Il Popolo della Libertà 

BRUXELLESBERLUSCONI: Grazie italiani per averci votato

“Desidero ringraziare i milioni di donne e di uomini che sabato e domenica si sono recati ai seggi e hanno confermato nelle urne la loro fiducia nel Popolo della Liberta’ e nella mia persona. So che non era facile farlo dopo una campagna elettorale tesa a colpirmi con tante calunnie. Anche per questo, vi ringrazio di cuore perche’ – in modo democratico – al di la’ del conforto mio personale, avete sancito la nostra vittoria sia nelle elezioni europee sia in quelle per le amministrazioni locali, cambiando a nostro favore la geografia politica in moltissimi Comuni e Province da sempre dominati dalla sinistra.
Con il voto avete confermato che il Popolo della Liberta’ e’ il primo partito in Italia in tutte e cinque le Circoscrizioni europee, con un vantaggio piu’ che raddoppiato rispetto ad un anno fa sul maggiore partito d’opposizione. Grazie a questo successo, 29 europarlamentari eletti nelle liste del Popolo della liberta’ difenderanno gli interessi dell’Italia nel Parlamento europeo come secondo gruppo del Partito Popolare Europeo, la grande famiglia della democrazia e della liberta’ in Europa. E’ un risultato che ci rende orgogliosi, perche’ conferma una volta di piu’ che il nostro governo ha saputo affrontare meglio di altri in Europa la crisi economica. Mentre in altri Paesi i governi hanno perso consenso, noi i nostri consensi li abbiamo confermati e consolidati e la stabilita’ del governo ne esce rafforzata. Il nostro governo si e’ impegnato a non lasciare nessuno solo di fronte alla crisi.
Continueremo a farlo, e procederemo con passo ancora piu’ spedito nell’attuare le riforme necessarie per ammodernare l’Italia. Dunque grazie di nuovo a tutti i nostri elettori. Per alcuni di voi, c’e’ ancora l’appuntamento per i ballottaggi. Non dovete mancarlo. Per quanto ci riguarda dopo la fiducia che ci avete rinnovato, il nostro impegno sara’ sempre piu’ determinato ed appassionato“. Lo ha affermato, in una nota, il Presidente Silvio Berlusconi.
VERSO I BALLOTTAGGI: Parte la macchina organizzativa del Pdl
Il Pdl si prepara ai ballottaggi del 21 e 22 giugno. La riunione dei coordinatori che si è tenuta oggi ha impostato la campagna elettorale che, nei prossimi 10 giorni, vedrà il Pdl scendere in campo per le iniziative elettorali accompagnate da tutta la squadra di governo.

Anche il presidente Berlusconi, insieme a Umberto Bossi, sara’ impegnato in campagna elettorale, compatibilmente con gli impegni di governo e gli appuntamenti internazionali come il viaggio negli Usa – previsto lunedi’ e martedi’ prossimi – per incontrare il presidente Barack Obama e il Consiglio europeo del 18 e 19 giugno.

ELEZIONI EUROPEE: I risultati generaliELEZIONI EUROPEE: RISULTATI CIRCOSCRIZIONE NORD OVESTELEZIONI EUROPEE: RISULTATI CIRCOSCRIZIONE NORD ESTELEZIONI EUROPEE: RISULTATI CIRCOSCRIZIONE CENTROELEZIONI EUROPEE: RISULTATI CIRCOSCRIZIONE SUDELEZIONI EUROPEE 2009: RISULTATI CIRCOSCRIZIONE ISOLEELEZIONI AMMINISTRATIVE 2009: RISULTATIELEZIONI PROVINCIALI 2009: Confronto dei risultati fra centrosinistra e Pdl

Nelle 62 province dove si è votato, il Pdl ne ha strappate 15 al centrosinistra, in 9 si è confermato, mentre 21 province che erano amministrate dal centrosinistra andranno al ballottaggio.
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********martedì 9 giugno 2009L’Europa si tinge d’azzurro. I popolari primi in 17 Paesidi Marcello FoaLa distribuzione dei seggi premia in tutto il continente il Ppe Sinistra in crisi: anche i post comunisti non sfondano

