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Crisi del dollaro: cresce il dibattito sulle nuove monete regionali

Mario Lettieri, sottosegretario all’Economia nel governo Prodi
Paolo Raimondi, economista

Oltre che per gli effetti della crisi finanziaria e della conseguente recessione che investe l’economia reale, il commercio mondiale naviga a vista sempre “in balia” del dollaro. Il sistema di Bretton Woods, già profondamente indebolito dalla decisione del 15 agosto 1971, di sganciare il dollaro dal valore delle riserve auree, è stato nei passati 12 mesi definitivamente sotterrato dalla crisi finanziaria sistemica. Si calcola che in questi passati mesi il governo americano e la Federal Reserve, con i provvedimenti di salvataggio delle banche, i pacchetti di stimolo economico e le varie immissioni di liquidità, abbiano iniettato nel sistema finanziario americano una cifra pari a 13.000 miliardi di dollari, di poco inferiore al PIL USA.

Da più parti però ci si interroga sul valore effettivo del dollaro, sul rischio di svalutazione e sulla sua incidenza sul commercio mondiale.

Le preoccupazioni sono fortissime e visibili in tutte le capitali del mondo. L’Europa è ovviamente molto preoccupata anche se l’EU può operare in euro, la moneta regionale per eccellenza, sul suo gigantesco commercio interno. Molti stati, a partire dai produttori di petrolio, hanno voluto in passato ovviare al pericolo di una dipendenza troppo asfissiante dal dollaro cercando agganci con l’euro, ma poi hanno desistito per il timore di innescare un conflitto molto rischioso per la stabilità dell’intero sistema monetario e dei pagamenti internazionali.

Oggi sono le potenze economiche emergenti, cioè il BRIC (Brasile, Russia India e Cina) che vorrebbero sperimentare soluzioni alternative.

He Yafei, vice ministro degli Esteri cinese, recentemente ha detto che il dollaro non è da buttare a mare e che lo yuan non può diventare una moneta di riserva nel prossimo futuro, ma la moneta cinese può avere un ruolo importante nei rapporti tra i 4 del BRIC. Infatti la Cina ha già stipulato contratti “swap” in yuan contro gas e materie prime con la Russia e il Brasile ed è in trattativa per simili accordi con l’India. Ha già fatto scambi commerciali in yuan con una dozzina di stati per una valore totale di 650 miliardi di yuan, circa 100 miliardi di dollari. In queste delicate operazioni per il momento la Cina sfrutta l’esistenza del cambio fisso con il dollaro, giocando quindi di sponda, senza sfidare frontalmente l’America. Recentemente il Financial Times ha riportato che la Construction Bank, la seconda banca cinese, sta offrendo linee di credito denominate in yuan per rendere la moneta cinese maggiormente usata a livello internazionale.

Si ricorda che alla vigilia del G20 di Londra dello scorso aprile il presidente della Banca Centrale cinese rivendicò un possibile ruolo di riserva dei Diritti Speciali di Prelievo, che è l’unità di conto del FMI basata su un paniere di varie monete.

E’ evidente che la Cina voglia essere protagonista attiva nella definizione di un nuovo ordine economico mondiale e dei compiti delle istituzioni finanziarie internazionali. Finora essa, pur essendo la terza economia mondiale, non fa parte del G8 e nel FMI detiene una quota di voto inferiore a quella del Belgio.

La Russia sta andando nella stessa direzione. Il recente Economic Forum di San Pietroburgo ha infatti posto al centro della discussione il ruolo del rublo come futura moneta internazionale. Lo stesso presidente Dmitry Medvedev vorrebbe fare della capitale russa un centro finanziario internazionale e perciò rendere il rublo una forte moneta regionale di scambio, stabilendo i prezzi del petrolio, del gas, ecc. in rubli e non più in dollari. In pratica l’eccessiva dipendenza dell’economia mondiale dal dollaro è ritenuta da più parti una delle cause principali della crisi attuale. Medvedev, come è noto, chiede un nuovo sistema di riserva basato su un paniere di monete differenti, dove abbiano un ruolo anche i Diritti Speciali di Prelievo e l’oro.

Cina e Brasile hanno già incominciato a sperimentare commerci in monete nazionali. Brasile e Russia stanno per raggiungere un accordo di principio per sviluppare il loro commercio senza passare attraverso l’intermediazione del dollaro. Questo stesso tema ha avuto ampia risonanza nel seminario internazionale svoltosi lo scorso dicembre a Curitiba, nello stato brasiliano del Paranà, cui hanno partecipato anche gli scriventi.

I paesi del BRIC cercano quindi un’alternativa al dollaro.

Nei prossimi incontri del G20 riteniamo che questo problema, insieme a quello delle regole finanziarie, non possa essere ignorato. La rifondazione del sistema finanziario non può prescindere da quello del sistema monetario, altrimenti queste spinte verso le monete regionali, nel contesto di una crisi epocale del dollaro, potrebbero generare un’anarchia monetaria che sarebbe esiziale per il commercio mondiale e globalizzato.

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