Emozioni e suggestioni con le opere del grande artista rumeno, amico dell’Aquila e dell’Abruzzo
di Goffredo Palmerini
VILLETTA BARREA – Lo conosco da un quarto di secolo, ma erano almeno due anni che non l’incontravo. E tuttavia siamo sempre rimasti in contatto. Poi, da quel terribile 6 aprile che ha sconvolto la nostra vita, non sono passati mai più di tre giorni che Constantin Udroiu non s’informasse su di noi, sulle condizioni della città dopo il terremoto, sul suo futuro. Già, perché questo straordinario artista rumeno, diventato cittadino italiano una trentina d’anni fa, dell’Aquila è proprio un grande amico. L’Europa, e sopra tutto il meridione d’Italia, sono stati luoghi della sua pittura: mostre, seminari sull’arte bizantina, occasioni di relazioni culturali ed umane sempre molto intense. Fu in una di queste sue “campagne d’arte” che lo conobbi, nel 1984 in Basilicata, a Bernalda, bella cittadina sul golfo di Metaponto che venera san Bernardino da Siena suo Patrono e per questo gemellata con L’Aquila, città che il francescano senese scelse come ultima dimora terrena. Sulla vita di san Bernardino Udroiu aveva realizzato a Bernalda due grandi pitture murali. Quell’anno ero andato d’agosto ai solenni festeggiamenti del Patrono proprio in rappresentanza della Municipalità aquilana. Constantin Udroiu è uomo spontaneo, immediato, sincero. Costruisce ponti culturali e relazioni umane con singolare facilità. Venne all’Aquila, un paio di mesi dopo, per una sua visita al sindaco Tullio de Rubeis.
Fu in quella circostanza che per l’artista rumeno iniziò il lungo sodalizio con la città, verso la quale ha sempre mostrato grande amore. Scelse infatti L’Aquila per la sua “novantanovesima” mostra personale, nella città dove contro ogni regola il 99 è numero primo, è il marchio delle proprie origini, dai tradizionali castelli che la fondarono al numero di rintocchi che la campana della torre civica ogni giorno batte al calar del sole. Novembre 1985: quella di Constantin Udroiu fu una memorabile esposizione, al Forte Spagnolo, nel bastione che conserva l’Archidiscodon vestinus, scheletro fossile di mammuth d’un milione e mezzo d’anni fa rinvenuto a pochi chilometri dall’Aquila, in perfette condizioni. Gli è entrata nel cuore, da allora, la nostra città. Campeggia imponente, nella sala della Giunta di Palazzo Margherita d’Austria ora lacerato dai colpi del sisma, la grande icona della “Madonna dell’Amore” che egli donò alla Municipalità. La bellezza di quella sua opera, un saggio del suo eclettismo che spazia dall’arte bizantina alla pittura moderna, la luminosità dei volti della Madonna e del Bambino, la brillantezza dei colori e dell’oro zecchino sulla tavola sono ormai familiari a tutti gli aquilani. Ma dell’arte di Udroiu si dirà fra poco. Ora si va ad incontrarlo a Villetta Barrea, ridente borgo in riva al lago omonimo nel Parco Nazionale d’Abruzzo, dove l’artista è in vacanza e dove tiene una mostra. Da qualche anno, per le sue vacanze, egli ha lasciato le consumate località alpine preferendo l’Abruzzo, le sue montagne ed i suoi boschi, davvero riposanti.
