NOVARA JAZZ 2009

NOVARA JAZZ 2009

il festival
La sesta edizione di Novara Jazz si conferma un palcoscenico d’eccezione per il jazz in Italia: incontri musicali e artistici assolutamente imperdibili, grandi progetti, protagonisti assoluti della scena internazionale e un’apertura a 360 gradi verso le traiettorie e le tendenze del jazz contemporaneo per due settimane di eventi.
Tutto il festival si svolge all’interno di una cornice unica come la città di Novara: le prestigiose sedi di Piazza Duomo e dell’Auditorium Cantelli ospiteranno i concerti, mentre le serate di venerdì e sabato saranno animate da spettacolari dj set presso il Blues Cafè dove si alterneranno grandi protagonisti dell’elettronica e del jazz internazionale. Attorno alla città, infine, ogni domenica straordinarie location come la piazza principale di Trecate, il castello di Briona e La Tinaia di Varallo Pombia, ospiterenno Jazz Brunch e Aperitivi in Jazz.

i concerti
Rova Saxophone Quartet, storico ensemble americano di soli sassofoni, darà il via al Festival con il concerto di apertura, giovedì 28 maggio all'Auditorium Cantelli, per poi accompagnare, il giorno seguente, nella suggestiva cornice di Palazzo Bellini, sede di Fondazione BPN, l’artista Massimo Bartolini nella performance Sun of Today.
Sempre venerdì 29 maggio l’Auditorium Cantelli si terrà un incontro unico e inedito: il leggendario percussionista indiano Trilok Gurtu, accompagnato dal suo gruppo e dal pianoforte di Fabrizio Ottaviucci. Nella spettacolare cornice di Piazza Duomo si esibiranno, invece, sabato 30 maggio due big band: i Chicago Stompers con il loro carattere anni ‘20. A seguire la jazz orchestra olandese Bik Bent Braam: guidata dal pianista Michiel Braam questa ensemble porterà a Novara contaminazioni e ricerche attraverso le forme e i generi del jazz attraverso una delle più spettacolari grandi ensemble contemporanee. Domenica 31 Maggio salirà sul palco dell’auditorium Christian Wallumrød che presenterà al pianoforte, accompagnato dal suo sextet, le ultime prove nella sua continua ricerca, iniziata più di quindici anni fa, tra composizione e improvvisazione: un lavoro che troverà compimento nelle prossime registrazioni per l’etichetta ECM.

La seconda settimana di Festival si aprirà giovedì 4 giugno all’Auditorium Cantelli con un tributo di Umberto Petrin & Brera Consort al grande compositore belga Jacques Brel, un progetto prodotto da Novara Jazz. Venerdì 5 giugno il trio di Luis Perdomo porterà a Novara un’esperienza e un percorso unico attraverso il jazz: da Caracas a New York, guardando a grandi classici come Cecil Taylor e John Coltrane per arrivare a composizioni e a uno stile decisamente innovativo.
A concludere il festival, sabato 6 giugno, saranno due straordinari appuntamenti: un concerto acustico nel pomeriggio a La Tinaia di Varallo Pombia con i Chicago Stompers e gran finale alla sera con i due concerti in Piazza Duomo con The Tempest Trio di Daniele D’Agaro, Han Bennink e Bruno Marini e gli Hypnotic Brass Ensemble.

i dj set
La contaminazione tra i generi è una delle tante peculiarità di Novara Jazz che anche quest'anno darà ampio spazio a celebri dj che si alterneranno alla console del Blues Cafè.

I suoni caraibici di Novarasta Sound si alterneranno con la musica elettronica di Alessio Bertallot, passando poi attraverso i rari vinili jazz di Nicola Conte, oltre che per le sperimentazioni di Club Silençio e di Noego Jazz Re:Found, per concludere, infine, con il sound inconfondibile di Soulful Torino e Michael “Pomonkey” Robinson.

le arti visive
Palazzo Bellini, sede della Fondazione Banca Popolare di Novara, venerdì 29 Maggio ospiterà Sun of Today, performance site specific del celebre artista contemporaneo Massimo Bartolini. Un gong tibetano, appositamente installato sulla storica torre dell’Auditorium Cantelli, sede di alcuni concerti del festival, verrà rintoccato in questa occasione e il suo suono sarà diffuso all'interno del cortile di Palazzo Bellini mentre i Rova Saxophone Quartet improvviseranno dal vivo.

Mercoledì 3 giugno, inoltre, Novara Jazz festeggierà il 50esimo anniversario dall'uscita del film Shadows, diretto da John Cassavetes, pellicola che ha segnato un momento fondamentale del dialogo fra jazz e le altre arti. Grazie ad una proiezione speciale al Cinema Araldo, il film potrà essere visto e rivisto dal pubblico di Novara Jazz.

altri appuntamenti
Come da tradizione, ogni domenica, saranno ospitati in varie location caratteristiche dei territori limitrofi a Novara, dei Jazz Brunch dove si potranno assaporare degustazioni di cibi e vini locali durante concerti jazz acustici. Domenica 31 maggio sarà la volta del Castello di Briona che ospiterà Artist's Dream Musical Project, un tributo a Kind of Blue, il leggendario disco di Miles Davis a 50 anni dalla sua pubblicazione mentre domenica 7 giugno a Villa Picchetta di Cameri si incontreranno per la prima volta il celebre batterista olandese Han Bennink e il virtuoso Roberto Ottaviano
Grande novità di questa sesta edizione è l' Aperitivo in Jazz che si terrà a Trecate, domenica 31 maggio, dove verrà presentata la prima parte del tributo a Kind of Blue, Artist's Dream Musical Project.

workshop e jam session
La Scuola di Musica Dedalo organizzerà, in collaborazione con Novara Jazz, due workshop: sabato 30 Maggio e martedì 2 Giugno musicisti appassionati e non solo potranno cimentarsi con gli aspetti tecnici della musica jazz.
Tutte le sere poi, dalle ore 22 presso la Trattoria San Marco, il pubblico del festival potrà ritrovarsi a suonare nella più classica forma di scambio e libera creatività musicale che il linguaggio del jazz conosca: la Jam Session.

