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L’ex presidente del Lugano, del Castel di Sangro e del Lecco si confessa in una intervista esclusiva

PIETRO BELARDELLI: «MI HANNO DIPINTO COME UN CRIMINALE, LA GIUSTIZIA ALLA FINE MI HA DATO RAGIONE»
Leggendo sui motori di ricerca di internet il nome dell'imprenditore romano Pietro Belardelli vengono fuori solo archivi di giornale che tracciano la figura di un personaggio che nel calcio avrebbe lasciato, secondo i media, solo disastri. Lui però si difende: «Molta della stampa italiana mi ha infangato, ma io rientrerò nel mondo del pallone dalla porta principale». Prosciolto dalle accuse di riciclaggio e collusione con la criminalità, Belardelli ha deciso adesso di acquistare una squadra di calcio albanese. «Non importa dove e come, il calcio ce l'ho nel sangue. Ho trascorso mesi in carcere senza avere mai subito un regolare processo, ma sono stato prosciolto su tutto perchè il fatto non sussiste. Ora ho un conto aperto con la giustizia italiana».

Alla soglia dei 65 anni forse è arrivato il momento di guardarsi indietro. Di tracciare un bilancio. Soprattutto se il recente passato è fatto di vicissitudini a dir poco incredibili e rocambolesche che ti hanno lasciato dentro sofferenze e segni indelebili. Pietro Belardelli, classe 1945, imprenditore romano con la passione per il calcio, ha una voglia matta di raccontare e di raccontarsi. Uno che con il mondo del pallone avrebbe voluto e potuto, a suo dire, davvero scrivere pagine di storia importanti. Cominciando dalla sua avventura in Svizzera, con il Lugano. Ma bisogna partire dall'oggi e tornare indietro per capire perchè Belardelli sostiene di avere decisamente un credito aperto con la fortuna, una voragine dice lui, e perchè soprattutto ha voglia dentro di rivalsa, nei confronti di chi lo avrebbe screditato e portato alla soglia della rovina. Belardelli ha trascorso mesi dietro le sbarre, a Reggio Calabria, con accuse pesantissime, mai provate, senza mai un reale processo a suo carico. Accuse che parlano di riciclaggio e collusione con la criminalità. Mesi di detenzione che non ne hanno minato però lo spirito battagliero. Accuse pesantissime, nate dal suo rapporto con un certo notaio Quadri, ai tempi della dirigenza del Lugano. Si, perchè Belardelli, per fare calcio ha girato l'Italia, sostiene sempre di avere lasciato senza un debito le sue squadre, eppure quel calcio che tanto ama gli ha spesso voltato le spalle. Un rapporto difficile con i giornalisti, con i tifosi. Secondo la stampa sportiva tre gestioni totalmente fallimentari: prima Lugano, poi Castel di Sangro, infine Lecco, poche settimane per la verità in Lombardia prima che la società lombarda fosse chiusa e messa in liquidazione. Belardelli adesso è un uomo libero, le accuse nei suoi confronti, da parte della procura di Milano (decisivo il passaggio del suo caso da Reggio Calabria a Milano) sono state come cancellate. La sua fedina penale è pulita. Ma restano il carcere, le sofferenze morali, la voglia di dimostrare che non ha mai voluto prendere in giro nessuno ma che aveva davvero voglia di fare calcio. Non importa dove. Tutto inizia alla fine degli anni 90 quando Belardelli decide di entrare nella finanziaria che gestisce la squadra di calcio del Lugano. Il suo è un ingresso in punta di piedi nel mondo del calcio, con umiltà, senza presunzione. Belardelli diventa il proprietario del Lugano Calcio ma non pretende dal primo momento di comandare. Non è nel suo dna. Sa bene che non conosce il calcio elvetico e allora affianca l'ex patron Jermini per capire, conoscere la realtà e prenderne poi in mano l'eredità nel momento giusto. Quello con la stampa svizzera e parte degli ultras sarà però un rapporto che non decollerà mai fino in fondo, nonostante gli ottimi risultati sul campo sotto la sua gestione ovvero una promozione dalla B alla A e una qualificazione in zona champions l'anno successivo prima di quelle famose dimissioni misteriosamente cancellate.