Una lunga distesa azzurra che parte dal Portogallo, si spinge verso nord raggiungendo la Finlandia e si distende fino alla Bulgaria. Azzurro, il colore del Partito popolare europeo. Basta dare un’occhiata alla cartina per cogliere un aspetto che nella concitazione della notte elettorale nessuno ha rilevato. D’accordo, in Austria è cresciuta la destra radicale, come in Olanda e qui e là emergono sbuffi neri, come quelli del British National Party; ma si tratta di macchie di colore, che fanno titolo, ma non certo tendenza. Il dato che conta è un altro: in ben diciassette dei ventisette Paesi dell’Unione europea il Ppe è giunto primo partito per numero di seggi. E i titoli dei giornali sull’Europa che va a destra assumono, all’indomani del voto, un significato diverso, rassicurante: è la destra moderata che cresce, con straordinaria uniformità politica e geografica.
Il Ppe ha ottenuto la maggioranza relativa in tre dei quattro Stati più grandi (Germania, Italia, Francia), nonché in Spagna, grazie al riscatto di Mariano Rajoy, finora eterno secondo, e in Polonia, ma anche in quelli più piccoli come il Belgio e la Slovenia. Vola nella nuova e nella vecchia Europa, in quella agricola e in quella industriale. E se il dato sull’affluenza alle urne – ferma al 43%, minimo storico – resta sconfortante per la credibilità di un’istituzione sempre più lontana dal cittadino comune, questa straordinaria sincronia dimostra se non altro che esistono sensibilità condivise tra i cittadini europei, indipendentemente dal loro livello di benessere. Il divario economico tra la Germania e la Bulgaria resta abissale, ma alle urne gli elettori di questi due Paesi si sono comportati alla stessa maniera: di fronte alla crisi hanno scelto il centrodestra, il cui successo in realtà è ancora più ampio.
Sulla cartina è inutile cercare un Paese tinto solo di rosa. Non c’è. O meglio, uno sì: è la minuscola Malta. Altrove il Pse deve accontentarsi di un pareggio, perlomeno per numero di seggi. Le vittorie socialiste in termini percentuali sono risultate troppo risicate a Cipro, in Grecia e in Svezia, dove i progressisti hanno dovuto spartire il bottino con le destre moderate. Tre Paesi bicolore, rosa e azzurro, e in un quarto, la Danimarca, rosa e arancione, il colore del partito liberaldemocratico, che è andato benissimo in tutta Europa, e ha addirittura conquistato la maggioranza relativa nei Paesi Bassi e in Estonia.
In Lettonia hanno vinto i nazionalisti che aderiscono all’Unione dell’Europa delle Nazioni, un gruppo parlamentare che difende la sovranità dei singoli Paesi ed è ostile alle politiche d’integrazione comunitaria. In Gran Bretagna e nella Repubblica Ceca hanno prevalso i conservatori, che potrebbero fondare un nuovo gruppo parlamentare, blu ovviamente, mentre il rosso si assottiglia sempre di più.
Rosso fuoco, comunista o della sinistra radicale; nostalgici di Marx, che in un contesto di crisi avrebbero dovuto rafforzarsi. In passato la reazione degli elettori era quasi pavloviana: a un aumento della disoccupazione faceva riscontro uno spostamento verso le formazioni più profilate a tutela dei lavoratori. Quella di quest’anno è una crisi durissima, la peggiore dal 1929, ma i Partiti comunisti sono rimasti al palo.
Non seducono più chi ha perso il lavoro. Le loro ricette appaiono vuote, anacronistiche, non solo ad Est – dove chi ha conosciuto il comunismo non si lascia più ingannare – ma anche nei Paesi di quella che un tempo era l’Europa occidentale. In Germania, ad esempio, la Linke di Oskar Lafontaine è salita di un insignificante punticino al 7%, sebbene da mesi i politologi pronostichino una sua ascesa, in un anno elettorale che raggiungerà il culmine il 27 settembre in occasione delle politiche. Ma nemmeno lo scoppio della bolla finanziaria è bastato, finora, a dare slancio a Oskar, sebbene per anni abbia fustigato, in solitudine, l’avidità delle banche. In Italia i partiti della sinistra alternativa non hanno superato lo sbarramento, mentre in Francia continuano a presentarsi divisi, il che riduce il loro peso politico.
A Strasburgo il Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea scende da 41 a 33 seggi. Una legnata. «Colpa della nuova composizione del Parlamento, in cui il numero dei deputati è stato diminuito da 783 a 736», tentano di giustificarsi i leader. Ma il taglio colpisce tutti ed è pari al 6%, mentre la loro perdita è più consistente: 8 mandati, ovvero meno 20%. La sconfitta è innegabile. Ed è dolorosa.
Tra i progressisti solo gli ecologisti riescono a guadagnare seggi, passando dai 43 del 2004 ai 51 del 7 giugno. Merito soprattutto dell’exploit di Cohn-Bendit in Francia, arrivato terzo a un soffio dai socialisti. Ma in Italia sono scomparsi, in Germania fermi, in Spagna ininfluenti. Non bastano i buoni risultati in Svezia, Finlandia e Belgio per delineare un movimento di fondo. Il Verde d’Europa, sebbene più intenso, non è ancora condiviso.

