LA CORONA FERREA

La storia del più antico e celebre simbolo del potere in Europa.

Il libro descrive minuziosamente le vicende storiche che si susseguono parallelamente alla storia della Corona Ferrea nell’arco di quasi 1700 anni, dai ritrovamenti degli oggetti della passione di Cristo, alla realizzazione dell’elmo dell’imperatore Costantino, alle modifiche e mutilazioni subite fino alle attuali forme e caratteristiche. La Corona Ferrea, custodita nel Duomo di Monza, rappresenta senza ombra di dubbio il simbolo di maggiore importanza a livello storico, politico e religioso dei 2000 anni in Europa.
“Elena si comportò saggiamente ponendo la croce sul capo degli imperatori, affinché negli imperatori fosse adorata la croce di Cristo: i re si inchineranno davanti al chiodo che è stato ai suoi piedi… e ugualmente la barra del timone dell’impero Romano, che dirige il mondo intero, copre la fronte dei principi, affinché essi, che di solito furono persecutori, siano ormai banditori della fede. Giustamente la barra del chiodo è posta sul capo, perché la dove è il pensiero, si trovi una difesa sicura. Il cima al capo il diadema, le redini fra le mani” questo scrisse Sant’Ambrogio nel De obitu theodosii. Elena, madre dell’imperatore di Roma Costantino, volle garantire l’incolumità del figlio creandogli un elmo “miracoloso” che doveva renderlo invincibile in battaglia, fece diventare Costantino imperatore venerato in quanto portatore di sacre reliquie.
Ludovico Antonio Muratori nel De Corona Ferrea qua romanorum imperatores in insubribus coronari solent: commentarius “E la Corona che presa Agilulfo è un elmetto, ovvero mitra calicantica, che avvolge tutta la sommità del capo, tutto nobilitato da grosse gemme e che porta una Croce sulla cima. Come poi è evidente nelle più antiche monete, Agilulfo e Grimoaldo portano un piccolo elmo concavo o mitra o un qualcosa che chiamano cuffia ornato di borchie, che circonda e chiude tutta la parte superiore del capo”.
Carlo Magno riuscì a riunire nel suo impero la forza del sangue barbaro, l’eredità dell’impero romano e il crisma del Cristianesimo, ed incrociò la sua strada con la Corona del Ferro, quando la volle come insegna del suo potere. A proposito scrisse Matthaeus Parisiensis nell’Historia Anglorum “E’ di una triplice Corona che si cinge l’imperatore dei Romani. Una d’oro, in ragione dell’impero romano; che è ciò che è l’oro per il mondo intero. Una d’argento, in ragione dell’Alemannia; che è ricca di monete d’argento, e abbonda di traffici, e gode altresì di grande rinomanza, per cui si dice comunemente (imperatore d’Alemannia) perché l’argento risuona. Una ferrea in ragione dell’Italia, la cui forza risiede nelle sue armi e nelle sue città turrite, ferreo, in effetti, significa armi, cioè il materiale per il manufatto”.
E ancora si ricorda nel Chronica Marchie trivixane di Rolandinus Potavinus “Cercò Ezelino da Romano di entrare nella città di Monza volendo forse privarla della nobile dignità della Corona Ferrea, che fu lì collocata dai nostri antenati in omaggio alla libertà della Lombardia a questo scopo: cioè perché ogni qual volta un imperatore dei Romani fosse stato legittimamente eletto, questo stesso, dopo la sua elezione a re dei Germani, dovesse dapprima cingersi della Corona Ferrea, e in fine recarsi a Roma a ricevere la Corona d’oro della dignità apostolica”.
San Carlo Borromeo rispetto alla questione della presenza del sacro chiodo nella corona di Monza, mantenne sempre una posizione di prudente silenzio. Nella sua ultima visita pastorale, quella del 1582, egli raccomandò che le reliquie del Duomo venissero tolte dalla sacrestia ed esposte alla venerazione dei fedeli, ma tra esse non menzionò mai la corona. Ricorda però Gaspare Zucchi che vide il Santo Borromeo, durante la sua ultima visita nel Duomo di Monza, inginocchiato davanti alla corona adorandola, ed infine la baciava con grande devozione.
Un sonetto anonimo ricamato su seta purpurea dice “Or mentre al culto ci si ridona ancora, quel cerchio d’or che intorno a lui si vede la vostra opra, immortal corona, e onore e pregio vostro con ragion si crede che gloria son del Vaticano ogn’ora le memorie di Cristo e la fede”.
Maria Teresa d’Austria conosceva la storia, sapeva della presenza della Corona del Ferro in Lombardia, ed era conscia delle antiche vicende che la legavano alla sua famiglia, nonché al trono che attualmente occupava. Quando l’imperatrice “madre dei popoli” decise di erigere un palazzo reale nei possedimenti italiani, lo volle ubicato a Monza (1770), la città che custodiva il cimelio del sacro romano impero.
Napoleone che si autoincoronò imperatore dei Francesi in Notre Dame, volle instaurare sui lombardi una monarchia personale, facendosi incoronare a Milano re d’Italia. Per tale occorrenza egli non ebbe alcun dubbio: sul suo capo doveva posarsi la Corona Ferrea. In questa occasione Napoleone disse “Dieu me l’a donnée, gare à qui y touchera” (Dio me l’ha data, guai a chi la toglierà).
Scrisse Luigi Federico Menabrea “La Corona di Ferro tanto ambita e contrastata e che fu testimonio di sì lunghe e terribili lotte, non poteva rimanere fuori d’Italia: essa era riservata alla illustre dinastia che la provvidenza destinava a liberare questa bella e nobile terra dal giogo straniero”.
La Corona Ferrea era l’insegna cui Vittorio Emanuele tanto teneva, che agognava di mettersi in capo più di ogni altro ornamento, ma doveva tenersene a distanza, a causa dello scempio di immagine arrecata dagli Asburgo. Vittorio Emanuele fu costretto a dichiarare “Signori! La Corona di Ferro vien pure restituita in questo giorno solenne all’Italia, ma a questa Corona io antepongo ancora quella a me più cara fatta con l’amore e con l’affetto dei popoli”.
Umberto I nel 1890, con un decreto ritoccò lo stemma reale di Stato “…uno scudo di rosso alla croce di argento; cimato dall’elmo reale colla Corona di Ferro, sostenuto da due leoni…”.
Hitler credeva nel potere degli amuleti religiosi e fondava il suo potere sulla protezione di forze occulte. Hitler cercò senza riuscirci in Italia la Corona che era stata in capo a Teodorico, Carlo Magno e Federico I, re dell’epopea germanica.
Infine scrive Karol Woityla ai cittadini di Monza “A voi spetta il compito di trovare risposte di fede ai problemi di una civiltà proiettata verso il futuro sapendole attingere da questo patrimonio religioso e morale e nello stesso tempo civile e culturale di cui è testimone la vostra città”.

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