Cosa c’entra la Chiesa con la tutela della salute?

di Carlo Flamigni*

L'atteggiamento rigido, dogmatico e in molti momenti prepotente della chiesa cattolica ha da tempo creato imbarazzi in molte società civili, abituate a considerarsi laiche e sorprese dal predominio di posizioni ideologiche che non accettano mediazioni, secondo il principio del non possumus. E' certamente il caso dell'Italia, che prima ha visto approvare una legge che imponeva comportamenti ispirati a norme etiche derivate direttamente dalla religione cattolica e oggi è testimone di un tentativo di ignorare i mutamenti imposti a questa legge da una sentenza della Corte Costituzionale. E’ certamente il caso degli Stati Uniti, se si dà retta all'editoriale di Pablo Rodriguez e di Wayne C. Shields, pubblicato pochi anni or sono su Contraception (2005,71,302-303) e disponibile on-line su www.sciencedirect.com. E' un articolo che ho letto con particolare interesse e che riporto in dettaglio.
La pratica della medicina, scrivono gli Autori, esige che le istituzioni che si debbono far carico della salute pubblica siano in grado di fornire la migliore cura possibile in modo acritico e solidale, senza tenere in alcun conto le specifiche circostanze nelle quali la richiesta di aiuto viene fatta. Esistono, è vero, molte situazioni nelle quali le decisioni di coloro che sono affidati alle nostre cure (una responsabilità che, come medici, abbiamo promesso di accettare) entrano in conflitto con il nostro senso della morale e con i nostri valori religiosi, ma considerazioni etiche superiori dovrebbero costringerci a mantenere il nostro impegno anche se non siamo d'accordo con le loro scelte. Nei casi in cui questi conflitti non possono essere superati, l'unica soluzione eticamente accettabile dovrebbe essere quella di affidare il paziente a mani più adatte delle nostre.
Ma cosa accade se queste mani non siamo in grado di trovarle? In realtà, questo è quanto accade, con frequenza sempre maggiore, nelle comunità nelle quali gli unici ospedali disponibili appartengono a comunità religiose che si comportano secondo ideologie che sono in contrasto con le politiche ufficiali della sanità pubblica e che da quei comportamenti non sono in alcun caso in grado di derogare. E' esemplare, a questo riguardo, il problema dei servizi di family planning (Eisenstadt L: Separation of Church and hospital – Strategies to protect pro-choice physicians in religiously affiliated hospitals – Yale J Law Fem 2003,15,135-140).
L'offerta dei servizi necessari per la pratica dell'aborto volontario e per gli interventi di contraccezione di emergenza diventa ogni giorno più a rischio via via che un numero sempre maggiore di istituzioni religiose diventa responsabile della salute delle Comunità negli Stati Uniti (Ibis Reproductive Health. Second chance denied: emergency contraception in Catholic Hospital emergency rooms. Cambridge (Mass): Survey for Chatolics for a free choice;1998).
Questo problema non riguarda soltanto l'aborto, visto che molti servizi hanno messo al bando anche il counseling per la contraccezione, per la prevenzione dell'AIDS, per le tecniche di procreazione assistita e persino per l'approccio a condizioni cliniche comuni e apparentemente innocenti come la gravidanza extra-uterina e la contraccezione di emergenza per le vittime dello stupro (Cohen E. – Truth or consequences – Using consumer protection laws to expose institutional restrictions on reproductive and other health care – Washington (DC): National Women's Law Center, 2003).
Tutti questi scenari sono stati regolati da un insieme di principi che tengono conto soltanto di canoni religiosi ed escludono qualsiasi tipo di protocollo medico. Via via che gli ospedali pubblici trovano più difficile portare a compimento il proprio mandato – soprattutto per la continua diminuzione dei rimborsi da parte del governo e delle compagnie di assicurazione – un numero sempre maggiore di persone si rivolge a istituzioni come quelle rappresentate dagli ospedali cattolici per ricevere assistenza.
