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Vite difficili – Daniele: un milanese a Salvador da Bahia

Vi è una nuova emigrazione che trova poco spazio nelle cronache e persino
tra coloro che si occupano degli italiani nel mondo.Molto spesso di questa
nuova emigrazione molto più composita e più consapevole del passato si
evidenzia la parte imprenditoriale,la parte che riguarda la cosiddetta
eccellenza nel mondo.Essa invece è composta da tante gente normale che alla
fine rispetto a quello che ha lasciato,vive una vita altrettanto normale ma
non torna più per tanti motivi,compresi quelli familiari.Gente normale a cui
a volte le cose non vanno bene,anzi vanno male con la differenza che se sei
in Italia qualcuno si occupa di te ma se si all'estero no.Tutto ti risulta
più difficile,tutto si complica.Noi ,dopo essere stati autorizzato
dall'interessato,vi raccontiamo la storia di Daniele ,milanese a cui le cose
in Brasile non sono andate così bene,Non la presentiamo certamente ne' per
dare giudizi morali della serie è meglio starsene in Italia nè sul
protagoniosta della storia.Il nostro scopo è quello di tenere vivo le
questioni della nuova emigrazione per trovare quelle soluzioni che
consentano ai nostri connazionali di avere quelle protezioni sociali che
hanno in Italia e per sollecitare chi di dovere ad attivarsi quando vi sono
degli italiani bisognosi di aiuto.La nostra rete consolare .lo dico con
convinzione,esprime funzionari capaci ed impegnati..ma devono essere messi
in condizioni di operare ecertamente le notizie di un ridimensionamento per
motivi economici della nostra rappresentanza all'estero non possono che
preoccuparci.

Un cordiale saluto

Daniele Marconcini
Presidente AMM ONlus
Vice Presidente Nazuionale dell'UNAIE

Vite difficili – Daniele: un milanese a Salvador da Bahia

Mi sveglio intorpidito con la sensazione di un volto deformato come se fosse
di pongo.
Mi tocco la mascella come a ricomporla, ma il telefono si mette a strillare
ed esige che mi svegli definitivamente. E' Daniele che mi fissa un
appuntamento davanti al Teatro Castro Alves, un'Istituzione per la Salvador
intellettuale: gli eventi culturali più seri vi si svolgono inevitabilmente.
A fissare l'ora sono io che debbo accompagnare mia figlia Carolina
dall'insegnante di supporto alle due non distante dal teatro. Arrivo sul
posto in orario e telefono a Daniele; mi chiede di fare il giro della piazza
per andargli incontro; vado e lo aspetto davanti il Tropical Bahia Hotel,
storico albergo di lusso della città dove questo smilzo ragazzo quarantenne
dai capelli lunghi e con barba e pizzetto alla D'Artagnan, arriva con l'aria
innocente e sperduta che lo caratterizza. Pioviggina e perciò lo invito ad
entrare in macchina e a parlarmi dei suoi problemi. Mi mostra una ferita
cicatrizzata al piede che è stata all'origine delle ultime e più gravi
difficoltà e mi sommerge con tutti gli accadimenti degli ultimi vent'anni.
Decidiamo di fare qualche foto del luogo dove sta abitando, Gamboa de baixo
(Gamboa Bassa) per meglio spiegare la situazione di difficoltà che si è
trovato ad affrontare e le contraddizioni di una realtà di terribile degrado
igienico sanitario, di estrema difficoltà per anziani e malati, ma al
contempo di un forte fascino panoramico e sociale. Si è avvicinata l'ora in
cui Carolina finisce le ripetizioni e perciò ci diamo appuntamento a casa
sua per dare ordine e dettagli alla sua storia e fare qualche foto
esemplificativa. Piove ancora quando lo lascio andare a piedi ancora
leggermente zoppicante.

Ad intervalli quasi regolari piove da settimane, a volte è una pioggia fine
e snervante, a volte si tratta di acquazzoni veri e propri; in città si
hanno notizie di sciagure ampiamente prevedibili per come sono lasciate
costruire le case nei quartieri periferici, senza alcuna visione preventiva
dei tecnici comunali, sui cigli di dirupi dove finiscono i rifiuti domestici
e ingombranti, sopra terreni spesso di riporto spesso in completa assenza
delle normali opere di urbanizzazione; in un mese 12 morti e centinaia di
famiglie dalle case distrutte dai tetti sfondati o dallo smottamento dei
terreni sottostanti. Più a nord, nel Maranhão, nel Cearà, nel Parà, a causa
delle piene inusitate di quest'anno, sono milioni le persone che ancora
sguazzano nel fango, centinaia di migliaia le famiglie disalloggiate che
dormono in alloggi di fortuna vivendo un disagio inumano, per le strade
inagibili, per le scuole da raggiungere in barca, per gli ospedali chiusi,
mentre nell'estremo sud al confine con l'Argentina, nello stato di Rio
Grande do Sul, non piove da mesi e la secca obbliga a razionare l'acqua e
rovina le coltivazioni.