Parto per Villetta Barrea a metà mattinata, con due amici appena arrivati dal Michigan. A Pescina lascio l’autostrada per proseguire sulla statale. Transito nel paese di Mazzarino e Silone. Come non evocare il Cardinale, nato in questo borgo della Marsica e diventato in Francia primo Ministro di Luigi XIV, il re Sole! Fugace è l’aggancio storico che già penso a Ignazio Silone. Anzi a Secondino Tranquilli – il suo vero nome – ragazzo quindicenne, figlio d’un ex emigrato in Brasile, scampato al disastroso terremoto del 13 gennaio 1915 ma che per tutta la vita sarebbe stato segnato da quella tragedia che nella Marsica fece trentamila morti e cinquemila solo a Pescina. Nelle opere di Silone, nei suoi romanzi “Fontamara”, “Pane e vino”, “Il seme sotto la neve” , la memoria del terremoto incombe quanto la sofferenza dignitosa dei “cafoni”, quanto lo strapotere dei Torlonia … Poi in “Uscita di sicurezza”, il racconto dell’incontro con don Luigi Orione, un eroe singolare in quei tragici giorni dopo il terremoto … e le riflessioni amare sulla ricostruzione, un dramma persino più grave del sisma, scrisse Silone. Richard Lewis afferma che in Silone “ …il ricordo del terremoto erompe dalle sue pagine con lo stesso significato per Dostoevskij ebbe l’esperienza di scampare all’ultimo minuto dall’esecuzione capitale”. Scorrono nella mia memoria le immagini d’un assolato fine agosto del 1978 quando con il sindaco dell’Aquila, Ubaldo Lopardi, e con Errico Centofanti allora assessore – chi scrive era capogruppo consiliare della Dc – venimmo a Pescina al funerale di Ignazio Silone, che era morto a Ginevra qualche giorno prima, il 23 agosto. Silone aveva un forte legame con la città e con il Teatro Stabile dell’Aquila che, nel ’69, per la regia di Valerio Zurlini aveva messo in scena “L’avventura d’un povero cristiano”, una sua opera teatrale di forte suggestione su Papa Celestino V. Del funerale di Silone ricordo la partecipazione di tanta gente. E lo sguardo dolce, gentile e un po’ spaesato di sua moglie Darina, quando il sindaco Lopardi le porse le condoglianze della Municipalità aquilana.
Ancora assorto da questi pensieri sono già fuori dall’abitato di Pescina, verso Venere. A destra, nella vasta piana del Fucino, un lago prosciugato dai Torlonia nella seconda metà dell’Ottocento, nel verde si ergono le grandi parabole di Telespazio, centro d’eccellenza nelle comunicazioni satellitari. Supero Ortucchio e mando un ideale saluto a Giovanna Chiarilli, giornalista di Rai International, con Tiziana Grassi e Catia Monacelli autrice d’una importante opera multimediale sull’emigrazione italiana. Sta in ferie nel paese natale, ma non posso fermarmi per salutarla. Appena oltre Gioia dei Marsi la strada s’inerpica verso il valico con una sequela di curve e tornanti tra folte chiome di querce e ontani. Si sale verso Gioia Vecchia, villaggio di poche case a 1400 metri di quota dove Dacia Maraini ha creato una scuola di drammaturgia che ogni estate esplode in un festival teatrale di notevole valore. La scrittrice da molti anni ha eletto questi luoghi nel Parco Nazionale a sua residenza preferita. E’ innamorata dell’Abruzzo, della sua natura selvaggia e dalla pace che vi si respira. Mentre scendo verso Pescasseroli ripenso a “Colomba”, uno dei suoi romanzi recenti, dove la descrizione dei boschi e dell’ambiente in cui si svolge l’avvincente storia dell’anziana Zaira e di sua nipote Colomba, all’improvviso scomparsa nel nulla, sembra esattamente tratta da questi posti.
