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“L’AQUILA BELLA MÀ” E DINTORNI, NEL RICORDO D’UN EMIGRATO

di Pasquale Moscardi*

Scesi dal treno e mi avvicinai all’ufficio della stazione. Osservai per un momento gli impiegati intenti a svolgere il loro lavoro con il telegrafo. Era il 15 dicembre del 1942. L’Aquila era bella e lo sarà per sempre. Uscii dalla stazione e vidi una carrozza con un bel cavallo. Un signore aiutava una coppia a salirci, erano due anziani signori. Non sapevo che mi aspettavano circa quarantamila passi per arrivare a casa, e così dovetti fare venti chilometri a piedi. Ero troppo giovane per calcolare le distanze. Diedi uno sguardo alle montagne e seguii da lontano quelle che conoscevo di più. Cominciai a camminare verso il centro osservando tutte le belle case dell’Aquila, e finalmente arrivai in piazza! Non sapevo da che parte guardare, tutto era bello. Mi diressi alla fontanella davanti alla Chiesa delle Anime Sante e bevvi un po’ d’acqua. Tutt’intorno c’erano tante bancarelle piene di frutta e di altre cose.
Ero partito da Torino alle 18, con quattro pagnottelle, un libro e un quaderno, senza una lira. Ero arrivato a Roma a metà mattinata. – Dove vai, figlio mio? – mi chiese un signore al quale domandai quale era il treno che mi avrebbe portato a L’Aquila. Mi disse: – Da qui non partono treni per L’Aquila, devi aspettare quello per Orte e da lì fai la coincidenza per Terni e poi per L’Aquila -. Passai il resto del giorno alla stazione di Roma e la notte viaggiando, fin quando arrivai all’Aquila. Verso le dieci della mattina ero per il Corso, e quando arrivai al largo dov’è la Fontana Luminosa, ero sicuro di non essermi sbagliato e scoprii, difatti, il Gran Sasso. Perciò mi rassicurai e ripresi coraggio. Verso Vascapenta cominciò a piovere, ma non la sentivo la pioggia, volevo solamente arrivare a casa. Vi arrivai felicemente prima che facesse notte. Mia madre gridò: – Antò, Giustí, è arrivato Pasqualino! -. Poco dopo giunse anche mio padre, e così eravamo di nuovo una famiglia tutta riunita e felice.
I giorni passavano e il desiderio di rivedere L’Aquila non era facile da soddisfare.La guerra rendeva tutto più difficile. Dopo qualche settimana arrivò una lettera da Torino nella quale il preside dal Collegio dove un anno prima ero andato a studiare raccomandava a mio padre, dato il tempo di guerra e i pericoli dei bombardamenti, di trovarmi una scuola vicina per non farmi perdere l’anno scolastico. Mio padre mi trovò subito un posto in una succursale delle scuole industriali dell’Aquila e un alloggio presso la famiglia di lontani parenti che facevano la pensione per i ferrovieri della stazione della città. Per cinque mesi mi feci a piedi dalle 99 Cannelle tutto in salita fino a Via XX Settembre. Riprendevo fiato al ponte, prima di continuare fino alla Casa dello Studente, a pochi passi dalla Piazza del Duomo. Mi adattai facilmente a stare nel gruppetto degli scugnizzi della zona. Finì l’anno e tornai ai lavori di casa, a Camarda, lontano dall’Aquila bella mé. Poi, finita la guerra, l’emigrazione in Venezuela, ancora più lontano, ma con L’Aquila bella mé sempre nel cuore. Vi tornerò tra un paio di settimane, come ogni anno. Ma sarà diverso, vi torno con il cuore a pezzi.