28 maggio
Rova Saxophone
Quartet

Larry Ochs: sax sopranino e tenore
Jon Raskin: sax alto e baritono
Steve Adams: sax alto
Bruce Ackley: sax soprano e tenore

Il più grande quartetto di sax bianchi della storia del jazz
dalla California, in esclusiva per l'apertura di Novara Jazz

Dalla seconda metà degli anni ‘70 nel jazz d’avanguardia d’oltreatlantico, ma spesso in sintonia e in contatto con gli approdi più avventurosi dell’improvvisazione radicale europea, emergono sviluppi che portano ad estreme e/o nuove conseguenze la lezione del free jazz: polistrumentismo, organici non convenzionali, improvvisazione libera, ricerca timbrica. È su questo terreno che nel 1977 nasce il californiano Rova Saxophone Quartet: combinando variamente tutto un assortimento di sassofoni (sopranino, soprano, alto, tenore, baritono), il Rova si fa rapidamente rimarcare per l’originalità, la tagliente lucidità, la densità espressiva e l’intensità esecutiva, il forte senso d’insieme della costruzione musicale. Nel rimescolamento di carte del post-free, quella proposta dai bianchi del Rova è sotto molti riguardi un’estetica che si distingue dall’approccio nero al jazz e al free jazz, ma si colloca però anche su una lunghezza d’onda assai prossima a quella delle più audaci ricerche della – prevalentemente nera – “scuola di Chicago”, e proprio in uno degli alfieri del post-free chicagoano, Anthony Braxton, il Rova riconosce una ispirazione decisiva, assieme a quelle offerte da Coltrane, Ornette Coleman e Steve Lacy in campo jazzistico ma anche da compositori contemporanei americani ed europei come Ives, Varese e Messiaen. Passati più di trent’anni dalla sua formazione, con Jon Raskin, Larry Ochs, Bruce Ackley e Steve Adams che nell’88 ha rimpiazzato Andrew Voigt il Rova rappresenta ancora una delle esperienze più rigorose e vitali sulla scena musicale contemporanea.

Marcello Lorrai

Giovedì 28.05.2009 – Conservatorio Cantelli ore 21.00
Ingresso € 10

29 maggio
Sun of Today
Massimo Bartolini con
Rova Saxophone Quartet

Progetto a cura di Marco Tagliafierro
Larry Ochs: sax sopranino e tenore
Jon Raskin: sax alto e baritono
Steve Adams: sax alto
Bruce Ackley: sax soprano e tenore

Un gong sulla torretta campanaria del Collegio Gallarini:
un’idea di Massimo Bartolini per Rova Saxophone Quartet

Sun of Today, è il titolo di un’installazione di Massimo Bartolini che trova collocazione all’interno della torre campanaria situata a completamento dell’angolo meridionale di un’eclettica costruzione che da tempo ospita il Conservatorio novarese Guido Cantelli. L’edificio di origine settecentesca adibito prima ad ospedale e poi a collegio, subì una profonda ristrutturazione tra il 1841 e il 1844 ad opera dell’ingegnere Stefano Ignazio Melchioni. L’aspetto attuale venne impresso dagli interventi decorativi del sacerdote galliatese Ercole Marietti, architetto dilettante, rettore del Collegio dal 1854 al 1905. L’architettura risulta particolarmente interessante grazie all’uso di decorazioni in cotto, che sono inserite nelle facciate unitamente a materiali di recupero e delle tegole colorate che ravvivano la copertura del tetto. La ricerca intrapresa in questi decenni dall’artista toscano Massimo Bartolini (Cecina 1962) è fortemente caratterizzata dal dialogo con il luogo ospitante. Bartolini è solito agire in senso antimonumentale al fine di annullare le coordinate spazio-temporali che contraddistinguono il sito che accoglie e motiva l’opera. Coinvolgendo attivamente lo spettatore, l’artista di Cecina lavora per attivare nel fruitore dell’opera un senso di straniamento che porta ad una riattivazione della coscienza di ciò che circonda lo spettatore ed in ultima analisi l’artista. Il carattere eclettico del monumento

Venerdì 29 Maggio l’artista Massimo Bartolini metterà in scena Sun of Today: il suono del gong installato sulla torretta portacampana del Collegio Gallarini sede dell’Auditorium Cantelli sarà trasmesso attraverso un ponte radio nel cortile di Palazzo Bellini, storica sede della Fondazione BPN, mentre Rova Saxophone Quartet improvviserà sui suoni novarese ma anche la sua “leggerezza”, conferita dal ritmo di pieni e di vuoti che ne costituisce l’impianto segnico, pare ben corrispondere alle esigenze estetiche di Bartolini. La torre campanaria è da tempo sprovvista dello strumento che la caratterizza, Bartolini ha agito su questa assenza inserendo un gong al posto della campana. Una sorta di paganizzazione del simbolo. Il gong può essere attivato a mano o dal vento producendo un suono, un tintinnio che “colora l’aria”. Oppure può agire come uno “scaccia spiriti”. Il suono sarà riattivato da un musicista durante una delle performance musicali inserite nel palinsesto del festival e ritrasmesso in diretta sul palco dove il concerto avrà luogo. Bartolini ha voluto, con quest’opera, dedicare un omaggio al grande musicista Sun Ra.