Un borgo ordinato ed ameno, Pescasseroli, immerso nel verde e ricco di fiori. C’è molta gente in strada, seduta nei giardini o davanti ai bar del centro. Gradevole l’aspetto architettonico, anche negli arredi urbani rispettoso della natura che circonda il paese. Qui nacque Benedetto Croce – filosofo, storico, scrittore e politico – una delle più importanti figure del pensiero europeo e della cultura del Novecento. Anch’egli subì i lutti del terremoto. Non in Abruzzo, ma nell’isola d’Ischia. Nel sisma del 1883, in vacanza con la famiglia a Casamicciola, perse sotto le macerie i genitori e la sorella Maria. Egli, diciassettenne, venne affidato allo zio Silvio Spaventa, di Bomba, figura politica rilevante del Risorgimento e dopo l’unificazione d’Italia ministro dei Lavori Pubblici. Manca ancora poca strada per Villetta Barrea. Passo dentro gallerie verdi, alberi d’alto fusto disegnano tunnel naturali di fitto fogliame. Servono i fari, benché sia quasi mezzogiorno. Entro finalmente nell’abitato di Villetta, fino allo slargo dove un grande striscione annuncia la mostra di Constantin Udroiu. La sala è dignitosa, i vivaci colori delle tele colpiscono d’impatto, gli ori delle icone riflettono luce su due lati del locale, sull’altro è esposta una serie di dipinti su cristallo, altra cifra della versatilità del pittore, una difficile tecnica nella quale pochi artisti si cimentano.
Il Maestro è al suo tavolo, sta leggendo un libro sulla poesia rumena. Un forte, amichevole abbraccio. E’ un po’ che non ci s’incontra, benché non si sia lontani, vivendo egli alle porte di Roma, sulla Salaria. Non è per nulla cambiato. L’anno prossimo compirà ottant’anni, ma vive la sua età come un giovane, con la freschezza e l’entusiasmo di chi non vive di solo pane. D’abitudine toglie dieci anni alla sua età vera. Non per frivolezza. E’ così che rammenta i dieci anni della sua vita “non vissuta” nelle prigioni della Romania, dissidente al regime comunista. Insegnava all’università di Bucarest quando venne arrestato. Fu condannato a 22 anni di carcere e lavori forzati. Solo il clima di revisione seguito al XX Congresso del Pcus gli consentì l’uscita anticipata dal carcere, ma sempre sorvegliato dal regime. Nel 1971, invitato dall’Unione della stampa sarda per la sua prima mostra fuori dal suo Paese, venne in Italia, a Sassari. Inaugurata da Sandro Pertini, allora Presidente della Camera, l’esposizione fu un vero successo. Tanti i lavori che gli commissionarono in Sardegna. Molte altre esposizioni seguirono. Una sequenza impressionante di mostre ed eventi culturali in tutta Italia, frequenti nel meridione a motivo delle influenze dell’arte bizantina, e quindi in Europa. Ginevra, Parigi, Lutry, Avignone, Amsterdam, Bordeaux, Carpentras, Atene, Barcellona, Lisbona le tappe più significative. Poi, con la caduta del regime in Romania, nel dicembre dell’89, diverse esposizioni nella sua terra, a Tirgoviste, Cluj Napoca e Bucarest. Oggi, sebbene l’età ed un fastidioso problema all’anca non gli consentano i ritmi d’un tempo, il curriculum artistico di Constantin Udroiu supera ampiamente duecento mostre personali cui s’aggiungono le attività espositive in Romania prima dell’arrivo in Italia.
La mostra di Villetta Barrea, solo una sintesi della sua notevole produzione e della complessità delle tecniche usate, è stata inaugurata il 9 agosto, con il patrocinio delle Ambasciate di Romania in Italia e presso la Santa Sede, dell’Accademia di Romania in Roma e dell’Accademia Internazionale d’Arte Moderna, della quale Constantin Udroiu è membro nel senato. Presenti al vernissage l’Ambasciatore rumeno presso la Santa Sede, Marius Lazurca, il Vescovo di Sulmona, mons. Angelo Spina, il Presidente del Consiglio Provinciale dell’Aquila, Angelo Raffaele, il Sindaco di Villetta Barrea, Lucio Di Domenico. Significative le parole dell’Ambasciatore nel tratteggiare l’arte di Constantin Udroiu, messaggero della cultura rumena in Europa. Al valore artistico Udroiu ha sempre associato, pagando di persona, una forte testimonianza di libertà, pace e rispetto tra popoli, della quale la Romania libera va fiera. Per questo l’annovera tra i suoi figli migliori che all’estero hanno onorato ed illustrato il proprio Paese. Gli interventi di mons. Spina, sull’integrazione e sul multiculturalismo, del rappresentante della Provincia dell’Aquila, in segno di gratitudine per il dono all’Ente d’una splendida icona – la Madonna del Terremoto – e del Sindaco che ha ringraziato l’artista per l’onore reso alla comunità di Villetta Barrea con la sua presenza ricca di spunti culturali, hanno aperto la rassegna al pubblico intervenuto e agli estimatori che numerosi hanno frequentato la mostra.