Così la Gazzetta dello Sport, nel luglio 2002, riassume le sue vicende personali in un articolo a firma di Manlio Gasparotto:
Belardelli, un uomo in fuga per il calcio
In 4 mesi ha comprato Castel di Sangro e Lecco lasciandole nei guai e senza mai pagare uno stipendio Ex dirigente del Lugano, ha preso gli abruzzesi a 3 giorni dal suicidio del presidente Cimminelli gli ha «dato» il Lecco. E lui ha scavalcato un muretto per evitare 80 tifosi
Da una parte un centinaio di tifosi urlanti. Dall' altra un muro e una scaletta per scavalcarlo e fuggire. Nonostante i suoi 57 anni, una scelta sin troppo facile per Pietro Belardelli, che venerdì notte ha dato l' addio al Lecco, e pur con la luna piena che illuminava il Resegone non deve aver trovato le parole poetiche di Lucia per dare il suo personalissimo «Addio ai monti». L' ultima fuga era datata 26 maggio, anche in quel caso c' erano i monti, quelli abruzzesi che circondano Castel di Sangro. Si giocava il ritorno dei playout, a 10 minuti dalla fine Pietro Belardelli aveva fatto perdere le sue tracce mentre la squadra scivolava mestamente in C2 grazie alla sua gestione. Enzo Jacobucci, uno dei titolari dello Sport Village Hotel, ancora lo cerca: non gli ha mai pagato il conto dell' ultimo mese 8.000 euro circa. Debiti e promesse, viaggi e fughe. Il calcio italiano scoprì Pietro Belardelli a marzo, l' 8, quando acquistò il Castel di Sangro. Erano passati tre giorni dalla scoperta del cadavere di Helios Jermini, presidente del Lugano, apparentemente suicida nel lago di Ceresio. Il legame? Belardelli era presidente della Lugano Gestioni Finanziarie Sa legata alla squadra di calcio. Jermini è morto quando è venuto a galla che con una finanziaria del Liechtenstein aveva distratto fondi per 108 milioni di franchi, utilizzando anche la squadra. In Svizzera sono veloci: il Lugano è già stato retrocesso in B ed a settembre potrebbe essere cancellato se la magistratura, che indaga anche su pagamenti in nero, dovesse intimare la restituzione anche solo di parte dei fondi scomparsi. Tre giorni dopo quel 5 marzo, comunque, Belardelli si prende il Castel di Sangro. La società è in difficoltà e il proprietario, Simone Gargano, in pratica la gira a Belardelli, ufficialmente il 23. La storia abruzzese di Belardelli dura due mesi e viene condita con: l' esonero di un allenatore (Paolo Specchia) che non si fa dettare la formazione, uno scivolone in classifica e la retrocessione. Oltre ovviamente al mancato pagamento degli stipendi dei giocatori, che già a marzo dovevano incassare febbraio. Belardelli non paga, sino a quando non riesce a girare la squadra a una cordata che si fa carico di tutto. Cosa ci guadagna? I suoi assegni postali non vengono incassati e lui recupera anche una buonuscita, a titolo di rimborso spese. Dalla Svizzera lo chiamano: il procuratore cantonale Stauffer, che nel 2000 aveva aperto su di lui un fascicolo di informazioni preliminari per titolo di riciclaggio dice che Belardelli non aveva portato denaro al Lugano, ma promesse e dichiara: «Ha più volte millantato una capacità finanziaria inesistente». Lui ribatte: «La miglior risposta è che in Italia una squadra me la sono comperata…». Qualche settimana dopo, da Roma, dove pare faccia l' imprenditore, Belardelli riappare a Lecco. Cimminelli, patron del Torino, vuol cedere la società e trova in lui l' uomo disposto a rilevarne le passività: «A noi risultano 2 milioni di euro di debiti, più mezzo milione di stipendi arretrati» spiega l' avvocato Tropenscovino, che cura gli interessi dei giocatori e dei tecnici che inseguono le loro spettanze. «Non vediamo lo stipendio da gennaio – dice Melosi, tra i giocatori più “arrabbiati” -. Ma la cosa scandalosa è che qualcuno abbia potuto cedere la società a un personaggio simile. Ci vanno di mezzo anche magazzinieri, massaggiatori e i giovani: nei loro confronti non è certo l' ultimo arrivato l' unico responsabile». A Lecco, comunque, Belardelli dà il meglio di sè. Arriva con Martino Scibilia (procuratore che a Castel di Sangro, per errore, lui aveva promosso team manager), Peppino Tirri (agente Fifa, che lavora con lui dai tempi del Lugano) e Giuliano Sonzogni, che in Svizzera aveva portato il Lugano dalla B alla A. Non si parla di debiti o difficoltà, ma si fanno piani arditi, mentre dietro le quinte ai giocatori vengono promessi gli arretrati: il 12 luglio sono convocati «per il ritiro degli stipendi». In realtà in sede trovano solo un piano rateizzato per coprire gli arretrati. Non accettano. Il presidente della lega di C, Macalli, si preoccupa, si informa, per tutta risposta in lega arrivano i documenti per l' iscrizione e un assegno postale di 15.000 euro. «Respinto per mancanza di fondi: abbiamo deferito Belardelli per illecito amministrativo – spiega Macalli -. I pagamenti? se qualcuno accettasse dei post-datati, sappia che lo denuncerò io stesso». Nel frattempo sul Lario una festa tira l' altra, Belardelli porta i tifosi al ristorante e annuncia: «Regalo un pullman al Lecco». In realtà lo affitta e ci fa scrivere sopra Calcio Lecco. E i giocatori aspettano, vanno in ritiro, sino a quando tornano a casa. In 15, gli «acquisti», lasciano la squadra. Lui convoca gli altri da un avvocato: «Salvo la società, ma non ho soldi per voi». Si arriva alla serata di venerdì. Belardelli accetta l' invito di Tele Unica, emittente locale, per spiegare le sue ragioni. Lui parla, i giocatori chiamano e al telefono raccontano un mese di prese in giro. Intanto gli ultrà si radunano sotto la sede della tv, hanno già capito come andrà a finire e vorrebbero togliersi qualche soddisfazione. La Digos non perde un minuto, fa uscire Belardelli da una porta secondaria, lo aiuta a scavalcare il muretto e lo invita a lasciare la città. Sabato in 500 hanno sfilato in corteo, mentre Belardelli da Roma accusava: «Stavo per salvare il Lecco. E' colpa loro. Ora vendo, ma voglio 4 milioni di euro». Per restare in C1 servono liberatorie e fidejussioni. Un miracolo. A meno che Cimminelli non ci ripensi.