Europa, il nuovo parlamentodi Luciano GulliTrionfa il Ppe. Boom dei Verdi. I socialisti avranno 100 seggi in meno dei rivali.

Il Partito popolare europeo in testa, lassù, imprendibile, mentre la sinistra, dal Manzanarre al Reno, morde la polvere e raccatta i cocci di una débâcle che neppure i sondaggi erano riusciti a prefigurare, nella sua imbarazzante rotondità.
Numeri che avrebbero potuto essere ancora più significativi se l'astensionismo non avesse assestato i morsi che sappiamo, testimoniando la crescente disaffezione degli europei (quelli di «vecchio conio», soprattutto) verso un'istituzione più agile ed efficace quando si tratta di stabilire la lunghezza delle zucchine o le quote latte, ma incapace di far palpitare i cuori di popoli che sempre meno sentono di far parte di una grande casa comune.
In Francia nuovo trionfo per i gollisti di Nicolas Sarkozy, con l'Ump oltre il 28% e una nuova dura batosta per i socialisti, fermi al 16% e praticamente alla pari con «Europa ecologista» di Daniel Cohn-Bendit.
Storica sconfitta per i laburisti britannici che hanno registrato il risultato peggiore dal dopoguerra. Il partito del premier Gordon Brown è fermo al 15,3 per cento e si è piazzato solo terzo, dietro ai conservatori di David Cameron e ai liberaldemocratici. Netta affermazione anche degli ultranazionalisti del British national party. In Germania punita la «Grosse Koalition» guidata da Angela Merkel. Dagli exit poll è emerso un calo significativo della Cdu/Csu del cancelliere tedesco, passata dal precedente 44,5 per cento al 38,2, ma ha confermato anche la crisi della Spd che ha perso lo 0,3 per cento rispetto al catastrofico 21,5 per cento del 2004, risultato peggiore di tutta la sua storia.
Cantano vittoria le destre, ma soprattutto i Verdi e gli ambientalisti in genere, a conferma che la salute del pianeta è un tema che tocca la sensibilità di un elettorato che quando è deluso dai partiti tradizionali – ed è la sinistra, curiosamente, a pagare maggiormente lo scotto di una crisi economica e sociale che attraversa il mondo industrializzato, per la quale non sa indicare rimedi -; un elettorato che quando è deluso dai partiti tradizionali, si diceva, si volge – per protesta, magari – a quelle formazioni che se non altro promettono di battersi per frenare il saccheggio di quel che c'è rimasto, in termini di risorse naturali.
Francia, Spagna e Gran Bretagna sono i Paesi dove il partito socialista arretra più vistosamente. Cambia, e in un modo che il premier britannico Gordon Brown e quello spagnolo, Zapatero, non si aspettavano di certo, il panorama dell'Europarlamento. Anche se i raffronti con la precedente legislatura, va notato, non sono immediatamente facili, visto che si è passati da 783 deputati a 736.
Una ulteriore complicazione deriva dal fatto che alcuni partiti, come il Pd, non hanno ancora optato per un gruppo particolare. E dunque fino a questo momento vengono conteggiati fra gli «altri», all'interno di un «acquario» dove incrociano pesci e molluschi di specie assai diverse tra loro. Vedasi il caso dei conservatori britannici, che hanno voltato la schiena al Ppe ma non hanno ancora fatto sapere dove andranno ad aggattarsi; e le formazioni di estrema destra, come il British national party, che per la prima volta manda all'Europarlamento un suo rappresentante.
I numeri, nella loro schiettezza, parlano chiaro. Il Ppe, stando alle stime che circolano a Bruxelles, dovrebbe poter disporre di un numero di parlamentari oscillante fra i 267 e i 271. Il successo spinge l’Italiano Mario Mauro verso la presidenza dell’Assemblea. Il Pdl non è il primo gruppo all’interno dei Popolari, l’Italia potrebbe farcela. Ieri l’ha confermato anche il ministro degli Esteri Frattini: «Troveremo un accordo». Il Ppe sfonda, quindi. I socialisti arretrano: avranno un centinaio di eurodeputati in meno (fra 157 e 161) rispetto ai rivali. Un'ottantina potrebbero essere i Liberaldemocratici, 54 i Verdi, 35 le Destre, 17 gli «euroscettici» e 34 quelli della sinistra europea. Fra 85 e 90 seggi sono dunque quelli al momento vanno appannaggio dei cosiddetti «altri».
La partecipazione al voto, che era stata del 45,47 nel 2004, si attesta ora sul 43 per cento circa. Ma è il risultato delle sinistre, anzi, il «non risultato», che colpisce maggiormente. Grande è la delusione di Martin Schulz, capogruppo uscente del Pse, che davanti al «rotundo fracaso» dei socialisti spagnoli ha parlato di una serata «triste» per la socialdemocrazia europea. Il fatto è che, a scrutare l'orizzonte, non si vedono segnali tali da far vaticinare che «'a nuttata» delle sinistre possa passare presto.
Elezioni europee 2009: i risultati
Pdl e Lega vincono a valanga: 17 Province a zero
Il vento del Nord spazza via il centrosinistra
Franceschini non vince neanche a casa sua
Il Centro Italia si ribella: crepe nel muro rosso
di Peppino Caldarola
La sconfitta in Emilia-Romagna, Marche e Umbria dimostra che gli elettori di sinistra hanno abbandonato il voto di appartenenza

