CONSENSO O CAMBIAMENTO?

Le forme di gestione del conflitto nei contesti relazionali ed istituzionali

Il termine “conflitto” deriva dall’etimologia latina dal verbo fligo, fligere (urtare, percuotere, atterrare) ed il suffisso cum che indica una dimensione comune, gruppale, di coesistenza e compartecipazione. Il prefisso cum indica un’associazione, un mettersi insieme e quindi possiede una connotazione positiva. Il paradosso consiste nell’esperienza del conflitto che è uno stare insieme connotato in modo negativo, determinando un disequilibrio. Dunque il conflitto si svolge nell’ambito di una dimensione relazionale in cui ogni contendente vuole mantenere la propria posizione. Il conflitto è una situazione che presenta divergenza tra due o più persone, relativamente a posizioni e interessi apparentemente inconciliabili. Quindi il conflitto è costituito da soggetti, da un contesto e da un significato emotivo. I conflitti si basano su posizioni, interessi e bisogni in modo palese, fondamentale e riguardante strettamente la personalità. Il riconoscimento dei bisogni e degli interessi nell’ambito delle posizioni attraverso cui vengono espresse le proprie esigenze, risulta il presupposto per una possibile gestione educativa del conflitto. Il mediatore deve porsi come un facilitatore di processi in cui il problema è definito insieme, nella centralità dell’analisi delle relazioni, dove coadiuva il processo di scoperta della soluzione. La soluzione viene sviluppata nell’insieme, in gruppo e il mediatore ha il compito di valutare i processi di cambiamento in quanto impegnato ad aumentare le risorse e le capacità presenti. L’operatore della mediazione deve saper creare un clima di protezione e sicurezza tramite l’esercizio di una personalità autorevole, rompendo il circuito di provocazione e reazioni per trasformarlo in dialogo e ponendo tutte le condizioni di un ascolto efficace. Al mediatore spetta l’onere di apportare razionalità nel conflitto, ossia cosmos nel caos, concedendo la parola e accompagnando nel processo di comprensione, riconoscimento, cooperazione e riparazione. La mediazione si distingue dalla terapia in quanto in essa si pongono conflitti interpersonali in cui tutti sono coinvolti, prendendo in considerazione la storia narrata con lo scopo di trovare la soluzione del problema. La terapia analizza i conflitti intrapersonali che coinvolgono il singolo che presenta un conflitto come segnale di problemi profondi, nello scopo della risoluzione di problemi di personalità. Il conflitto può insorgere da bisogni fisiologici e basilari o di sicurezza, come la buona salute, la protezione dai pericoli e dalle privazioni. I bisogni sociali come il dare e ricevere dell’affetto, del sostegno, l’accettazione e l’appartenenza posso ingenerare conflittualità. Il bisogno di stima con la fiducia in se stessi e la buona reputazione possono dare adito a dinamiche interpersonali caratterizzate da conflittualità, come anche il bisogno di realizzazione o di autosoddisfazione nello sviluppare le proprie capacità e utilizzare i propri talenti. La necessità di sopravvivere fino all’esigenza di prevalere costituiscono bisogni prioritari suscettibili di conflitto come sostiene Maslow. Sussistono degli indicatori di conflitti relazionali, di atteggiamenti “spia” della conflittualità quali l’incapacità di stare da soli che è uno stato di allarme emotivo in un contesto relazionale come l’assenza di posture di rilassamento e continui movimenti indicano sfiducia nell’ambiente circostante. La mancanza di contatto oculare continuativo significa la paura nei confronti delle relazioni totali, infatti l’assenza di comportamenti che denotano tensione, imbarazzo, vergogna, rappresentano una fiducia di base per tutto il contesto relazionale. L’assenza di oggetti personali e la mancanza di contatti corporei denotano un rilevante distacco emotivo e sfiducia negli altri. Mentre si raggiunge l’individualizzazione e l’adesione al gruppo quando si manifesta assenza di comportamenti e atteggiamenti di contrapposizione all’adulto e l’uniformità di comportamento rispetto a stili differenti. Quando l’elemento del gruppo o l’allievo dichiara che nessuno parla mai di lui si sta verificando un isolamento cognitivo, in quanto viene a mancare il processo metacomunicativo e metacognitivo del riportare quanto un altro pensa o agisce.