Ma quant'è in realtà preoccupante questa situazione? Secondo uno studio del Merger Watch Prospect (Family Planning Advocates of N.Y) gli ospedali che appartengono a consociazioni religiose negli USA presentano ogni anno un conto al Governo Federale che si aggira intorno ai 40 miliardi di dollari e nel 2002 cinque delle dieci maggiori Istituzioni terapeutiche americane erano di proprietà dei cattolici. Secondo l'American Hospital Association (Annual Survey, Chicago – Illinois – 2002) sempre nel 2002 il 18% degli ospedali e il 20% dei letti ospedalieri era posseduto o controllato dai cattolici. Ciò significa, in numeri semplici, 622 ospedali cattolici, 15 milioni di visite urgenti ambulatoriali, 5,4 milioni di ricoveri ospedalieri. Il problema vero è che per molte comunità gli ospedali cattolici rappresentano l'unica realtà possibile, in grado dunque di decidere il destino di milioni di residenti.
Malgrado il notevole supporto economico elargito dal governo, le istituzioni religiose o semi-religiose operano ignorando completamente le norme giuridiche che in molti stati sono state varate per difendere la possibilità di ottenere l'accesso alle metodologie anticoncezionali più recenti e sofisticate. Fin dal 2003 tre stati – Washington, Illinois e California – esigono che le donne vittime di violenza carnale possano avere accesso alla contraccezione di emergenza in tutti gli ambulatori di pronto soccorso. Altri Stati – Florida, Kentucky, Connecticut, Ohio, Maryland e New York – incoraggiano la somministrazione di anticoncezionali d'emergenza alle vittime di uno stupro, senza peraltro esigerla attraverso una norma di legge. Ebbene, una ricerca condotta da Ibis Reproductive Health ha rivelato che nella maggior parte dei servizi di pronto soccorso, negli Stati che ho appena citato, l'accesso alla contraccezione di emergenza non è semplicemente possibile. Nell'Illinois, uno stato nel quale questa possibilità è richiesta espressamente dalla legge, solo 6 dei 22 ospedali cattolici provvedono a questo servizio.
L'influenza delle istituzioni cattoliche sulla possibilità di accedere ai consultori di pianificazione familiare non riguarda soltanto gli ospedali che sono sotto il diretto controllo della Chiesa. Comportamenti analoghi sono osservati da istituzioni “non settarie” come quelle rappresentate da ospedali affiliati e persino da istituzioni laiche che hanno acquistato ospedali religiosi e che sono state costrette per contratto ad accettare alcune delle limitazioni che questi ospedali si erano imposte.
Molti medici che operano in queste strutture ospedaliere, anche semplicemente affittando spazi per la propria attività, scoprono di dover accettare una limitazione della propria libertà d'azione come condizione indispensabile alla loro affiliazione. Nello stesso modo, nelle aree in cui esiste una maggiore possibilità di accedere ai servizi di pianificazione familiare, si scopre che queste specifiche attività sono attributo degli ospedali più piccoli e più poveri, che si trovano a dover competere con un sistema ospedaliero molto più potente, il che li obbliga a fondersi e ad affiliarsi compromettendo così l'intero sistema di cure che ha a che fare con la medicina della riproduzione.
E veniamo al nostro Paese. Come tutti sapete la Chiesa Cattolica è riuscita a fare approvare una legge che si ispira, in modo quasi ossessivo, ai suoi principi etici in merito alla sacralità della vita e all’inizio della vita personale, un tema che, tra le altre cose, non trova certamente d’accordo tutti i pensatori cattolici tanto che all’interno della sola Chiesa Romana esistono almeno una decina di teorie, tutte in forte contrasto tra loro. La legge 40, quella che norma le tecniche di procreazione medicalmente assistita,ha determinato una netta diminuzione dell’efficacia delle tecniche soprattutto per aver limitato il numero di oociti fecondabili ( che non possono essere più di tre, quale che sia l’età della donna e la sua storia personale) e ha proibito il congelamento (oltre che, naturalmente, la distruzione) degli embrioni. A causa di questa norma sono aumentati i parti trigemini nelle donne più giovani e sono diminuite le gravidanze in quelle più anziane.