Massimo Bartolini ha partecipato alla Biennale veneziana del 1999 e a numerose delle maggiori manifestazioni internazionali, tra cui Manifesta 4 (Francoforte, 2002). Ha inoltre esposto al P.S.1 di New York (2001), al Witte de With di Rotterdam, al Museu Serralves di Porto, all’Accademia di Francia di Villa Medici (Roma, 2000), al Centro De Appel di Amsterdam (1998), alla British School di Roma (1997) e al Konstmuseum di Malmö (1995). Da segnalare numerosissime recenti mostre personali a lui dedicate presso gallerie e musei quali il MAXXI di Roma, il Museu de Arte Contemporanea di Porto, il Caixa Forum a Barcellona, D’Amelio Terras a New York, Firth Street Gallery di Londra e la Galleria Massimo De Carlo a Milano. Oltre alla partecipazione a numerose collettive quali la Biennale di Shangai del 2006, curata da Gianfranco Maraniello, Italics, curata da Francesco Bonami a Palazzo Grassi, Venezia nel 2008 e Una stanza tutta per sé, a cura di Marcella Beccarla presso il Castello di Rivoli nel 2009.

Marco Tagliafierro

Cerchiamo di essere schematici. Massimo Bartolini è un artista visivo (lungo curriculum con molte mostre internazionali come Manifesta, Biennale di San Paolo, e due Biennali di Venezia) con un passato da batterista e un’attenzione così forte per la musica e il suono da includerli spesso nei suoi lavori. Alcune delle sue installazioni architettoniche e delle sue performance contemplano o sono addirittura costruite intorno al suo utilizzo. Non aspettatevi qualcosa di particolarmente strutturato: il suono per Bartolini è sempre materia
informe e sintetica piuttosto che narrativa. Possono essere accumulazioni caotiche di suoni o singole vibrazioni, improvvisazioni o materiali registrati, suoni naturali o completamente sintetici: si spazia dal free-jazz all’elettronica minimale, dalle avanguardie del Novecento all’Ambient. In ogni caso la musica e il suono hanno, per Bartolini, funzione terapeutica, quasi spirituale. Sono mezzi per stabilire un contatto tra individuo e realtà, tra io e mondo, in un progressivo itinerario di esperienza e conoscenza. Per questo la sua produzione oscilla tra lavori che giocano sulla ricezione di un numero quasi inf inito di suoni (quelli della foresta amazzonica in un’installazione alla Biennale di San Paolo del 2003) e altri nei quali organizza la percezione, solitaria, di un suono solamente, di una vibrazione (come nelle sue “teste”, stanze di decompressione per percepire pochi imput sensoriali). Che è come dire, tutti i suoni del mondo e tutto il mondo in un suono. Ovvero John Cage vs La Monte Young. Ma non tutto si risolve in questo ping-pong tra pesi massimi. Bartolini è grande appassionato di free-jazz, e alcune sue performance sono state costruite sull’esecuzione di “solo” – il sax del fedele Edoardo Maraffa e quello di Rudi Mahall, la f isarmonica di Rüdiger Carl – davanti a paesaggi naturali ridotti ai minimi termini. Anche qui, per quanto difficile, parliamo della ricerca di un dialogo tra uomo e natura.

Luca Cerizza

Venerdì 29.05.2009 – Palazzo Bellini, sede Fondazione BPN ore 18.00
Concerto gratuito

29 maggio
Trilok Gurtu con
Fabrizio Ottaviucci

Trilok Gurtu: percussioni, voce
Phil Drummy: sax, flauto, santoor, didgeridoo
Carlo Cantini: violino, tastiere, melodica
Joahnn Berby: basso
Roland Cabezas: chitarra
Fabrizio Ottaviucci: pianoforte
Trilok Gurtu: percussioni
Fabrizio Ottaviucci: piano solo

Il maggiore percussionista indiano di tutti i tempi: una star
Incontro di continenti col pianoforte di Fabrizio Ottaviucci

TRILOK GURTU
“Io credo che lo humour costituisca un elemento essenziale della musica”, ci diceva in un’intervista Trilok Gurtu. “Per la mia sensibilità la musica non deve essere esageratamente seria, deve fare in modo che chi ascolta sia felice, che si distenda. È qualcosa che ho interiorizzato f in da bambino, vedendo la bravura nel rapporto col pubblico di mia madre, che faceva la cantante. A Bombay ci sono degli eccellenti teatri, con grandi attori e grandi cantanti, che devono essere estremamente versatili: e mia madre amava molto questa dimensione”. Figlio di Shobha Gurtu, rinomata interprete di musica classica indiana, lungo l’arco di più di trent’anni calcando le scene di tutto il mondo Trilok Gurtu ha conservato intatta nel fare musica un’attitudine divertita e ludica. Consumato padrone di percussioni le più varie, a cominciare dalle tabla, collaboratore di protagonisti della musica contemporanea della statura di Don Cherry, John McLaughlin, Jan Garbarek, battistrada della multiculturalità musicale, globetrotter richiestissimo e rotto ad ogni esperienza (nella sua discografia si incontrano nomi tanto diversi quanto Gilberto Gil e Jack Bruce, Ivano Fossati e Oregon, Claudio Rocchi e DJ Spooky), Gurtu ha dato ottima prova di sé anche come leader: alla lista dei suoi album personali – tra i più signif icativi African Fantasy, del 2000, con la partecipazione delle cantanti africane Oumou Sangare e Angelique Kidjo – si è appena aggiunto Massical, in cui compaiono i musicisti che lo aff iancano in concerto a Novara Jazz: Carlo Cantini fa parte dell’italiano Arkè String Quartet, con cui Gurtu ha realizzato nel 2006 l’album Arkeology. Gurtu concepisce la world music come un gioco combinatorio, in cui si orienta aff idandosi innanzitutto alla bussola della godibilità: un po’ come gli autori delle colonne sonore di Bollywood – che Gurtu ha nel suo Dna assieme alla lezione appresa dalla madre – preoccupati non di celebrare lo sposalizio di culture diverse, ma, più prosaicamente e pragmaticamente, di far funzionare, per il divertimento del pubblico, l’incontro fra musiche diverse.