Constantin Udroiu è nato nel 1930 a Bucarest. Ha compiuto gli studi presso la Facoltà di Belle Arti della capitale rumena. Detenuto politico per reati d’opinione dal 1954 al 1964, è stato membro dell’Unione degli Artisti Plastici Rumeni. In Italia dal ‘71, vive e lavora a Roma. Ha eseguito affreschi in molte chiese bizantine, rumene ed italiane, e in vari edifici pubblici e privati. Ha ricevuto le insegne della città di Bordeaux e la cittadinanza onoraria per meriti artistici in Accettura (Matera) e Vitulano (Benevento). Ha organizzato mostre personali in diversi Paesi europei (Italia, Svizzera, Francia, Spagna, Grecia, Olanda, Portogallo e Romania) e partecipato a numerosi eventi culturali promossi da università ed accademie, tra i quali “Jeux de la Latinité” nell’università di Avignone; il convegno su Santa Caterina da Siena nella città di Carpentras; i Congressi Internazionali di Studi Rumeni presso le università di Amsterdam e Avignone; il colloquio “Presenza della Romania in Francia e Italia”, svoltosi alla Sorbona di Parigi; la IX Conferenza Mediterranea organizzata ad Atene dal Dowling College di New York. Agli incontri scientifici Udroiu si presenta nella doppia veste di pittore, con esposizioni, e di relatore, con proprie comunicazioni. Ha tenuto conferenze in diverse città italiane sull’arte bizantina e sulle relative tecniche. All’Aquila, nel 2001, in occasione della mostra a Palazzo Antonelli-Dragonetti promossa dalla Regione Abruzzo, ha tenuto un seminario sull’arte agli studenti dell’Accademia dell’Immagine. Sue opere sono nei musei di molte città rumene e in Francia, Portogallo, Italia (Pinacoteca di Nuoro, Museo di Sassari, Pinacoteca dell’Aquila, Museo del Sannio, Museo Nazionale d’Abruzzo L’Aquila), ed in molte collezioni pubbliche e private in vari Paesi del mondo.
Non azzardo un’annotazione sull’arte di Constantin Udroiu. Lascio il giudizio a due insigni esponenti della cultura mondiale. Dapprima a Luciana Stegagno Picchio, grande saggista, filologa e critica, scomparsa a Roma un anno fa, profonda conoscitrice della letteratura portoghese e brasiliana. E, per multiforme ingegno, anche esperta e amante delle arti figurative. Così scriveva in un suo saggio sull’artista: “ Si annuncia la pittura di Constantin Udroiu con un suo solare cromatismo che è insieme inno alla vita e al creato e blasone di sapienza artigiana: cifra dell’artista. Squilla il giallo delle biade, l’azzurro intenso del cielo e della marina, l’azzurro dei cavalli (Paolo Uccello, sì, ma anche i santi guerrieri di antiche icone bizantine-slave). Il carminio delle vesti dei santi, l’oro dei fondi, la porpora dei veli. Sotto il comune denominatore del segno colore si unificano pittura sacra e profana, paesaggi e figure, luoghi di remote religioni transilvane e moldave e pendii d’Abruzzo e di Calabria. Ma anche si unificano le tecniche e gli strumenti che Udroiu provoca e tenta con inesausta fantasia e curiosità, senza mai fossilizzarsi nel segno individuale, ripetitivo, commerciale. Gli olii su tela e le tempere, gli acquerelli, le xilografie, le incisioni. Ma sopra tutto i cristalli, pitture su vetro di antica tradizione veneziana. Constantin Udroiu è rumeno. Innestata sul robusto ceppo italico la sua innata latinitas ha dato frutto sapidi come solo certi privilegiati vitigni di trapianto sanno produrre in