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Pizzica Pizzica senza velo senza barba sull’ Iran

Ricevo ed inoltro, a distanza di pochissimi giorni il secondo contributo di Patrizia Fiocchetti sull’ Iran, confidando che siamo sempre meno tra donne e sempre più tra pari, nello scambio di informazioni e analisi.
Anche questa volta ci fa da ponte Cristina Cattafesta.
Pizzica pizzica alla vostra attenzione…a fare Ensemble*.

Doriana Goracci
Vorrei dividere questo mio contributo in due parti. La prima, un punto di
vista sugli sviluppi della lotta di potere interna all’establishment
religioso. La seconda rivolta allo scenario internazionale e agli
effetti sui piani occidentali per una “normalizzazione” di Afghanistan e
Irak.

1 – Ho già scritto che pensare che Musavi possa rappresentare il
cambiamento in Iran è fuori questione. Musavi come d’altronde l’altro
candidato Karroubi, si continuano a muovere nell’ambito dell’ordine
costituito. Una frase di Musavi mi ha colpito molto: rivolto ai
dimostranti, ai giovani rimasti a scontrarsi nelle piazze di Tehran, li
ha invitati a continuare a manifestare ma “pacificamente”. Ma quando mai
sarebbero scesi armati per le strade? O piuttosto non è altro che un
continuare a sottolineare come il sistema non vada attaccato
frontalmente e nel sistema, appunto, sono compresi anche coloro che lo
proteggono a qualsiasi prezzo e sprezzo della vita umana? I basiji,
diventati tanto famosi in quest’ultimo periodo, sono miliziani presi nel
periodo adolescenziale e addestrati, meglio indottrinati, quali baluardi
del regime.

Ma superata la digressione, il punto nodale sta nella spaccatura venuta
mai come prima d’ora all’onore della cronaca, all’interno della
componente religiosa. Non che gli scontri fra le varie fazioni non
fossero da tempo già in essere. Tanto per storicizzare, i primi screzi
tra i suoi fedelissimi si sono consumati dinanzi al cadavere di
Khomeini. Questi, dopo il ripudio di Montazeri quale delfino, resosi
colpevole di aver scagliato delle secche accuse al regime per l’assurdo
numero delle esecuzioni di oppositori nelle carceri iraniane, non aveva
nominato un nuovo successore lasciando un vuoto di potere
pericolosissimo alla sua morte, in considerazione di come è costruito
l’impianto della Costituzione della Repubblica Islamica dell’Iran.
Khamenei non era certamente il candidato ideale vista anche la
mediocrità della sua persona e degli studi giuridici religiosi. Il più
adatto sarebbe stato certamente Rafsanjani, il più fedele alla “linea
dell’Imam”. Ma questi era e rimane un “turbante bianco”,
un’hojatoleslam, e quindi non adatto a coprire il ruolo del Vali – e –
faghih. Per questo, la scelta frettolosa e obbligata – mi ricordo ancora
che la notizia del decesso di Khomeini fu ritardata di una notte – di
Khamenei al ruolo di guida spirituale. Da allora, la lotta al vertice è
stata condotta in vari modi e a vari livelli, ma mai si era scalfito
l’ordine sancito dalla Costituzione di Khomeini e il suo sistema
piramidale con cui sino ad oggi si sono riusciti a bloccare anche i
timidissimi tentativi di apertura sociale.

Con le manifestazioni di piazza di queste ultime settimane, ripeto, si è
colpita innanzitutto proprio la figura di Khamenei che esce decisamente
indebolita nel suo ruolo di fonte infallibile. E’ improvvisamente
sembrata estremamente umana, coperta dalla polvere degli scontri delle
piazze. Questo non era mai successo al suo predecessore, neanche quando
aveva ordinato di sparare ad altezza d’uomo contro le dimostrazioni del
1981. Ci sono voci che parlano anche di una manovra occulta di
Rafsanjani presso i prelati di Qom per arrivare all’empeachment di
Khamenei e alla sua sostituzione – tanto perché tutto è permesso tranne
intaccare il sistema alle sue basi fondanti. Possibile: non
dimentichiamo che il “turbante bianco” è meglio conosciuto negli
ambienti iraniani come “lo squalo”.

Ma il punto, scusate se mi ripeto, è proprio che la figura del Vali – e –
Faghij ha subito un duro attacco ed è uscita indebolita nello
svolgimento del suo ruolo effettivo come dettato dalla Costituzione. In
sua difesa, in difesa di quanto Khamenei aveva annunciato nel corso
della famosa preghiera del venerdì in cui si schierò nettamente a fianco
di Ahmadinejad, sono scesi i temibili ma potenti guardiani della
rivoluzione, i pasdaran. Il corpo dei pasdaran gestisce un capitale
economico-finanziario enorme, e può a buon titolo considerarsi l’unica
realtà politica organizzata in Iran. Già prima delle elezioni avevano
scelto con quale candidato schierarsi e hanno appoggiato Ahmadinejad,
anche contro il loro ex comandante, Mohsen Rezaii, uno dei più spietati
che la storia repressiva del paese ricordi. Guardando a tutti questi
fattori e allo svolgersi degli eventi, ascoltando le ultime
dichiarazioni di Ahmadinejad, si ha l’impressione che chi potrebbe
uscire rafforzato da questa vicenda è proprio lui, il presidente eletto,
brogli o non brogli. Ma rafforzato non tanto a scapito dei suoi
avversari alle urne, quanto proprio rispetto alla carica più alta del
sistema-regime, e cioè alla guida spirituale, a Khamenei, a colui che
fino ad oggi ha avuto il potere di imbavagliare la stampa, bloccare le
riforme ma soprattutto contenere il potere esecutivo.

