LA PEDAGOGIA DELLA NONNA OSSIA DEL BUON ESEMPIO

Gli incontri con le classi di una scuola media secondaria sono terminati, anche quelli con i genitori e gli operatori, per tirare le somme, per tentare un bilancio sulla ricaduta avuta sui ragazzi, per prevenire gli atteggiamenti bullistici ed aiutarli ad entrare in possesso degli strumenti necessari a non risultare vittime né complici.
Non è semplice disegnare una linea di confine netta, tra ciò che è una responsabilità imprescindibile nell’esser genitori, e una collettività sclerotizzata dai miti mediatici, dai maledetti per vocazione.
Eppure rimanere alla finestra, abbarbicati a una linea mediana sonnolenta, a un trespolo di cera vicino a un fuoco che divampa, equivale a cadere a nostra volta, e, come ci ha detto qualcuno, “ chi rimane accomodato alla balconata a osservare indifferente, non è un individuo innocuo, ma una persona inutile”.
Forse nei riguardi dei più giovani, non si è solamente inutili, ma anche esempi pericolosamente induttivi a sgretolare il valore della solidarietà e autorevolezza.
Atti preventivi in azioni secondo coscienza, stili educativi e comportamenti equilibrati, per arginare nei giovanissimi gli atteggiamenti prevaricanti, violenti, dentro le classi a studiare metodi e dinamiche affinché nessuno rimanga isolato, ma spesso si mette in fuori gioco il disagio dei minori.
Da una parte si invoca l’isola felice del proprio angolino ben gestito, dall’altra si tenta di inquadrare il bullismo e il disagio relazionale degli adolescenti, la loro maleducazione e trasgressione, con la violenza, la devianza, il conflitto stesso.
Ma questa operazione confonde la pratica della violenza che elargisce sofferenza e tragedie, con la dinamica del conflitto che invece va a monte del problema, senza per questo cancellare le persone.
Per l’ennesima volta al bullo, alla vittima, ai complici caduti nella rete omertosa, rispondiamo con una difesa a oltranza delle nostre casate, dei nostri confini, come a voler sottolineare che non c’è nulla da sapere che già non sappiamo, tranne che arrabbiarci a nostra volta se veniamo additati tra gli imputati, tra quanti alimentano questo fenomeno con la loro irrappresentabilità educativa.
Un grande amico e pedagogista nell’incontrare il mondo dei cosiddetti grandi, per un momento ha lasciato da parte gli accessi scientifici alla ragione, consigliando ad ognuno di ritrovare l’umiltà necessaria per affinare la “pedagogia della nonna”, quella pratica unica e insostituibile tutta dentro il concetto del “buon esempio”, del non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te, del fare bene o al meglio delle tue capacità, se pretendi che faccia altrettanto anche tuo figlio.
Essere genitore significa conoscere il proprio figlio, essendo presenti, disponibili, non abituandoci e non abituandolo a NON creare mai problemi, ma a ricevere un amore speciale, dunque a essere entrambi degni di stima, affinché non esistano abissi insondabili, dialettiche cifrate, parole non più leggibili, causate dal desiderio di avere tutto “misurato” al nostro sentimento, rischiando così di non considerare gli avvenimenti fuori dalla nostra ottica, riducendo la distanza dai giochi più feroci, dove quasi sempre è il più giovane a perdere la partita più importante.

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