nuovi ricettivi terreni. (…) E’ pittura figurativa, certo – annota ancora Luciana Stegagno Picchio – ma di un figurativismo che ha la sua grammatica in cromie di base astratta, sperimentale, dove ciò che conta è sempre e solo il colore. Nel laboratorio-cenobio in cui Constantin lavora ogni giorno, in solitudine, come un monaco artigiano, c’è sempre un sottofondo musicale. E il quadro nasce come una partitura, con la nota alta dei gialli in primo piano, il legato degli azzurri-violetti all’orizzonte, il gioco intrico dei rami-violini ad unificare il cielo e la terra in sinestesie cromatico-musicali. Per questo a chi voglia indicare le ascendenze e le influenze, i paragoni e le metafore vengono offerti ad ogni latitudine. Quel collo oblungo di giovinetta ricorda Modiglioni ma sopra tutto Brancusi, i gialli sono sempre ossessivamente, a citazione, gialli Van Gogh, campi arati d’Abruzzo come pianori di Provenza. E quelle figure sono fauves, ma sono anche la lezione d’un espressionismo tedesco ed europeo dove Kokoschka raggiunge Franz Marc. Perché i confini dell’Europa – conclude la Stegagno Picchio – vanno ben oltre la piccola Europa che faticosamente andiamo costruendo”.
Nicolae Balotà, saggista e critico, è uno dei massimi teorici della cultura rumena. Assistente all’Università di Cluj Napoca, sua città natale in Romania, fu più volte arrestato e nel 1956 condannato a 7 anni di carcere. Dal 1979 è stato docente all’Università di Monaco, in Germania, poi dall’81 in Francia negli atenei di Parigi, Tours e Le Mans. Nel 1990 è diventato cittadino francese. Vive a Nizza. “Le fonti dell’arte di Constantin Udroiu – scrive Balotà in una nota critica – si trovano in uno spazio spirituale piuttosto che in uno geografico. Dovremmo certo parlare di una fonte sacra, essenziale, della pittura di Udroiu. La tradizione bizantina, la seria scuola dei maestri pittori, conoscitori dei canoni e delle tecniche di questa arte sacra, ha lasciato la sua impronta sulla pittura di questo rumeno. In un’epoca di smarrimento, di oblio delle tradizioni, di nichilismo estetico, è una possibilità rara quella di conservare un legame con una delle radici feconde dell’arte. (…) La sua Bisanzio spirituale è una viva fonte artistica, utilizzata liberamente. La si riconosce anche laddove non esprime sensi religiosi, non presenta figure sacre. Udroiu è artista di inabituale fertilità. (…) La sua fecondità lo porta a trovar piacere in tecniche diverse che domina con la maestria dei grandi artisti d’un tempo (pitture su vetro, incisione in metallo, legno, litografia, affresco). Questa plurivalenza lo avvicina al modello esemplare degli artisti del Rinascimento italiano”, conclude Nicolae Balotà. Si chiude qui una giornata particolare, passata in compagnia d’un magnifico artista la cui cultura abbraccia tutti i campi, dall’arte alla letteratura, dal teatro alla musica. E’ davvero un privilegio conversare con lui sulle grandi questioni che agitano il mondo, provare la sua sensibilità verso i poveri e gli indifesi, come l’infanzia che soffre. Grande amico di Arnoldo Farina, compianto presidente dell’Unicef italiana, tante iniziative di solidarietà Udroiu ha dedicato proprio alla difesa dei diritti dei bambini, con una generosità senza paragoni. Lunga vita, dunque, a questo artista amico dell’Aquila e dell’Abruzzo, cittadino del mondo.