Marcello Lorrai

FABRIZIO OTTAVIUCCI
Lo ascoltai al Farnese e fu come buttare il cuore al di là di un confine. Lo invitai a Novara
e vidi un teatro che piangeva di stupore e di gioia. Certe esperienze non si possono scordare, almeno finché si ha respiro in gola: inoltrarsi f ino ad Assisi sulle strade del poverello, alla ricerca di armonia, paesaggi incontaminati, vino, memoria, tracce di sé stessi e di non solo. Inerpicarsi per la piccola strada di Trodibetto, come se fosse il percorso più naturale e rigenerante del mondo. Provateci anche voi: se sarete capaci di seguire le giuste vibrazioni vivrete un’esperienza ineguagliabile: Fabrizio abita in fondo alla strada degli ulivi, in un casolare antico e in mezzo al nulla, con la vista più bella del mondo sulla valle più bella del mondo. La mattina, tra le brume ancora non dissolte, l’unica cosa visibile sopra mille chiome in cerca di cielo è la Porziuncola: il luogo in cui Francesco scelse la sua esistenza libera e senza regole. In una stretta porcilaia di fianco al casolare dopo mezzanotte c’è sempre una luce accesa: li troverete Fabrizio, a fianco del suo pianoforte, a pensare e suonare le sue musiche. Se sarete fortunati a fine serata suonerà il Raga del Cuore. Poco conta una vita di concerti in tutto il mondo a suonar Cage, Scelsi, Riley, Sciarrino e mille altri compositori del nostro tempo.

“Fabrizio Ottaviucci plays with the angelic grace and beauty of an magician from another
world. Surely his work is blessed by San Francesco, the patron saint of the city where he
resides inpeace and stability. A rare musician with an even rarer perspective on the music
of his times.” Terry Riley

Ora ci ha regalato la sua musica ed è una musica che ci piace assai: la musica di Fabrizio Ottaviucci. Ecco l’azzardo di Novara Jazz 2009: incrociarlo con l’India di Trilok Gurtu per farlo ritornare alle origini della sua musica, per spingerlo verso un viaggio ormai lontano in cui imparò il senso dei raga. Comunque vada sarà una serata che non potremo dimenticare. Per moltissimo tempo.

Corrado Beldì

Venerdì 29.05.2009 – Conservatorio Cantelli ore 21.00
Ingresso € 10

29 maggio
Alessio Bertallot with dj Fiore
MAD L (outta Novarasta Sound)

Uno dei dj italiani più conosciuti amati ed ascoltati, tra nuove
tendenze e sovrapposizioni dal B Side di Radio Deejay

ALESSIO BERTALLOT
Da anni conduce B Side a Radio Deejay, programma serale per tutti gli appassionati della nuova musica che non ha cittadinanza negli standard musicali dei media. La sua trasversalità rispetto agli schemi è la caratteristica costante di tutte le sue esperienze: dall’inconsueto vuoto di 30 secondi di silenzio imposto in diretta televisiva durante il Festival di Sanremo del 1992 con gli Aeroplanitaliani, alla realizzazione di un programma di musica “alternativa” in una radio mainstream come Radio Deejay, all’ecclettismo dei suoi dj set, Bertallot sembra sempre non volere essere mai allineato. Non c’è da meravigliarsi se in questo eclettismo abbia trovato spazio anche il Jazz. Con un tipo del genere, è ben difficile prevedere quali dischi possa suonare a Novara Jazz. Ma, conoscendolo, sono certo che farà in modo di stare nel tema, celebrando il jazz…bastardo: quello che incontra il soul, l’elettronica e il rap. Un dj serio e alternativo dunque, ma non diteglielo: alla domanda “ti senti un alternativo, nel tuo ambito di dj ? “ rispose: “ Ma dove ? Ormai, in Italia, basta che usi correttamente i congiuntivi e sei considerato uno snob ”…

Nu jazz, funky hip-hop e r’n’b tra Londra e influenze jamaicane

MAD L
Le ritmiche londinesi e le influenze Reggae sono la chiave per interpretare al meglio la musica di questo giovane dj novarese. La raff inata selezione spazia dal Dub alla Jungle legati tra loro da Acid Jazz e Black Music. Una sonorità ricercata e appassionata che mostra il meglio dell’elettronica contaminata con la musica giamaicana. Uno dei dj italiani più conosciuti amati ed ascoltati, tra nuove tendenze e sovrapposizioni dal B Side di Radio Deejay Nu jazz, funky hip-hop e r’n’b tra Londra e influenze jamaicane