«TUTTO FALSO»
Belardelli si difende: «A Lugano hanno giocato sporco con la mia persona, Jermini per primo, il notaio Quadri poi. Nel primo caso nel momento in cui ho affiancato il proprietario Jermini mi sono sempre stati nascosti debiti e bilanci del passato. MI hanno usato praticamente come capro espiatorio, perciò mi sono dimesso e la stampa svizzera negli anni che sono rimasto li mi ha massacrato. E in pochi sanno che avevo già dato le dimissioni da tempo proprio perchè avevo capito che mi erano stati nascosti i libri contabili. Vedere a tale proposito articolo del settimanale italiano in Svizzera il Caffè, datato 16-22 ottobre 2000. Jermini è morto in circostanze misteriose e non capisco con quale coraggio il mio nome sia stato associato da parte della stampa a questo funesto episodio. Quadri poi è stata la causa indiretta della mia rovina in quanto sono venute fuori intercettazioni telefoniche nelle quali il notaio mi proponeva all'epoca della presidenza del Lugano acquisti di fantomatici titoli azionari. Io non ho mai acquistato e nemmeno visto questi titoli, e sono stato coinvolto in un procedimento senza prove mentre Quadri in attesa di essere prosciolto è rimasto tranquillo e beato in Svizzera». Belardelli è un fiume in piena: «Ho riportato il Lugano in serie A, sotto la mia gestione siamo non solo tornati nella massima serie ma abbiamo anche ottenuto l'anno dopo la partecipazione in Champions League. Ho voluto io allenatori come Sonzogni, che poi ho richiamato in seguito, e Roberto Morinini. E pensate che quando mi sono dimesso qualcuno ha pensato bene nel consiglio di amministrazione di far sparire nel nulla queste mie dimissioni in quanto anni dopo il Tribunale di Lugano, dopo la misteriosa morte di Jermini, mi comunicò che io ero ancora presidente della squadra. E qui ho nelle mani un documento del tribunale che prova quanto sto dicendo. In Svizzera ho anche rischiato di morire, ci sono articoli di giornale che raccontano di quella volta in cui hanno tentato di investirmi. Sono vivo per miracolo».