Roma – Mi avevano criticato, a dir poco, quando su questo giornale per ben due volte avevo pronosticato un risultato negativo del Pd alle amministrative, soprattutto nelle «zone rosse». A urne chiuse è andata persino peggio di come avevo immaginato. La linea Maginot delle amministrazioni di sinistra è crollata quasi dappertutto, dal Nord al Sud. Il successo di cinque anni fa in Puglia è stato azzerato, Napoli è passata al centrodestra, la Basilicata ha cambiato classe dirigente. Ma è nel cuore storico della sinistra italiana che è avvenuto il sommovimento più profondo e più doloroso.
L’avvisaglia c’è stata domenica notte quando i voti scrutinati in Emilia-Romagna hanno rivelato le prime crepe. Alle europee il Pd perdeva il 7 per cento dei consensi, in linea con la sconfitta nazionale. A piazza del Nazareno tutti hanno atteso con trepidazione lo spoglio per le amministrative sperando in una clamorosa risalita. A mano a mano che lo scrutinio avanzava le cattive notizie si accavallavano. Firenze e Bologna (con Bari al Sud), avrebbero dovuto dare la conferma della tenuta del Pd. Eppure proprio da queste due città è venuto il dispiacere più grande.
A Firenze il «giovane leone» Matteo Renzi è stato costretto ad un rischioso ballottaggio. Fra due settimane dovrà giocarsi una partita resa ancora più difficile dal rifiuto di apparentarsi con la lista guidata da Valdo Spini. Anche a Bologna il prodiano Delbono non ce la fa al primo turno. Qui il Pd scende al minimo storico. Il risultato è di quelli che fanno tremare le vene ai polsi degli esperti di cose emiliane in quanto il Pd va sotto il 40%, ben dieci punti in meno delle precedenti e tradizionali consultazioni. D’un soffio evitata la catastrofe a Modena dove per soli novanta voti vince il candidato di centrosinistra. Neppure un comune tradizionalmente di sinistra come Marzabotto, luogo simbolo della Resistenza, resiste alla voglia di cambiamento e relega il candidato della coalizione guidata dal Pd a un misero 22,7%. Già le provinciali avevano dato il segnale d’allarme con la sconfitta di Piacenza e il ballottaggio a Ferrara, Parma e Rimini. Stesse delusioni in Toscana dove Prato è sempre meno rossa.
Il panorama appenninico si rivela uno dei punti più dolenti di questa tornata elettorale. Colpiscono soprattutto i risultati lusinghieri che quasi dappertutto, ma particolarmente in Emilia-Romagna, raccontano lo sfondamento della Lega. Dopo la caduta delle roccheforti operaie al Nord, passate al centrodestra e spesso egemonizzate dal voto leghista, ora anche nel Centro Italia l’antica base elettorale di sinistra tende a sgretolarsi. Già si era visto con il voto europeo che aveva ridotto a due le regioni a prevalente voto di sinistra. Marche e Umbria, infatti, sono clamorosamente passate al centrodestra. Questa analisi del voto dovrebbe inquietare il gruppo dirigente del Pd che troppo frettolosamente ha gridato alla scampato pericolo.
L’insediamento elettorale della sinistra, infatti, è tradizionalmente fondato su un bacino elettorale costituito dalle quattro regioni centrali che ha assicurato una sorta di zoccolo duro, immobile nel tempo. Spesso è venuto dal Sud, in particolare dalla Campania e dalla Puglia, un più forte suffragio che unito a quello di alcune zone operaie del Nord aveva assicurato al Pci e ai suoi eredi un patrimonio di consensi che lo aveva reso competitivo. Ci sono state stagioni politiche in cui il partito meridionale dava qualcosa in più, come nella precedente tornata amministrativa, altre in cui le lotte sociali avevano consegnato maggiori consensi al Nord. Ma il sistema elettorale della sinistra si è retto attorno al polo centrale che appariva inespugnabile. Qualche politologo aveva parlato di una sorta di «Lega rossa» coriacea ai cambiamenti.
Dieci anni fa ci provò Guazzaloca a rompere il muro di Bologna riuscendo a sorpresa a battere una candidata di sinistra particolarmente gauchista. Ma è stata la Lega (quella vera) a incunearsi più in profondità fra le radici della sinistra di tradizione.
Il voto del 2009 sarà ricordato come il voto dello sfondamento. L’effetto psicologico degli insuccessi, dei ballottaggi, delle vittorie strappate di misura rischia di diventare più devastante del voto reale. In primo luogo cade la barriera che ha tenuto separato rigorosamente l’elettore di sinistra da quello di destra. Spesso a Reggio Emilia, come a Piacenza o Parma le richieste securitarie hanno spinto migliaia di elettori a spostarsi sul partito di Bossi. Ma questa volta è stato lo stesso Antonio Di Pietro a erodere consensi che non sono più in libera uscita ma stabilmente trasferiti in altre formazioni politiche. Il voto nelle regioni rosse non è più scontato e la concorrenza si fa più spietata. Il centrosinistra paga l’indebolimento della sua componente più forte, quella che viene dalla tradizione socialista e comunista, né guadagna nuovi consensi dall’affermarsi di candidati cattolici di rito prodiano. È ben più che un campanello d’allarme. È una vera e propria inversione di tendenza. Nell’Italia di domani non ci saranno più zone di voto di tradizione o di appartenenza. E questa è una vera e propria rivoluzione.