Fra una pioggia e l'altra riesco, quattro giorni dopo il primo abboccamento
a rivedere Daniele nel suo ambiente, una piccola favela, Gamboa de Baixo,
abitata da circa 400 famiglie, situata giusto sotto l'area dei più ricchi di
questa città. In alto, ad un centinaio di metri dalla casetta quasi sul mare
che Daniele ha preso in affitto, si erge il palazzo dove abita la cantante
oggi meglio pagata, Ivette Sangallo che scende a mare in ascensore percorre
una trentina di metri sul molo e da una piattaforme elevabile con viti senza
fine per le maree, accede al suo yacht privato per andare chissà dove.

Daniele una volta l'ha ripreso sull'ascensore e da quel giorno i vetri sono
stati oscurati con le dovute pellicole fumè. Aspetto il nostro sull'Avenida
Contorno che “contorna” il primo tratto della Bahia de Todos os Santos
congiungendo la città alta con “a Cidade Baixa” e “O Comercio”, cioè i
quartieri residenziali della vecchia città con quello che una volta era la
“dawn tawn” e il porto cittadino. Adesso tutto si è spostato a Pituba, un
megaquartiere della nuova borghesia. La strada è di fatto il confine tra
ricchi e poveri e dal lato dei poveri la sera diventa anche il punto di
smercio del crack, questa droga dei poveri che manda in fumo i cervelli dei
ragazzini poveri di Salvador e ne spiega l'aggressività con i turisti. Un
bambino mi domanda una sigaretta e io gli do pochi centesimi; è tranquillo e
se ne va contento.

Guardo la bahia che si distende davanti a me, è bellissima, maestosa;
davanti c'è Itaparica una bella isoletta che sembra l'altro lato della
bahia, ma non è, perché la bahia è molto più grande, per contornarla ci
vogliono centinaia di chilometri. Scendo fra i poveri e i derelitti della
favela attraverso una scaletta quasi invisibile; hanno facce sorridenti,
sono le otto del mattino e c'è chi sale per andare a lavorare e chi si gode
un raro (per questi giorni) raggio di sole. Aspetto Daniele in un baretto
con una ampia veranda da cui si gode una vista stupenda della bahia. Yemanjà
(la dea del mare e la Madonna nel sincretismo religioso) protegge gli
abitanti di quest'area tanto appetita dagli speculatori edilizi. Chiedo un
cafezinho, ma non è ancora arrivato, mi accontento di un succo.

Daniele arriva con la faccia sorridente, si è ripreso dalle ultime
vicissitudini, la seppur modesta solidarietà di qualche connazionale lo ha
rimesso in pista, ha nuove speranze o nuove illusioni? Mi saluta e si siede
a fare due chiacchiere. Poco dopo decidiamo di scendere a casa sua.

Casa sua sono due stanzette ed una grande veranda in terreno battuto da dove
si vede il solito magnifico paesaggio della baia e delle barche dei
pescatori (storico mestiere degli abitanti della favela) ormeggiate a
regolare distanza l'una dall'altra.

Mi siedo nel divanetto minuscolo e Daniele in un sedia alla mia sinistra ed
inizia il suo racconto.

“Il mio ultimo viaggio in Brasile è iniziato nel 2005 con il fine di
iniziare una nuova vita”.

