò andare a Pittsburgh con una strategia unitaria e un programma di riforma concordato. Dovrebbe cercare alleanze con i paesi del BRIC e altre nazioni emergenti che riconoscono la necessità di una riforma finanziaria, bancaria e monetaria profonda.

Mentre in Germania la cancelliera Angela Merkel ha dato piena adesione alla proposta del Presidente Francese, nel nostro Paese, purtroppo, in merito c’è silenzio.

In passato il ministro dell’economia Tremonti si era espresso in questa direzione. Ma ora tace e sembra aspettare di sapere chi sarà il vincitore dello scontro in atto.
L’opposizione per altro verso appare troppo lontana da queste problematiche che comunque influenzeranno la nostra economia e la nostra vita.

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