Venerdì 29.05.2009 – Blues Cafè da mezzanotte
dj set gratuito
30 maggio
Chicago Stompers

Elena P. Paynes: voce
Tiziano Codoro: tromba, corno
Paolo Colombo: clarinetto, sax soprano, voce
Veronica Santagostino Baldi: sax tenore, clarinetto, ukulele, voce
Giovanni Libonati: sax alto, clarinetto, voce
Giorgio Gallina: violino, trombone
Mauro Porro: piano, reeds (alto, c-melody, tenore, sax soprano,
clarinetto), corno, voce, arrangementi & trascrizioni
Dario Lavizzari: banjo, chitarra resofonica, ukulele, washboard,
piano, voce
Paolo Vanzulli: tuba, batteria, voce
Alessandro Rossi: batteria, percussioni, celesta

La più giovane e divertente big band italiana: incontenibile
e spettacolare. Un elegante percorso nel jazz degli anni venti.

Un esercizio di filologia musicale, un’ensemble di talenti purissimi per recuperare forme pure del jazz anni venti: I Chicago Stompers sono una grande orchestra che ha studiato il passato, per la precisione il periodo tra il 1924 e il 1931, e ne ha recuperato tanto lo stile musicale quanto i dettagli tecnici e musicali. Basti pensare che tra gli stumenti troviamo i sassofoni basso e “c-melody”, un clarinetto di metallo, una grancassa che monta un antico set di “temple woodblocks” degli anni '30, un primitivo tom, il “chinese bongo”, piatti originali degli anni '20 montati su molle e corde di cuoio, un rullante rigorosamente “d'annata” e i rarissimi “bock-a-de-bock cymbals. E che la stessa attenzione è riservata all’immagine, con una ricostruzione degli abiti, della scena e del palco, un’analisi dei documenti audiovisivi dell’epoca che non può non avere influenze anche sulla loro musica e sul loro modo di suonare e interpretare il jazz. Il recupero di un genere come lo stomp passa attraverso una ricostruzione e una messa in scena teatrale, un’immersione che non sottovaluta l’aspetto ironico che si affaccia in un’operazione come questa. L’omaggio è dichiarato e raffinato al tempo stesso, ed è una straordinaria leggerezza che permette alla band di recuperare una travolgente semplicità di linguaggio, un linguaggio cristallizzato in un momento chiave della storia del jazz ma riletto con la passione che tiene in vita qualunque lavoro musicale.

Marco Scotti

Sabato 30.05.2009 – Piazza Duomo ore 21.00
Concerto gratuito

30 maggio
Bik Bent Braam

Michiel Braam: pianoforte
Wilbert de Joode: contrabbasso
Michael Vatcher: batteria
Peter van Bergen: sassofono tenore e clarinetti
Frans Vermeerssen: sassofo tenore e baritono
Frank Gratkowski: sassofono alto e clarinetti
Jan Willem van der Ham: sassofono alto e fagotto
Bart van der Putten: sassofono alto e clarinetto
Peter Haex: tuba tenore
Carl Ludwig Hübsch: basso tuba
Eric Boeren: cornetto
Angelo Verplegen: tromba
Wolter Wierbos: trombone

La più straordinaria big band europea del nostro tempo:
tredici olandesi volanti in picchiata su Novara Jazz!

C’era una volta uno splendido collettivo olandese che si chiamava Willem Breuker Kollektief, la cui autenticità è sempre stata nel mantenere un certo grado di sperimentazione nei confini delle composizioni travolgenti del leader. Personaggio mosso da una grandissima cultura generale, che gli ha permesso sempre di pescare riferimenti e idee qua e là. Per dovere di cronaca è bene ricordare che il collettivo è ancora in piedi, tuttavia il periodo di maggior splendore è oramai superato. La Bik Bent Braam Big Band, che invece è ancora molto attiva, un bel po’ la ricorda: irriverente nella fisicità e nell’approccio al tessuto sonoro, trame giovani, una evidente deformazione ironica e un bagaglio culturale e musicale da far paura. Tredici elementi la compongono, ad ogni loro concerto si impara qualcosa di nuovo: l’arte del cucito, ad esempio. Il leader rammenda addosso ognuno di loro un tema iniziale e poi si parte per i territori dell’improvvisazione pura. I brani hanno lunghezze del tutto disomogenee, brevi frammenti o vere e proprie suite piuttosto articolate. Free Improvised Music, una volta ci fecero persino una casa discografica con l’acronimo di questa sigla, che perfettamente si addice alla Big Band in questione. Il leader, pianista e compositore Michiel Braam li chiama bonsai, dei temi miniature, piccole aiuole fiorite e coltivate a suon di forti dosi dell’Ellington orchestrale mescolati con rock, tango. E chi più ne ha più ne metta.

Una big band paritaria e dalla spiccata fisionomia. Assumono così decisiva importanza gli arrangiamenti e gli impianti melodici, dinamici, molto attuali, e ben caratterizzati nell’invidiabile capacità di sintesi di tutti i componenti. Uno splendido esempio di immaginazione e sensibilità contemporanee, tra avanguardia e mille idee trasportate dalla tradizione popolare europea.