L’educazione è composta di elementi controversi, quali profilo sistemico che permette di riflettere sulla propria interiorità. Nel futuro più prossimo si svilupperà il tema della comunicazione, nel riuscire a parlare meglio con se stessi si paleseranno molteplici solitudini. Le relazioni a distanza prenderanno il sopravvento. I saperi e le competenze si acquisteranno senza la mediazione interrelazionale. Ritrovare se stesso in una situazione di senso e significato diventerà un’impresa molto difficile. Ogni forma di conflitto prevede forme di intervento, risoluzioni, ma anche ricadute che annoverano il concetto di istruzione con forme riabilitative e rieducative, in particolare nell’ambito dei contesti aggregativi. Molto diverse sono le tipologie di conflitto che possono generarsi in una società complessa. I conflitti possono scaturire fra individui o stati, fra gruppi o all’interno di un’organizzazione. Possono sussistere conflitti di interesse, focalizzandosi sulla diversa percezione della realtà dei contendenti, sulle differenze e diversità di valori o credenze. Secondo Habermas l’inevitabilità dei conflitti nell’esistenza umana non è riconducibile unicamente a qualche generica tendenza innata degli esseri umani verso l’aggressività, ma riguarda anche l’organizzazione dei contesti sociali in cui sono inseriti. Gli esseri viventi devono negoziare continuamente i loro bisogni, desideri e scelte con gli altri soggetti con cui si trovano a interagire. E’ la loro natura di esseri sociali sistemici che determina la loro famigliarità con i conflitti interpersonali, caratterizzando il loro modo di affrontarli e di trovare o non trovare possibili soluzioni. Costruire strategie vincenti di mediazione dei conflitti richiede l’individuazione della tipologia del conflitto, la comprensione, l’ascolto delle cause che vi hanno condotto e l’assunzione di tutte le problematiche personali, pedagogiche e organizzative ad esse correlate. Questo può contribuire a favorire una maggiore consapevolezza dei modelli di riferimento assunti dai singoli insegnanti, generando istanze di cambiamento e producendo azioni e risoluzioni innovative. I concetti di mediazione/negoziazione e di gestione del conflitto costituiscono strategie di applicazione di concetti delineati, catalogati sotto il termine di “mediazione” con esperienze in diversi campi che rimandano ad universi disciplinari e professionali differenti. L’inflazione del termine mediazione rischia di svalutarne il significato rendendo confusa e sfuocata la sua definizione. Infatti spesso le esperienze dei processi che vengono definiti con il termine mediazione rientrano invece in quell’ambito che più correttamente si può chiamare “gestione dei conflitti”, ossia di tutti i processi volti a negare, appianare o risolvere a tutti i costi i conflitti, rischiando anche di perpetrare situazioni insoddisfacenti per tutti o per alcuni dei soggetti coinvolti in essi. Ogni forma di mediazione è libera e consensuale e non deve essere valutata. Il conflitto è un vissuto generativo perché da esso si va oltre, verso una relazione più chiara, generativa di qualcosa di diverso nella consensualità delle parti. Il conflitto nasce dalla presa di posizione nel voler instaurare una relazione con l’altro, mantenendosi però nella propria posizione (dal greco  stare, stabilire, porsi). Dunque il conflitto è uno scontro all’interno di una dimensione relazionale in cui ognuno vuole mantenere la propria prioritaria posizione. La mediazione o le strategie di gestione del conflitto vengono a volte fatte coincidere con il termine “negoziazione” che rappresenta invece il processo attraverso cui le parti in gioco contrattano una soluzione. La mediazione è un processo attraverso il quale i partecipanti, con l’aiuto di una terza persona neutrale, isolano in maniera sistematica le questioni per cui sono in contenzioso, al fine di sviluppare opzioni, di valutare alternative e di giungere a un’intesa mutuamente accettabile che risponda ai loro bisogni. La mediazione mira a ristabilire il dialogo fra le parti per poter raggiungere la riorganizzazione delle relazioni che risulti il più possibile soddisfacente per tutti. La valorizzazione della specificità dei singoli individui e gruppi e delle singole situazioni permette invece di affrontare la mediazione in un’ottica evolutiva e di personalizzazione delle istituzioni, che può d’altra parte spingere i singoli soggetti a chiudersi rigidamente entro il proprio stesso sistema di funzionamento mentale ed emotivo, nell’ambito di un sistema egocentrato che non si apre al confronto con l’altro.

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