Culture d’europa dietro mura dal civico immaginario: 26cc

Parla l’arte del pigneto con le parole di Gabriele Gaspari

di Flavia Montecchi

di Flavia Montecchi | Bratislava, Berlino, Praga, Istanbul e l’Europa diviene sempre più piccola: al pigneto l’inconfondibile – perché immaginato – civico 26 di via Castruccio Castracane risponde ormai da un anno ad un accogliente ostello internazionale dell’arte contemporanea, dove la prima regola è la comunicazione globale.
“26cc è uno spazio indipendente per l’arte, nato dall’iniziativa e dalle riflessioni di un gruppo di giovani curatori e artisti, con lo scopo di proporre la cultura contemporanea sulla base della condivisione, della discussione delle idee e percorsi…” Ed è con questo incipit che Cecilia Casorati, Gabriele Gaspari, Sabrina Vedovotto, Silvia Giambrone, Andrea Liberati, Valentina Noferini, Luana Perilli e Mauro Romito presentano il loro spazio culturale che si prepara ormai ad essere internazionale, ricco di voglia di conoscere, imparare e diffondere l’arte, comunicando con le espressività creative dell’Europa.
Ma per saperne di più abbiamo incontrato uno dei soci fondatori, scambiando quattro chiacchiere e un bicchiere di vino nell’angolo di una Capitale sempre più cerimoniosa e meno ospitale…

Flavia Montecchi: Da che cosa nasce la voglia di creare 26 cc?

Gabriele Gaspari: Nasce dall’esigenza di dar vita ad uno spazio artistico aperto all’Europa, in contatto con le espressioni culturali degli altri Paesi. Il sistema romano ha su questo delle mancanze di base: la prima è una mancanza strutturale di luoghi completamente accessibili al contemporaneo, la seconda è una mancanza d’iniziativa istituzionale che crea relazioni con l’estero. Ogni tipo di relazione, ogni tipo di comunicazione, non è mai fine a se stessa, ma la politica italiana sembra non capire: non abbiamo supporti per iniziative che abbracciano l’altro. Bisogna valorizzare il patrimonio locale, che non vuol dire fermarsi ad una cultura tradizionalista, ma credere nella scena artistica attuale e, in prospettiva, fare in modo che possa crescere. Il nostro è un lavoro indipendente proprio per questo motivo.

FM: Non siete proprio una “galleria d’arte” però…

GG: No…no. Il nostro lavoro consiste nell’avviare un network con altri paesi, ospitando artisti da noi attraverso iniziative di vario tipo, a partire dalle mostre fino agli eventi di un solo giorno.

FM: Spiegati meglio, qual è il vostro intento e che cosa offrite agli altri paesi?

GG: La possibilità di agire veramente e direttamente attraverso i nostri spazi e le nostre proposte espressive. I temi su cui abbiamo lavorato finora sono piuttosto complessi: la percezione, la narrazione, il tempo… in generale partiamo da un’idea, da uno spunto concettuale e poi la sviluppiamo in vari modi. E’ molto interessante vedere, all’interno del nostro gruppo, come gli artisti si confrontano con una prospettiva curatoriale: è bello vedere come ci si rapportano, poichè affrontano un campo d’azione diverso da quello in cui sono abituati ad agire, ossia il punto di vista dell’artista.

FM: Avete un criterio di valutazione nel selezionare i vostri artisti?

GG: Ognuno di noi viene da esperienze lavorative simili, grazie alle quali abbiamo potuto creare un carnet di contatti su cui contare e su cui impostare una pratica di lavoro, ma non c’è un vero e proprio criterio di selezione, che non sia quello della qualità dei lavori e dell’attinenza ai progetti. Ovviamente, i network personali di ognuno di noi sono utilissimi allo sviluppo della nostra pratica.

FM: E cosa mi dici con il rapporto con l’estero? Come è stato accolto il vostro spazio?

GG: Quando abbiamo presentato il nostro progetto ad organizzazioni internazionali abbiamo visto che ognuno di loro dimostrava la propria curiosità rispondendo alle nostre iniziative con molto entusiasmo.

FM: Da cosa deriva il desiderio così forte nel relazionarsi con l’altro?