Federico Scoppio

Sabato 30.05.2009 – Piazza Duomo ore 22.30
Concerto gratuito

30 Maggio
Nicola Conte
Club Silençio

L’eclettico Nicola Conte in un dj set alla riscoperta dei grandi
classici jazz degli anni '60, coi vinile della collezione privata

NICOLA CONTE
Il dj, produttore, arrangiatore e chitarrista barese ha mischiato, con il debutto “Jet Sounds”,
in maniera ammirevole e frizzante colonne sonore anni ‘60 e ‘70, jazz, bossanova, lounge,
ritmi latini ed elettronica. Da li in poi è stato tutta una carriera in salita fatta di viaggi in giro
per il mondo e album sempre più stilosi e raffi nati (l’ultimo della serie è “Rituals” sempre per la fida Schema), sempre basculando tra prove analogiche e in studio e sperimentazioni elettroniche via remix. Di pari passo la sua collezione di vinili pregiati e 45 giri si è ampliata a dismisura facendo venire alla luce chicche inimmaginabili. L’eclettico Nicola Conte in un dj set alla riscoperta dei grandi classici jazz degli anni '60, coi vinile della collezione privata
Ormai il nome Nicola Conte è sinonimo di stile e raff inatezza jazz contaminate, in un’immaginario che riporta in mente il classicismo degli anni cinquanta e sessanta, con tutto il loro corredo di ammiccamenti al mondo della moda e della cultura dell’epoca.
Stasera, in occasione dell’anniversario del mitico “Kind of Blue”, album epocale del Miles Davis Quintet presenterà un set tributo incentrato su perle viniliche del passato e rarità mai ascoltate.

Musica per un felice stato mentale e vera goduria spirituale

CLUB SILENÇIO
Per capire di chi stiamo parlando basta dire che sono in due e che: Gas dichiara apertamente di voler essere Tiki, dalla mitologia polinesiana, il primo uomo creato, che chiaramente trovò la prima donna; Yatu è attivo sostenitore della Cocktail Nation, contro la forzata sobrietà! Accorrerò sotto il palco per immergermi tra le sonorità sperimentali e ricercate, che mischiano funky, jazz e house, contaminazioni varie, dalle colonne sonore ai global beats, per il raggiungimento di un felice stato mentale. Club Silençio produce uno show radio ascoltabile sia su Radiogold in FM che in rete sulla webradio Zerogravity. Cin Cin!

Sabato 30.05.2009 – Blues Cafè da mezzanotte
dj set gratuito
31 maggio
Christian Wallumrød
Sextet

Christian Wallumrød: pianoforte, harmonium, piano toy
Eivind Lønning: tromba
Gjermund Larsen: violino, hardanger fiddle, viola
Tanja Orning: violoncello
Giovanna Pessi: arpa barocca
Per Oddvar Johansen: batteria, percussioni

Jazz, minimalismo, improvvisazione ed atmosfere nordiche:
la Norvegia e l’universo musicale di Christian Wallumrød

Raffinato e colto esponente della scena contemporanea norvegese, da anni con la sua musica incanta per sintesi ed equilibrio nei contrasti. Ha debuttato nel ’98 per la prestigiosa Ecm con “No Birch” assieme ai connazionali Arve Henriksen e Hans-Kristian Kjos Sørensen, ma da sempre esplora in più direzioni, dall’electro funk di “Close Erase” all’elettronica sperimentale di “Merriwinkle”, con Sidsel Endresen, fi no ai progetti di area contemporanea colta a proprio nome, con Dans Les Arbres e Oslo Sinfonietta. L’ispirazione di questo sestetto nasce dall’incontro del leader con l’arpista svizzera Giovanna Pessi e dalla volontà di accostare il pianoforte all’arpa barocca, dando seguito al percorso avviato nel 2000 con la finlandese Iro Haarla. Naturale evoluzione del quartetto di “Sofie nberg Variations” e “A Year From Easter”, è un esempio di come un ensemble da camera di pochi elementi possa suonare, al pari di una grande orchestra, come un autentico “corpus organico”. Violino, arpa barocca, violoncello e tromba si fondono in linee melodiche intimiste che richiamano reminiscenze etniche, musica sacra e grande contemporaneità, dando vita ad accostamenti timbrici di rara bellezza. Le composizioni di “The Zoo Is Far”, pubblicato nel 2007, sembrano forgiare vere e proprie sculture sonore, che ora si formano e ora si dissolvono, frammenti di Purcell e variazioni su antichi salmi norvegesi che si innestano a sonorità dell’estremo oriente…il risultato è un qualcosa di insolito e che vale assolutamente la pena ascoltare. Jazz, minimalismo, improvvisazione ed atmosfere nordiche: la Norvegia e l’universo musicale di Christian Wallumrød

La sua musica ha un’estetica inconfondibile e questo lo rende uno degli elementi
più interessanti della scena europea contemporanea. Stupisce come composizioni
apparentemente tanto calme e tranquille evochino forza e intensità emozionale di tale
profondità. A due anni dalla pubblicazione di “The Zoo Is Far“, a Novara Jazz presenterà
alcune composizioni che confluiranno nel nuovo album in uscita su ECM a novembre.