Se sarà così, lo si vedrà a breve. E non senza conseguenze a livello
internazionale.
E qui passo al secondo punto.

2 – Diverse le voci che si sono levate stupite di fronte ai toni
estremamente morbidi utilizzati dalle varie diplomazie occidentali e
soprattutto del documento finale dei ministri degli esteri del G7 che ha
semplicemente “deplorato” la violenza che si sta consumando in Iran
contro i dimostranti. Nessuna condanna. Ma l’occidente ha bisogno
dell’Iran per uscire dal disastro afgano dove rischia di giocarsi non
solo la faccia, ormai già bella che andata, ma il futuro di guardiano
militare del mondo. A differenza dell’Iraq, in Afghanistan è impegnata
la Nato e sono le sue forze armate che stanno prendendo sonore batoste
dai talebani e dai miliziani di Al Qaeda. Gli Stati Uniti in testa,
vogliono tenere fuori Al Qaeda dai confini afgani prevedendo in questo
modo più semplice il contenimento dei combattenti talebani sia
militarmente ma anche tramite accordi ad hoc con quelle componenti
considerate “moderate” (non si sa bene in base a quali criteri).

Al Zarkawi, numero due di Al Qaeda, in uno dei suoi ultimi comunicati
alle forze mujaheddin si è scagliato contro il peggiore nemico
dell’Islam, l’Iran sciita di Ahmadinejad. E’ stato buttare benzina sul
fuoco del contenzioso religioso che quotidianamente infiamma l’Iraq:
kamikaze e autobomba che esplodono nelle città, nei mercati, nelle
moschee e ne quartieri sciiti di Baghdad facendo temere per il vuoto che
lascerà l’imminente disimpegno statunitense dal paese. Per non parlare
degli scontri avvenuti tra sunniti e sciiti prima delle elezioni nel
Baluchistan iraniano, regione al confine con l’Afghanistan e soprattutto
zona di traffico di droga e armi.

L’Iran è diventato nel mondo musulmano il primo paese che ha fatto della
lettura integralista il proprio sistema legislativo, apripista e maestro
per tutti quei paesi musulmani, anche a maggioranza sunnita, e per
movimenti quali Hamas e Hezbollah. Le donne lo pagano giorno dopo giorno
sulla propria pelle. Ma rimane inviso a quelle forze radicali, di
matrice hanbalita o waabita, che paragonano gli sciiti a dei
miscredenti, passibili di morte.

In questa logica, l’Iran avrebbe nei piani USA e delle forze occidentali
un doppio ruolo: di forza deterrente contro Al Qaeda in Afghanistan, ma
soprattutto di forza garante di un certo equilibrio politico in Iraq,
con il ritiro del contingente militare statunitense entro il 31 dicembre
2011.

A tutto ciò, alla solita realpolitik possono essere sacrificate alcune
centinaia di giovani che armati di sogni o ideali provano a dare una
spallata ad un regime che reagisce nell’unica maniera che da sempre
conosce e reputa irrinunciabile. Come dialogare con i suoi
rappresentanti?

Ma anche qui la posizione del governo iraniano è in continuo movimento.
Di fronte alle dichiarazioni, pur blande e di prassi, prese dalle
cancellerie occidentali e di fronte alle parole di Obama, i vari
portavoce iraniani, da ultimo Ahmadinejad in persona, si sono
irrigiditi, e al di là dei vari proclami di guerra, molto più ad uso e
consumo interno, non si può prevedere la posizione che questo paese
potrebbe assumere sia rispetto all’Afghanistan ma ancor più nella per
nulla sopita polveriera irachena, il cui governo è già da tempo sotto
l’influenza di Tehran (vedete la situazione di Camp Ashraf dei Mojahedin
del Popolo).

Personalmente, ho sempre pensato che l’applicazione di parametri o
strategie occidentali non potesse funzionare. E i risultati degli ultimi
anni stanno sotto gli occhi di tutti. Trattandosi di Iran, della stessa
ragione del suo regime e della sopravvivenza del suo sistema, questo
vale ancora di più. La comunità internazionale sta mancando l’ennesima
occasione di imporre delle sanzioni serie e rigide all’Iran, partendo
dalla sanguinosa repressione ancora in atto, dalla cruenta e sistematica
violazione dei diritti umani, mai cessata, che, e questo veramente
potrebbe costituire per tutti noi la spia rossa che contraddistingue la
natura del regime iraniano, proseguono sfacciatamente sotto gli occhi
del mondo intero.

Patrizia Fiocchetti
Roma 30 giugno 2009


link e video


* La foto dell’Ensamble Hamdel è tratta da questo link

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