GG: L’idea della relazione nasce da quello che abbiamo in comune: c’è una convergenza di comunicazione, chi entra in contatto con noi ha idee simili alle nostre. Città come Berlino, Praga e Bratislava con i quali siamo tuttora in contatto, hanno accolto la nostra pratica collaborativa: stiamo cercando di attivare delle dinamiche di relazione, basate su un pensiero comune… questo porterà senz’altro a buoni risultati in termini progettuali. Ad esempio con SPACE di Bratislava c’è stato già uno scambio: loro hanno presentato da noi una loro rassegna video, mentre noi, che stiamo portando a termine una documentaristica incentrata sugli artisti italiani emergenti, siamo stati ospitati da loro per una presentazione.
Ciò che è realmente interessante è il puro e il semplice confronto. Lo scambio tra contesti diversi è fondamentale. A partire da questo anno poi dovrebbero prendere il via le residenze da cui ci aspettiamo veramente molto; non vogliamo fare cose affrettate con il rischio che vengano male: i soggetti con cui stiamo avviando contatti per organizzare degli scambi non possono sentirsi a disagio, vogliamo costruire e garantire un rapporto vero e proprio. Capita spesso che Roma ospiti artisti stranieri che però non vengono troppo a contatto con la città; sebbene ci siano importanti istituzioni che li accolgono, come le Accademie straniere o gli Istituti di Cultura, (parlo delle Accademie straniere e degli Istituti di Cultura) gli artisti in residenza rimangono un po’ tagliati fuori da quello che succede. Noi vogliamo evitare tutto questo, vogliamo fare una cosa fatta come si deve.

FM: E all’estero cosa pensano di noi, di questo mondo così artisticamente bigotto…

GG: All’estero c’è molta curiosità rispetto a quello che accade in Italia. Come dicevo prima, gli italiani sono un po’ tagliati fuori dalle dinamiche artistiche internazionali: sebbene l’arte italiana gode di una sorta di “rispetto tradizionale”, siamo un paese un po’ classicista e per il contemporaneo sembra esserci poco spazio, le politiche di finanziamento che hanno le organizzazioni come la nostra in altri paesi d’Europa, qui ce le sogniamo! Poi va scardinato il culto del “volontariato” nel settore culturale: sembra sempre che chi si occupa di cultura non abbia diritto ad un compenso per il proprio lavoro. Bisogna stare dietro a certe situazioni politiche, in cui c’è una vera e propria paralisi nel valorizzare l’arte contemporanea. Manca una seria politica culturale, che dovrebbe a mio attuarsi nell’individuare le risorse che si hanno, le risorse artistiche attuali, capire cosa avviene intorno ad esse e una volta fatto questo, elaborare delle politiche di sostegno.

FM: Sei molto combattivo, è bello sentire queste parole e sapere che ci sono iniziative di questo tipo in un paese come il nostro, di cui abbiamo appena sottolineato tutte queste disattenzioni al contemporaneo culturale. E proprio in merito a ciò, cosa credi che possa dare un artista italiano all’estero?

GG: Non credo che l’artista italiano debba dare qualcosa a quello ceco o tedesco… penso però che, quando la produzione di un artista è interessante e valida, questo valga per l’Italia e per l’estero allo stesso modo. È come quando noi scegliamo un artista straniero: lo facciamo perché crediamo nel suo lavoro e vogliamo documentare la scena artistica nazionale e internazionale. L’artista è “utile” ad un contesto se ha una coscienza del proprio ruolo e del proprio lavoro, se c’è uno spessore dietro quello che comunica: parlare con ognuno di loro è un arricchimento e ogni arricchimento è un’opportunità, sia che si tratti di un artista francese in Italia che di un artista italiano in Francia. Non c’è snobismo ma interesse. E noi miriamo a questo, a mostrare e divulgare il nostro interesse per l’arte confrontandoci con un contesto internazionale: 26cc è soprattutto questo…

FM: 26cc… il nome corrisponde alle iniziali di quelle della via, Castruccio Castracane, precedute dal numero civico, giusto?

GG: beh, si in un certo senso… in realtà, per qualche oscuro motivo il civico 26 non esiste: c’è il 24 poi subito il 28/a, il 26 non c’è! Anche questa era una mancanza, e l’abbiamo coperta!

Immagini:

  • Incontro con Carola Spadoni
  • a sinistra Gabriele Gaspari
  • AnGie Seah durante la performance | foto di Manuela De Leonardis

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Pubblicato da: Art a part of cult(ure) http://www.artapartofculture.org/

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