Luca Vitali

Domenica 31.05.2009 – Conservatorio Cantelli ore 21.00
Ingresso € 10

3 giugno
Shadows
di John Cassavetes

50° anniversario
un film scritto e diretto da John Cassavetes nel 1959

“The film you have just seen was an improvisation”, recita la didascalia finale di Shadows,
primo lungometraggio di John Cassavetes. Era l’anno di grazia 1959, quello de i quattrocento colpi di Francois Truffaut e The shape of jazz to come di Ornette Coleman, per dirne due. Il film di Cassavetes è il perfetto prodotto di quell’epoca incline alle sperimentazioni. Il concetto di improvvisazione è centrale nella struttura del film, e il modo in cui è declinato ne fa una pietra miliare nella storia dei rapporti tra cinema e jazz. Certo, c’è l’analisi sociale dei rapporti razziali e delle mille sfaccettature della blackness nelle metropoli statunitensi, c’è l’impietosa critica delle umiliazioni a cui erano costretti i jazzisti per sbarcare il lunario, ma soprattutto c’è il jazz come (unica possibile) colonna sonora delle insensate eppure bellissime derive urbane dei protagonisti. La trama, come in tutti i f ilm di Cassavetes, è solo uno spunto da cui partire: tre fratelli, Hugh, Ben e Lelia, le loro vite nell’ambiente underground della New York dell’epoca, tre diverse sfumature di nero e tre diversi modi di sfuggire alla stereotipizzazione razziale; ciò che tuttavia interessa veramente al regista non è imporre una tesi precostituita, ma lasciar muovere liberamente i personaggi nelle loro interazioni e seguirne le traiettorie spaziali. L’improvvisazione filmica si intreccia meravigliosamente con quella jazzistica delle note di Charles Mingus e del sassofonista Shaf i Hadi. Non un film sul jazz, ma un film jazz tout court, questo è Shadows. Cinquanta anni dallo straordinario esordio di Cassavetes: un film che ha rivoluzionato la storia del cinema americano

La colonna sonora di Shadows era stata affidata in origine a Miles Davis. In seguito a v divergenze furono scelti Charles Mingus e un suo sassofonista dell’epoca, Shafi Hadi. L’aiuto operatore di John Cassavetes, Al Ruban, ricorda come il regista non fosse soddisfatto della versione proposta inizialmente da Charles Mingus, a suo avviso troppo scritta, e insistette perché fosse maggiormente improvvisata, in consonanza con l’atmosfera del film.

Carlo Gallione

Mercoledì 03.06.2009 – Cinema Araldo ore 21.15
Ingresso € 5
4 giugno
Umberto Petrin plays
Jacques Brel

Umberto Petrin: pianoforte, arrangiamenti
Daniela Cammarano: 1° violino
Michele Torresetti: 2° violino
Feyzi Brera: viola, chitarra elettrica
Kerem Brera: violoncello

L’omaggio di Umberto Petrin col quartetto Brera Consort
al grande Jacques Brel, l’indimenticabile chansonnier

Piano e quartetto d’archi. Canzone, jazz e camerismo. Scrittura e improvvisazione. I due brani del ’98, più Jef, Jackie, Le diable, Ne me quitte pas, La valse à mille temps, Sans exigences, Je suis un soir d’été…Arrangiamenti concepiti su strutture narrative, nella direzione più dei processi creativi della letteratura che non della musica. Esaltazione della poeticità di testi e linee melodiche. Brel (a ottant’anni dalla nascita) selon Petrin. Umberto Petrin sembra uscito fuori da una canzone di Paolo Conte. La fisarmonica di Stradella, certo. “E Broni, Casteggio, Voghera…”: a Broni è nato, a Casteggio ha vissuto a lungo, a Voghera vive attualmente. In questa sua “esistenziale” marcia d’avvicinamento a quella che è un po’ la capitale di certa canzone d’autore nostrana (Asti, ça va sans dire), non poteva non imbattersi in uno come Brel, che di quella conventicola è per più versi un paradigma. Come c’è arrivato? Lo vedremo. Da dove? Da lontano. Dal conservatorio, intanto, dove si è ovviamente diplomato in pianoforte. Il jazz, in tal senso, è già una conquista successiva: parliamo di metà anni Ottanta, decennio alla f ine del quale Petrin entra nei gruppi di Guido Mazzon e Tiziana Ghiglioni e la sua stella spicca il volo in fretta. Suona con Lacy, Konitz, Lovens, Rutherford, Rava, Trovesi, Schiaffi ni, Berne, Cappozzo, fra gli altri. Nel 1997 entra nell’Italian Instabile Orchestra, in seno alla quale collabora con Cecil Taylor, Willem Breuker, Anthony Braxton. Il suo amore per la poesia l’ha portato frattanto a collaborare stabilmente con Stefano Benni e Giuseppe Cederna. Si dedica a Monk, Beuys, e appunto Brel. Il primo vagito, in tal senso, ha una data e un luogo precisi: il 1998, ventennale della morte di Grand Jacques, e Recanati, dove, alla rassegna di Musicultura, proprio chi scrive queste note gli “commissiona” di arrangiare alcuni temi breliani (lui sceglie Amsterdam e La chanson des vieux amants) per un singolare quartetto che alla fine lo vedrà interagire L’omaggio di Umberto Petrin col quartetto Brera Consort al grande Jacques Brel, l’indimenticabile chansonnier

con i sassofoni di Eugenio Colombo, l’organetto di Ambrogio Sparagna, il violoncello di
Paolo Damiani. Il dado è tratto: Petrin, che certo conosceva e amava Brel già per suo conto, rimugina, rumina, metabolizza. E nel 2007 se ne esce con una nuova versione di Amsterdam inclusa in “Vaghissimo ritratto”, inciso in trio con Gianluigi Trovesi e Fulvio Maras per la ECM. E ora questo nuovo progetto, sollecitatogli da Manfred Eicher in persona, tutto centrato sul grande belga.