Lo interrompo per domandargli se era già venuto prima e lui mi risponde:

“La prima volta fu nell'88, già mi ero sposato, avevo avuto una storia molto
complessa ed avevo deciso di venire a stare qui; poi con l'avvento del
governo Collor che rovinò molte famiglie tornai in Italia con la famiglia
brasiliana che nel frattempo avevo costruito, inseguendo il sogno di fare i
soldi che mi permettessero di realizzare in Brasile qualcosa di serio.
Questo sogno non sono però riuscito a realizzarlo perché, arrivato in Italia
inseguendo il denaro, ho trascurato la famiglia che è finita allo sfascio.
Viaggiavo molto, un mese qui, un mese lì, andavo a Parigi.. facevo il
commerciante di opere d'arte con una impresa della famiglia che lavorava per
un pittore molto importante, italiano, Treccani ed inoltre lavoravo come
cameramen, la mia passione. In ogni caso non sono mai riuscito a mettere da
parte quel capitale che era la premessa per tornare in Brasile perché quando
si guadagnava bene veniva naturale pensare che occorresse sfruttare il
momento per fare soldi; ma mettendo da parte i soldi non si investiva
nell'impresa e quando poi veniva la crisi, si spendevano i soldi risparmiati
e alla fine, quando mia moglie ha deciso la separazione per venire in
Brasile ad abitare con la madre, sono entrato in depressione per questo
abbandono che era anche dei due figli che avevo avuto con lei ed ho smesso
di lavorare. Sai, mi domandavo il motivo dell'essere vivo, cosa era
veramente importante per me.. Quando ho visto che stando in Italia, così non
concludevo niente, ho abbandonato tutto, anche i soldi che avevo guadagnato
perché lo avevo fatto nell'ambito della Società, per qualche tempo ho
ripreso a fare l'operatore di camera ho racimolato qualche soldo finche non
c'è l'ho fatto più a restare a Milano e quindi raccolti circa 5.000 euro,
nel 2005 sono tornato definitivamente a Salvador.” A Salvador di questi
soldi ne sono rimasti praticamente un quinto perché se ne sono andati per il
viaggio, eccesso bagagli, qualche regalino ai miei figli. Con 1.000 euro
perciò son ripartito facendo il professore di Italiano e qualche
documentario con un operatore della RAI e sono riuscito così a tirarmi su. A
tirarmi giù vi ha pensato invece una ragazza brasiliana che ho conosciuto
quasi subito attraverso le lezioni d'italiano. Apparentemente sembrava una
povera ragazza dell'interno rurale che veniva a cercare fortuna in città e
voleva parlare italiano per trovarsi preparata in un eventuale viaggio in
Italia dove pensava di andare. Tre anni dopo ho scoperto che niente era vero
di tutto ciò, di fatto era una ragazza che prende i turisti, gli racconta
una storiella, un'espertinha, cerca di farsi compiangere, – da o golpe da
barriga, aggiungo io – che sarebbe farsi ingravidare e guadagnare così il
contributo economico fisso del padre.

Io non ero uno sprovveduto, queste cose le sapevo,avevo anche studiato
psicologia, fisiognomica, per passione, figurati se questa ragazza mi fa
fesso, pensavo; invece no, è riuscita con uno stratagemma a dire che era
incinta, poi in realtà non era incinta, ma io ho preso a non usare alcuna
protezione e quindi è poi realmente è rimasta incinta. Quando perciò ho
visto la pancia crescere, ho assunto le mie responsabilità, sia di questa
povera incosciente che non si rende conto del suo modo di vivere, che del
bambino. Lei aveva un altro figlio da un primo matrimonio con un brasiliano
ricco e insomma.. sono caduto in questa piccola trappola ed è nato un
bambino bellissimo, che ho battezzato Matteo Jacopo e ho regolarmente
registrato. Quindi ho portato avanti la famiglia, ho affittato una casa e
lei alla sua maniera spendeva tutti i soldi che guadagnavo comprando
frigoriferi nuovi e cose del genere. Io lasciavo fare in nome della sua
gioventù per vedere se metteva la testa a posto pensando di curarla da
questa sua visione per cui si può vivere soltanto sfruttando la vita degli
altri, cercando di trasformarla in una persona indipendente. Invece un
giorno, sono uscito alle 11 del mattino e quando sono tornato alle 16:30 a
casa, non c'era più niente, aveva venduto tutto, svuotato il conto in banca
ed è sparita con mio figlio. Dopodiché io sono rimasto senza una lira in un
momento di crisi economica perché c'era il carnevale che si avvicinava, le
scuole che chiudevano e quindi non avevo clienti per l'insegnamento; in ogni
caso sono andato a correre dietro al bambino cercando aiuto con l'avvocatura
pubblica, con la polizia civile, con la Polinter, cercando qualcuno che
difendesse i miei diritti di padre, ma pare che qui se la madre porta via il
bambino è tutto normale, non è un rapimento. – ma tu non sapevi dove erano
finiti? – interloquisco io – Io lo sapevo, che era a casa della madre, ma
ero senza una lira, lei era a 400 Km nell'interno dello Stato, a Jacobina,
in mezzo alle montagne, all'inizio della chapada Diamantina, la catena
montuosa dello Stato di Bahia al confine con quello di Minais Gerais.

