La crisi e la Berlusconomics: verso i Ferrari-Italia bond?

di Emilio Carnevali

Se proprio dovessimo scegliere un’espressione che più di ogni altra racchiude lo spirito della Berlusconomics – un po’ come “Lo Stato non è la soluzione è il problema” per Ronald Reagan o, tornando un po’ indietro nel tempo, “Soviet più elettrificazione delle campagne” per Lenin – potrebbe senz’altro essere rintracciata nelle funamboliche proposte che il nostro lanciò per affrontare la crisi della Fiat Auto nel lontano 2002. Anche allora nelle vesti di Presidente del Consiglio, Berlusconi sferrò un duro attacco al management Fiat e fornì la propria ricetta per il rilancio della storica azienda torinese: cancellare il marchio Fiat e sostituirlo con quello Ferrari. “Pensa ad una Stilo-Ferrari, forse?”, gli domandò Bruno Vespa durante la presentazione del suo libro La grande Muraglia, consueta cornice istituzionale per i passaggi pubblici più delicati del nostro Presidente del Consiglio. “Non una Stilo-Ferrari – replicò Berlusconi – casomai un’auto chiamata sempre Ferrari o Super-Ferrari…”. Semplice, no?
Lo stesso approccio pattaccar-creativo si rintraccia nell’attuale “gestione” (le virgolette sono d’obbligo in questo caso) di una crisi economica che nel nostro Paese si sta facendo sentire di più – e non di meno, come continuano a ripetere gli altoparlanti del governo– che nel resto d’Europa.
Tra i pochi elementi di discontinuità può essere rintracciato il passaggio dal modello Vanna Marchi (che il premier vedrebbe probabilmente bene alla guida del Fondo Monetario Internazionale al posto di Dominique Strauss-Kahn) al modello Mesbah, dal nome dell’ayatollah Mohammed Taghi Mesbah Yazdi, punto di riferimento dell’ala più oltranzista del regime di Tehran, nonchè autore di analisi fra le più acute della politologia islamica contemporanea. Suo è ad esempio l’illuminate aforisma: “Non ha importanza quel che pensa la gente. La gente è ignorante come una capra”.
Sulla stessa linea – sempre pronto ad intercettare le ultime tendenze e mode di pensiero, a dispetto di un’anagrafe apparentemente sfavorevole – si sta muovendo il nostro Presidente del Consiglio, che va ripetendo da mesi come la crisi economica sia “eminentemente psicologica”.
Bankitalia prevede una flessione del Pil del 5% per il 2009? L’Ocse addirittura del 5,5%? L’Istat dice che l’indice dell'occupazione nelle grandi imprese è calato del 4,1% (al netto della Cig) rispetto all’aprile 2008?
E allora la soluzione è di “chiudere la bocca” a chi diffonde i dati e le statistiche: “Un giorno sì e uno no – ha detto il presidente del Consiglio presentando il decreto “anticrisi” (anche qui le virgolette sono d’obbligo) – le organizzazioni internazionali escono e dicono che il deficit è al 5%, che i consumi sono calati del 5%; crisi di qui, crisi di là, la crisi ci sarà fino al 2010, la crisi si chiuderà nel 2011… Insomma, un disastro”. Ha quindi ribadito quanto già detto a Santa Margherita Ligure di fonte alla platea dei Giovani Imprenditori (che però si chiamano tutti come i Vecchi Imprenditori): “Non date pubblicità a chi si comporta così”, non pagate inserzioni sui “media che tutti i giorni cantano canzoni improntate al disfattismo”.
Dietro questa coltre di pericolose imbecillità rimane la dura realtà di una manovrina d’estate improntata – come ha spiegato molto bene Tito Boeri su Repubblica (27/7) – al più autentico spirito della Berlusconomics: “un pacchetto di interventi altamente eterogenei, accomunati solo dalla loro natura transitoria e di piccola entità”. Roba per i prossimi spot a Porta a Porta. Insomma, le parole d’ordine sono sempre quelle: “guadagnare tempo” e “negare sempre e comunque l’evidenza”.
Alle brutte potremmo provare con il marchio Ferrari per i titoli del debito pubblico: i Ferrari-Italia bond. Suona bene, no?

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