La Corte Costituzionale, chiamata a intervenire in merito da alcuni Magistrati , ha completamente modificato questa parte della normativa, stabilendo che il numero di oociti fecondabili deve essere stabilito dal medico, secondo scienza e coscienza e tenendo conto dell’interesse della paziente in trattamento. La delibera della Consulta non ha modificato il divieto di congelare gli embrioni soprannumerari, spiegando le ragioni per cui l’abolizione di questa norma non era necessaria. In realtà, il divieto aveva già tre eccezioni, tutte ormai consolidate nella prassi. La prima riguardava le circostanze in cui esistevano rischi per la donna, come nel caso di iperstimolazione ovarica che una eventuale gravidanza avrebbe potuto peggiorare; la seconda riguardava i rischi per l’embrione, dovuti ad esempio a una malattia infettiva della quale la madre si fosse ammalata prima del trasferimento (pensaste a una rosolia); la terza possibilità era infine relativa a un possibile rifiuto della donna di accogliere gli embrioni nel proprio grembo, un rifiuto reso possibile dal fatto che la norma in questione è imperfetta e non contiene sanzioni nel caso in cui la donna rifiuti di rispettarla. Ora, come conseguenza delle modifiche apportate dalla Corte Costituzionale, esiste una ulteriore eccezione, molto più ampia e probabile delle precedenti, e che riguarda i casi in cui il medico abbia deciso di produrre un numero di embrioni superiore a quello che considera conveniente trasferire. Si tenga conto del fatto che quando il medico opta per fertilizzare un certo numero di oociti non può sapere a priori quanti embrioni riuscirà ad ottenere.
La materia dovrebbe essere chiara a tutti, ho letto persino un articolo sul Avvenire scritto da un bioeticista cattolico che parlava di un “pilastro ormai sgretolato” e raccomandava di accettare questa iattura e preoccuparsi semmai che non ne arrivassero altre.
Con molta disinvoltura, però, la signora Roccella, sottosegretario alla sanità, ha più volte dichiarato che in realtà non è accaduto niente di grave e di irreparabile e che avrebbe lei stessa ben presto provveduto a sanare questo minuscolo inconveniente, apprestando linee guida che avrebbero ridato tranquillità a tutti (immagino che l’allusione sia soprattutto ai Vescovi) e ristabilito le antiche regole. Molte persone di buon senso hanno cercato di spiegarle che le linee guida non hanno il potere di modificare una sentenza della Corte Costituzionale e che addirittura neppure una nuova legge potrebbe non tener conto di quanto questa sentenza ha stabilito, ma la signora Roccella ha proseguito per la sua strada, inserendo solo nei suoi discorsi – come unica novità – l’annuncio di severi controlli sui centri di PMA, un vecchio trucco per spaventare i medici.
Il guaio è che i medici si spaventano davvero, per sono – non tutti, per fortuna – una categoria timorosa di tutto ( si dice così?). Ala resa dei conti solo pochi centri si sono dichiarati disponibili a comportarsi secondo il dettato della sentenza della Consulta e a ripristinare le antiche regole, che privilegiavano la scienza e la coscienza del medico: molti altri bofonchiano scuse, affermano che non ci si può muovere in assenza di nuove linee guida o prospettano ridicole tabelle mediatorie per imbonirsi il potere. Tutto ciò con grave svantaggio delle coppie di pazienti, che ora dovrebbero capire che è importante salvaguardare il diritto acquisito, anche a costo di portare in tribunale i medici inadempienti.
Insomma la Chiesa Cattolica continua a fare i suoi danni e lo stato laico continua a genuflettersi impotente. La cosiddetta opposizione è spaventata dalle possibili reazioni della signora Binetti e resta ferma nella sua scomoda lordosi di accettazione. Se questo è il principio di razionalità al quale faceva riferimento Monsignor Sgreccia nella sua polemica con Fini, siamo perduti.
*Candidato alle elezioni europee nella lista di Sinistra e Libertà Circoscrizione Nord Est

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