DOPO LUGANO L'ESPERIENZA CASTEL DI SANGRO, POI LA “TOCCATA E FUGA” A LECCO
I giornali italiani mi hanno massacrato e non mi hanno mai dato il diritto di difendermi. Oggi attraverso questo articolo voglio farlo. La Gazzetta scrive che io centrerei qualcosa con la morte di Jermini. Assurdo. A Lugano ripeto con me hanno giocato sporco. Ci stavo per rimettere la pelle, non mi volevano, forse perchè ero romano, e anche vincente. Chissà. E pensate che ho fatto tanto per il calcio, non solo per la squadra, ho anche realizzato un programma televisivo sportivo con uno share altissimo. Così decido il 5 marzo del 2001 di acquistare il Castel di Sangro, in C1. Anche qui i giornali hanno scritto di tutto. Che non ho pagato i giocatori e ho lasciato addirittura debiti negli alberghi, non è affatto vero, sono solo falsità. Forse debiti della precedente gestione, non miei. L'unica cosa che rimpiango è la retrocessione in C2 sul campo dopo i play-out. In Abruzzo ho fatto il mio dovere fino in fondo poi sono andato via ho venduto la società. Per un solo euro. E ci sono anche qui documenti che lo provano. Sono stati 4 mesi in cui ho dato il massimo, ma la passione è evidente non paga.

IL CASO LECCO
Il 12 luglio 2002 Belardelli arriva a Lecco e su proposta dell'allora patron ex Torino Cimminelli decide di acquistare la locale squadra di calcio. «In poche settimane succede di tutto. Vengo visto come la causa del disastro Lecco quando invece la società era pesantemente esposta dal punto di vista debitorio e non certo per colpa mia e alla fine inevitabilmente l'iscrizione all'allora c1 non avviene. Ma io ci ho provato, ho fatto di tutto, ho mandato la squadra in ritiro, ho preso di nuovo Sonzogni in panchina che era con me a Lugano. Non mi è rimasto però altro da fare che mettere in liquidazione la società per non farla fallire e lasciarla senza debiti. E poi c'è la storia del pulmann: incredibile hanno scritto che non lo avevo comprato ma noleggiato, ma nessuno sa che qualcuno della società per screditarmi lo affittò per una gita scolastica per poi raccontare ai giornali che non era mai stato acquistato ma solo affittato».

QUELLA NOTTE A TELE UNICA, «SOLO BUGIE» – Hanno scritto di tutto, che sono fuggito via da Lecco perchè i tifosi inviperiti mi inseguivano. Niente di più falso. Prima di andare via sono apparso in diretta televisiva due volte. Nella prima avevo detto a chiare lettere che sarei andato via, che i debiti erano tanti, e che ero pronto a cedere la società gratis a ipotetici compratori che non si sono mai fatti avanti. Ho atteso, poi sono riapparso in tv, e ho fatto ciò che potevo fare. Ho detto che avrei chiuso la società e così è stato. Alcuni ultras erano arrabbiati e la Digos quella sera per la mia incolumità ha pensato bene di farmi uscire scortato dagli studi di Tele Unica. I giornali hanno romanzato. Io che scappo, che lascio di nuovo debiti e disastri. Che in 4 mesi faccio fallire due squadre. Assurdo. Incredibile.