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Corriere della SeraL'ESTREMA DESTRA AVANZA IN OLANDABROWN AFFRONTA L'ENNESIMA SCONFITTA CRESCONO XENOFOBI E ANTIEUROPEISTI UNA DISFATTA STORICA PER LA SPD TEDESCA. MERKEL VEDE LA FINE DELLA GRANDE COALIZIONEZAPATERO PAGA IL CONTO DELLA CRISI DOPO 5 ANNI, PSOE SCAVALCATO DAL PPSUCCESSO DI PDL E CARROCCIO STRAPPATE 17 PROVINCE AL PD LA SVOLTA DELLE CITTA' di Angelo PanebiancoLA SINISTRA SVANITA NEL PROFONDO NORDBOLOGNA AL BALLOTTAGGIO GUAZZALOCA NON SI SCHIERA ********AvvenireTRE SFIDE PER L'EUROPARLAMENTO – MARIO MAURO********La StampaL'EUROPA SVOLTA A DESTRA E I SOCIALISTI SONO TRAVOLTI ********Il MessaggeroVINCE SARKOZY, CROLLO SOCIALISTA VOLANO I VERDI DICOHN-BENDIT MA L'ASTENSIONE SFIORA IL 60% OREJA: “IN SPAGNA COME IN EUROPA LA GENTE HA PIU' FIDUCIA NEI MODERATI” ********Il GiornaleCOMPLOTTO INTERNAZIONALE MA LA REGIA E' TUTTA ITALIANA di Peppino CaldarolaQUINDICI ANNI DI FANGO, MA IL CAVALIERE SI RIALZA SEMPRE“PROVA SUPERATA AL PDL PIU' CONSENSI DI QUELLI DI FI E AN” “MIRACOLO DI SILVIO: ANCHE SOTTO ATTACCO CI HA FATTO VINCERE”IL PARTITO DELL'APPENNINOdi Mario Giordano********Il Sole 24 OreLA CRISI BOCCIA LE IDEE DELLE SINISTRE EUROPEECORSA A DUE PER STRASBURGO PRIMO TEMPO, PDL BATTE PD 35 A 20 ********Quotidiano NazionaleIL GIORNO / il RESTO del CARLINO / LA NAZIONE CROLLA LA SINISTRA NELLE URNE DELLA PROTESTA ********Il RiformistaDARIO F. LASCIAMOLO AFFONDAREdi Giampaolo Pansa ********Il TempoUN PLEBISCITO PER SILVIO********LiberoL'ITALIA CAMBIA COLORE di Vittorio Feltri *******************************************************************************************

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