Aprile 2009. Camarda, paese di canti e fiori, non é stata risparmiata dal terremoto. Quando ebbi le prime notizie per telefono, Goffredo mi disse: – Pasqualino, sta’ tranquillo. A Camarda non ci sono state vittime, la collaborazione tra i paesani per l’allerta é stata efficace, la sera prima del dramma, dopo la prima scossa, si sono passati voce e hanno quasi tutti lasciato le case per dormire fuori, in macchina -. Non si sono salvati, invece, il Castello che non vedremo più. per un pezzo, la Chiesa di San Giovanni Battista e la Torre dell’Orologio, danneggiata come tante altre case, inclusa quella dove io sono nato.
Nel 1971 trovai a Tempera il mio paradiso: una casa con orto-giardino e tante comodità. Vi torno dal Venezuela per alcuni mesi l’anno, d’estate. Il fiume Vera è stato orgoglio di Tempera, con tutte le altre sorgenti delle Fontanelle. Vi avevano funzionato diverse industrie per tantissimi anni: la cartiera, un pastificio e sette mulini. Il 6 aprile 2009, il giorno del terremoto, il fiume si è prosciugato e si sono seccate le acque sorgive delle Fontanelle. A Maracay, in Venezuela, un giorno eravamo a tavola e la mia nipotina maggiore mi disse: – Nonno, perché sei triste, cosa ti succede? -. – Sto pensando al fiume di Tempera – le risposi. Mi rassicurò: – Non ti preoccupare, forse si riempirà di nuovo in un qualunque momento -. Mi fecero piacere quelle parole, che erano di buon augurio e speranza. Spero che tutto torni come prima, anche se ci vorrà del tempo.
Ricordo i dintorni dell’Aquila, i paesi e le Sagre, con le loro caratteristiche. A Tempera la sagra della trota; a Paganica, cittadina agricola e industriale di circa ottomila abitanti si fanno sagre in ogni contrada, almeno una volta all’anno; a Bazzano la sagra delle sagnette; a Onna la sagra dei fagioli; a San Gregorio la sagra della pizza fritta; a Civita di Bagno la sagra del baccalà; a Barisciano la sagra delle patate e degli gnocchi; a Santo Stefano la sagra delle lenticchie con salcicce; a Navelli la sagra dei ceci. E così via, in tutti gli altri paesi dei dintorni.
Perché L’Aquila bella mé? Perché accoglie tutti con grande affetto: artigiani, musicisti, intellettuali, artisti, cantanti e venditori ambulanti che arrivano anche da lontano. Accoglie contadini che seduti sulle cassette della frutta, di fronte alla Chiesa delle Anime Sante, offrono i frutti dei loro orti e le specialità di verdure di montagna. Con la stessa ospitalità L’Aquila ha accolto i grandi della terra. Ha avuto l’onore di ospitare i membri del G8, convertendosi così in capitale del mondo per tre giorni. Abbiamo avuto la fortuna di vedere Obama sorridere in maniche di camicia davanti al Palazzo di Governo, nella piazzetta della Prefettura, accompagnato da tanti altri personaggi del mondo. Data la mia età, sarà per me difficile che veda L’Aquila ricostruita e bella come una volta. Ma spero che le mie figlie e i nipoti la vedranno. E con cose nuove e belle anche nei suoi dintorni. L’Aquila bella mé!
* Pasquale Moscardi è nato nel 1930 a Camarda, un grazioso paese – frazione dell’Aquila – alle falde del Gran Sasso. Come molti della sua età, nel 1950 prese la via dell’emigrazione, in Venezuela. Dinamico ed intraprendente, creò un’impresa affermandosi nel settore della meccanica e dei trasporti. Molto impegnato anche in campo sociale, nel 1986 costituì la sede dell’ANFE in Venezuela (l’Associazione Nazionale Famiglie Emigrati fondata nel 1947 dall’aquilana Maria Federici) della quale è stato per lunghi anni presidente. Ha scritto le memorie d’una vita, uno spaccato del mondo dell’emigrazione, nel volume “La mia storia”, pubblicato quattro anni fa all’Aquila ed uscito l’anno dopo, in spagnolo, anche in Venezuela.
(nota biografica a cura di Goffredo Palmerini)

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