IL PRESENTE E IL FUTURO DI PIETRO BELARDELLI
Oggi Belardelli è un uomo nuovo. Dal punto di vista imprenditoriale le cose gli vanno a gonfie vele, ha ottenuto riconoscimenti importanti come uomo di affari in Bulgaria e in Albania. Ha lasciato l'Italia, e dopo l'esperienza del carcere, che ti prova moltissimo dal punto di vista fisico e morale, lavora soprattutto all'estero e cerca lontano dal nostro paese quelle soddisfazioni che non ha ottenuto qui. E ci sta riuscendo. Belardelli vuole dimostrare che non è quel personaggio che chiamavano il cugino povero di Alberto Sordi, quella persona con cui i giornali si divertivano a giocare scherzando sul suo aspetto fisico, la sua magrezza o i completi color pesca che indossava. «Sono un imprenditore serio, ho conosciuto anche il carcere, ho un conto aperto con la giustizia e con il mondo del calcio. Sentirete ancora parlare di me». Una riflessione alla fine di questo articolo-inchiesta è doverosa: perchè la stampa si è accanita in questo modo contro quest'uomo. Se lo domanda lui stesso. «Mi hanno criticato, mi hanno gettato fango addosso, nonostante questo, io non ce l'ho con nessuno, non voglio il male di nessuno. Quante querele avrei potuto sporgere, ma il mio legale Paolo Bonaiuti, mi ha sempre portato a piu miti consigli e non ha sbagliato. Mi ha sempre detto la giustizia trionferà e ha avuto ragione». «Oggi mi domando come mai i giornali, la gente, ce l'ha avuta a morte con Belardelli, mettendolo sulla croce, definendolo un venditore di fumo e un millantatore, quando invece i risultati sportivi parlano chiaro. Vi invito a leggere i giornali dell'epoca, che qualcuno ha voluto ignorare, perchè per fortuna i risultati sportivi sono evidenti. A Castel di Sangro, corriere dello sport del 18 maggio 2002, dietro il mio supporto e sotto la mia presidenza, la società abruzzese pur retrocessa alla fine di quel campionato, fu superato brillantemente l'esame Covisoc. Non ho lasciato debiti e conti aperti, anzi. Me ne sono andato alla fine della stagione cedendo la società alla signorina Fausta Bergamotto per un solo euro, e dico un solo euro. A Lecco infine data la pesante esposizione debitoria della società che sarebbe aumentata iscrivendo la squadra ad un nuovo campionato di c1dal momento in cui non c'erano quei famosi compratori, si è pensato di chiudere la società, che però anche per mio intervento è stata messa in liquidazione, cioè sono stati onorati tutti i pagamenti dei debiti dal patron Cimminelli e non c'è stato nessun fallimento. E' una colpa chiudere una società e pagare i debiti? Voglio quindi chiudere dicendo che un uomo, soprattutto un imprenditore, può anche essere distrutto da tutto questo. E perchè mai nessuno ha scritto che sono stato archiviato dalle accuse di riciclaggio e collusione con la criminalità e che sono stato dichiarato completamente innocente? Nessuno lo ha scritto, allora lo dico io. Basta. Belardelli non ha rancore con nessuno è un uomo di cuore. E come tale voglio continuare a vivere, a dio piacendo…»
Una ultima domanda vogliamo farla a Belardelli, una domanda che riguarda quel mondo del calcio che tanto ha amato che ma che tanto lo ha fatto soffrire.
Ma lei tornerebbe a fare il presidente di una squadra di calcio?
«Voglio rispondere dicendo che dopo il carcere, lavorando come uomo di affari prima in Bulgaria poi in Albania, qui soprattutto grazie ad un sindaco di un piccolo paese, ho capito che ci sono ancora uomini per i quali la parola, la moralità conta qualcosa. Vi dico solo che sono vicinissimo ad acquistare una squadra di calcio, proprio in Albania. Perciò sentirete ancora parlare di me, Belardelli vuole ancora mettersi in gioco, combattere, competere, non ho perso la voglia di vivere».

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