2 giugno, festa degli italiani?

Gli italiani festeggiano il 2 giugno la nascita della Repubblica. Quel che non è stato ancora possibile per la Resistenza è divenuto da decenni per la Festa della Repubblica una celebrazione corale, almeno apparentemente. Tutti gli italiani indistintamente si riconoscono ormai figli della Repubblica. Eppure le divisioni sui grandi problemi del Paese permangono.
Quel 2 giugno 1946, in cui la maggioranza degli italiani decise le sorti della monarchia e l’avvento della repubblica, non fu un giorno tranquillo. Un’accesa campagna referendaria aveva diviso il popolo italiano chiamato a una scelta difficile. Anche nei giorni successivi, l’attesa del risultato fu drammatica, come registrano le cronache, sia per l’incertezza del voto, sia per le accuse di brogli, e sia per la paura che il destino della forma di governo dell’Italia potesse decidersi con le armi e persino con l’intervento di qualche potenza straniera.
Solo il 10 giugno 1946 la Corte di Cassazione riuscì a proclamare i risultati del referendum, ma furono contestati. Si dovette attendere fino al 18 giugno per averne la conferma definitiva (12.718.641 voti per la repubblica e 10.718.502 per la monarchia) e proclamare ufficialmente la Repubblica. L’Italia si scoprì divisa quasi a metà tra nord e sud, non solo fisicamente ed economicamente: se al nord aveva nettamente prevalso la repubblica, al sud la preferenza dei votanti era andata a favore della monarchia.
Il 2 giugno 1946, oltre al referendum istituzionale tra monarchia e repubblica, si svolsero anche le elezioni dei 556 deputati dell'Assemblea Costituente incaricata di redigere una nuova Costituzione. In attesa che terminassero i lavori, si tentò, fino al maggio 1947, una riconciliazione tra tutte le forze politiche costituendo governi di unità nazionale, ma fu solo una tregua nella tradizionale lotta politica italiana.
Il 22 dicembre 1947 venne approvata la nuova Costituzione con 453 voti a favore e 62 contrari. Il 27 dicembre venne promulgata dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948.
Sembrava che la nuova Costituzione, una delle più belle del mondo, né troppo rigida né troppo flessibile, potesse aggregare i sentimenti di tutti gli italiani e garantire il funzionamento dello Stato in maniera equilibrata ed efficiente. Ma già le elezioni del 1948 misero in evidenza le divisioni politiche del popolo italiano.
Per favorire il sentimento di identità e unità nazionale, nel 1949 la giornata del 2 giugno fu dichiarata festa nazionale. Per circa un trentennio svolse questa funzione, ma dal 1977 le celebrazioni vennero spostate alla prima domenica di giugno. Inutile dire che la Festa perse d’interesse popolare, finché nel 2001, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e il Parlamento decisero di ripristinare il 2 giugno come festa nazionale.
Oggi, il ricordo delle divisioni di 63 anni fa è affidato essenzialmente ai libri di storia, ma non si può dire che il popolo italiano si ritrovi finalmente unito a celebrare con spirito unitario la Repubblica come una sorta di casa comune in cui «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (art. 3 comma 1 della Costituzione). Non tutti, purtroppo, possono dare alla Repubblica un voto sufficiente nello svolgimento di uno dei suoi compiti essenziali: «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3, comma 2).
Divisioni e delusioni
A dividere e a deludere gli italiani, oggi, non è però la Repubblica, ma i suoi organismi, che continuano a rivelarsi incapaci di rinnovarsi e di rispondere pienamente alle esigenze di una modernità che sembra irraggiungibile.
Forse uno degli impedimenti è legato proprio alla Costituzione italiana, concepita in maniera quasi perfetta per i tempi in cui è stata elaborata e per questo ritenuta quasi immodificabile. A giudizio di molti, il perfetto equilibrio tra i poteri dello Stato voluto dai Costituenti andrebbe ripensato alla luce di nuove esigenze.
Non si tratta certamente di riscrivere l’intera Costituzione, ma è sotto gli occhi di tutti che i principali organi dello Stato, a cominciare dal Parlamento, danno segni di inefficienza. Che tra Governo, Parlamento e Magistratura ci possa e persino ci debba essere una certa dialettica è vitale per una democrazia, ma in uno Stato di diritto la collaborazione dovrebbe essere la regola. Invece sembrano predominare le contestazioni, le interferenze, la confusione dei ruoli, l’ingovernabilità. Basta pensare alle polemiche in gran parte strumentali di queste settimane tra maggioranza e opposizione. La complessa macchina dello Stato ne risulta fortemente indebolita e inefficiente. Anche per questo la riforma dell’architettura dello Stato è ineludibile.
Se è vero che «la sovranità appartiene al popolo» (art. 1 comma 2), non dev’essere ritenuto scandaloso rivolgersi al popolo anche in materia elettorale o di composizione del Parlamento, o del ruolo del Capo del Governo o del Presidente della Repubblica o della Magistratura. Anzi, il ricorso al popolo potrebbe sbloccare la situazione di stallo che si è venuta a creare con la riduzione della politica a due soli schieramenti, una situazione non prevista dai Costituenti.
In ogni caso è auspicabile che i politici italiani, piuttosto che specializzarsi nella contrapposizione e nello scontro, si rendano conto che per loro vale l’obbligo di «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49). Con metodo democratico, non con armi improprie tipo calunnie, maldicenze, accuse provocatorie e simili. Spesso si dimentica che il metodo democratico presuppone il rispetto delle istituzioni e delle persone, anche se avversarie.
Giovanni Longu
Berna 2.6.2009

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