Ma tu, -dico io – d'accordo che era un momento di difficoltà, ma riuscivi a
sbarcare il lunario, no?

No, perché quei pochi lavori che trovavo non riuscivo neanche a portarli
avanti preso com'ero a correre dietro alla giustizia per riavere il bambino.
Dopo un mese e mezzo ho dovuto abbandonare la casa non potendo pagare
l'affitto, ho chiesto qualche prestito ad un amico per tirare avanti, ma ero
estremamente depresso. Comunque ho cercato disperatamente lavoro tramite gli
uffici di collocamento locali, ma non sono riuscito perché il mio lavoro di
giornalista, cameramen o commerciante di opere d'arte non sono lavori comuni
ed io non avevo titoli per i lavori che l'Ufficio poteva rimediare. Per
questo in quel marasma sono caduto qui, in questa favela bellissima. Ho
chiesto ad un pescatore di aiutarmi, gli ho dato 100 Reais per affittarmi
questa casa, chiedendogli aspettare un po' che riuscissi a racimolare altri
soldi per l'affitto. Senza soldi del tutto non avevo neanche da mangiare, la
vicina mi domandava: ma tu non mangi? No, non ho fame rispondevo. Allora lei
senza dire niente mi portava un piatto di riso e fagioli e io tiravo avanti.
Un'altra volta era il pescatore che passava con il cesto di pesci e mi
diceva: Allora come va? Eh, niente, ho il frigorifero vuoto (frigorifero che
peraltro non funzionava). E lui mi lasciava un paio di pesci da cucinare.-
Ma non ho il gas, dicevo io. E tu vai dalla vicina a cucinarli – rispondeva
lui. Perché qui c'è questa solidarietà fra poveri. Nessuno ti nega un piatto
da mangiare, un panino col burro o qualcosa del genere; certo se questo
avviene tutti i giorni la gente si stufa. A differenza dell'alta società o
della classe media dove prima avevo vissuto, io qui in favela ho trovato dei
fratelli, gente che mi ha dato da mangiare, che mio scopavano la casa quando
sono stato male.”

Daniele mi mostra la ferita al piede. – Cosa ti è successo al piede –
domando io.

Mi ero ferito al piede scivolando su una roccia e battuto la testa cadendo.
Non era niente di grave, anche se la ferita era profonda. qualcosa che
normalmente dopo tre, quattro giorni passa via. Invece questa volta senza
capire perché le due ferite non si chiudevano; passano i giorni e la faccia
mi si gonfia, si riempie di pus, mentre il piede peggiora sempre più
impedendomi di andare a lavorare, di fare queste scale che ci separano dal
mondo cosiddetto civile. Io sopravvivevo come ho detto per la solidarietà
dei vicini.

Sopravviene una necessità, dovevo portare alla scuola della Casa d'Italia di
cui sono Direttore Culturale, i compiti d'Italiano di 5 dottori del San
Raffaele. Questi documenti viene a consegnarmeli una pediatra che fa parte
del gruppo, ma mi aspetta naturalmente all'entrata della favela. Sono
costretto a fare la scala. Mi faccio sorreggere da un amico e raggiungo in
cima la pediatra. Questa, non appena mi vede mi dice che non mi lascia
tornare giù perché un'infezione di quel tipo poteva arrivare al cervello da
un momento all'altro e mi porta al San Raffaele dove resto ricoverato per
quattro giorni. L'infezione viene tamponata, il pus se ne va e mi dimettono
con l'indicazione di continuare con l'antibiotico. A casa trovo una bella
sorpresa, dei ladri sicuramente di fuori, mi avevano rubato la telecamera,
il mio strumento di lavoro e la cassetta degli attrezzi che avevo portato da
Milano. Tiro avanti, ma le ferite continuano a non rimarginarsi, il germe
era più forte dell'antibiotico che prendevo. Non riesco a muovermi, non
riesco a lavorare, il fisico annullato, lo spirito a pezzi, 45 giorni
terribili. Mi richiama un giorno la pediatra per domandarmi come stavo. Io
le spiego che tutto era peggio di prima e lei mi fa ricoverare di nuovo al
san Raffaele. Sorretto da due amici rifaccio le scale, lei è la che mi
aspetta, mi ficco in macchina e via all'Ospedale. Qui mi fanno tutti gli
esami del sangue che sembrava a posto, ma scoprono che un batterio ben
resistente si era annidato nel nervo del gomito e li si riproduceva
abbassando le mie difese immunitarie ed impedendo dunque alle ferite di
rimarginarsi. 15 antibiotici, antitrombotico, la cremina per il braccio, e
dopo 20 giorni, l'8 gennaio, giorno del mio compleanno, esco dall'ospedale
guarito, ma sempre senza una lira e senza lavoro. All'uscita incontro
Massimo Bono, un amico che conoscevo da tempo che si occupava degli italiani
indigenti all'estero che portava il figlioletto a fare dei controlli
all'ospedale. E' lui che per primo si è interessato al mio stato
esistenziale e ad aiutarmi ad uscire da questo tunnel.”

Ma tu che bazzicavi la casa d'Italia – dico io – non hai provato a
rivolgerti al Console?

Sinceramente no, – mi risponde Daniele – ero sfiduciato per i rapporti avuti
con il Console precedente, una persona che si disinteressava assolutamente
dei problemi degli italiani qui a Bahia. Per questa sfiducia antica non mi
ero rivolto al Console di qua che fortunatamente era cambiato; con il Dr.
Pisanu, ho parlato quando mi ha chiamato per comunicarmi la liberazione di
un modesto ma molto benvenuto contributo finanziario del Consolato di Rio de
Janeiro.

Adesso si sta muovendo per aiutarmi a trovare un lavoro anche l'Associazione
dei lombardi nel mondo, speriamo bene.

Senti Daniele, – domando – cosa posso fare per te?

Aiutami a fare qualcosa per questa gente che si dibatte in mille difficoltà
– mi risponde – ed avrai aiutato anche me. E' vero che qui ci sono drogati e
piccoli trafficanti, ma c'è tanta gente onesta che lavora duramente, i
pescatori ad esempio, che il Comune dimentica volentieri perché sono quelli
che costituiscono l'ostacolo più forte all'invasione degli speculatori
edilizi cui fa gola Gamboa de baixo sita a due passi dai terreni più costosi
di Salvador nel Corredor da Vitoria. Qui ai problemi di tutte le favelas,
l'igiene, la difficoltà per i vecchi ed i malati di raggiungere un centro di
salute, per via di queste scale ripide e strette, la sicurezza, etc. si
aggiunge questa incertezza del futuro dovuta all'appetito insaziabile dei
pescecani speculatori. Nel 2007 lo Stato fece una cosa meravigliosa con la
concessione della proprietà dei terreni, ma si fermò lì, nessuna opera di
urbanizzazione né un catasto di case e terreni. Io non abbandonerò mai
questa gente che mi ha aiutato nel momento peggiore della mia vita. Aiutami
così, fai conoscere questa situazione al maggior numero di persone
possibili, chissà che qualcuno non ci dia una mano per fare qualcosa di
utile per la comunità come un ascensore o qualcosa di simile che possa
portare su almeno malati, vecchi e bambini quando hanno bisogno di cure o il
pescatore sceso in fondo al mare per tirare su le reti e viene colto da
un'embolia, o ancora chi scende giù a ritirare la spazzatura.

Daniele mi porta sulla veranda di casa e mi invita a guardare il mare, la
Baiha de todos os Santos, le barche dei pescatori e dietro il palazzone
della cantante famosa e a seguire gli altri palazzi dei ricchi di Salvador
che si stagliano minacciosi alle spalle di Gamboa de baixo.

Non so che dire, non so che fare, ma in ogni caso è giunta l'ora di andare a
prendere Carolina a scuola e faccio per andarmene.

Ma Daniele vuole a tutti i costi accompagnarmi, rifare le scale con me,
adesso che può. Per strada troviamo un ragazzino nero con l'aria sveglia che
saluta e ci tiene a dire che è amico vero di Daniele e lui conferma – è un
mio figlio adottivo – dice. Giungiamo alla sommità, al mondo “civile”, “e
quindi uscimmo a riveder le stelle” mi viene da pensare, ma qui di stelle
non ce n'è, piuttosto sta riprendendo a piovere. Ci abbracciamo in fretta
con Daniele e corro alla macchina.

Livio Bramante

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