JACQUES BREL
Caso alquanto singolare, quello di Jacques Brel. Nato a Bruxelles l’8 aprile 1929 in una famiglia di piccoli industriali intrisi di etica borghese e cattolica, sembra avere il destino segnato: rilevare l’azienda paterna e insabbiarsi in un’agiata routine. All’inizio tutto marcia spedito: a ventiquattro anni è laureato, sposato, padre di tre f igli. Poi qualcosa s’inceppa: pare che il giovane industriale si perda dietro a delle canzoni…Quella (forse) innocente evasione si trasforma in fretta in qualcosa di ben più importante: un primo disco in patria, quindi Parigi, dove ci sono già i Ferré, i Brassens, i Vian, a sposare musica e parole secondo coordinate nuove, forse inaudite. La gavetta è aspra, il successo un miraggio. Almeno all’inizio, quando Brel sforna cose neanche troppo memorabili o indicative di quanto saprà partorire di lì a poco. Le migliori sono Grand Jacques (che diventerà il suo soprannome), Sur la place, Il nous faut regarder. Il biennio 1956/57 è per contro già decisivo: del ’56 è il primo grande capolavoro, Quand on n’a que l’amour, ispirato all’invasione ungherese; del ’57 il primo trionfo pubblico, all’Olympia, dove gli capita di rimpiazzare fortuitamente Marlene Dietrich. A cavallo fra anni Cinquanta e Sessanta arrivano quindi Seul, Les dames patronesses, La valse à mille temps, Ne me quitte pas, Les bourgeois, Les flamandes, L’ivrogne, Le moribond, La statue, Zangra, Madeleine…Molte di esse f igurano in un memorabile live – del 1961, sempre all’Olympia, bissato tre anni dopo da una sorta di album-gemello (stavolta i titoli sono Les vieux, Les toros, Amsterdam, Le plat pays, Le dernier repas…). Altri tre anni, di nuovo l’Olympia, ed ecco, come un fulmine a ciel sereno, il ritiro dalle scene. Grand Jacques è stanco: si dà per un pò al teatro (dov’è fra l’altro Don Chisciotte) e al cinema, dirigendo due film, Franz e Far West, e interpretandone svariati altri (molto breliano il suo ruolo più noto, nell’Emmerdeur di André Cayatte accanto a Lino Ventura), poi salpa una volta per tutte col suo veliero, Askoy, alla volta di Hiva-Oa (come Gauguin), in quelle Isole Marchesi che canterà nel suo ultimo, sorprendente e magnif ico, album, semplicemente “Brel”. È il 1977: non è tornato solo per entrare in sala d’incisione, ma anche in un ospedale dove tenta un’estrema, disperata operazione. Solo in pochi lo sanno, ma ha il cancro. Il mondo lo scoprirà il 9 ottobre 1978, quando se ne andrà, a quarantanove anni e dopo aver dato l’impressione, in un quindicennio scarso di iperattività, di aver cambiato più di una regola in quell’universo chiamato canzone d’autore (segnando non poco, tra l’altro, anche i nostri Paoli e Gaber, che lo traducono e lo cantano; non unici, del resto). Una sempre controversa sintonia con l’universo femminile, la conseguente esaltazione di un’amicizia tutta al maschile (da Jef a Jojo), l’invettiva sociale (per lo più venata di beffarda ironia), la solitudine, la vecchiaia, la morte… Il s’appellait Jacques Brel, già Elle est partie comme s’en vont / ces oiseaux-là dont on découvre après avoir aimé leurs bonds / que le jour où leurs ailes s’ouvrent ils s’ennuyaient entre nos mains / elle est partie comme en vacances depuis le ciel est un peu lourd / et je me meurs d’indifférence et elle croit se couvrir d’amour.

Alberto Bazzurro

Giovedì 04.06.2009 Conservatorio Cantelli ore 21.00
Ingresso € 10
5 giugno
Luis Perdomo Trio

Luis Perdomo: piano
Hans Glawischnig: basso acustico
Eric McPherson: batteria, percussioni

Luis Perdomo presenta Pathways, idea di jazz per il nuovo millennio. Tradizione e ritmi dal continente americano.

Luis Perdomo nasce nel 1971 a Caracas in Venezuela. Assorbe sin dall’infanzia diverse influenze musicali, grazie al padre collezionista di dischi e al suo primo insegnante, l’austriaco Gerry Weil. Il ragazzo matura l’amore per il jazz, per la sua energia, mostra un sicurotalento. Una visita turistica a New York gli dà modo di entrare alla Manhattan School of Music, studiare con Harold Danko, da cui apprende l’armonia e il modo di suonare “americano”. Prende lezioni anche da Jaki Byard, pianista enciclopedico, e da Martha Pestalozzi, insegnante di piano classico. Il passo successivo di questo musicista sempre in divenire, mai appagato, è un corso avanzato al Queens, dove incontra Sir Roland Hanna, che gli insegna la disciplina, le radici del piano jazz, l’importanza dello studio della musica classica nel percorso formativo. Impara da Hanna, soprattutto, l’uso del pedale, la possibilità di ottenere da questo elemento del pianoforte, tante sfumature. Il pianoforte visto come 88 diversi strumenti. L’incontro con Miguel Zenon e Ravi Coltrane gli darà modo di registrare i primi dischi significativi. Un musicista eclettico, di grande sensibilità. Hans Glawischnig, talentuoso strumentista austriaco è l’elemento che porta l’ascoltatore nel mondo evansiano. Ha un suono ricco, profondo, sempre in primo piano. Capace di condurre il gioco, evidenziare la linea melodica, e sostenere contemporaneamente qualsiasi direzione ritmica. Suona con Perdomo dal 1993 e ha partecipato con lui alla registrazione di una ventina di dischi.

“Pathways”, il recente lavoro del trio uscito per l’etichetta Criss Cross, è un disco pieno di vitalità, “americano”, cangiante ad ogni ascolto. Frutto di una lunga amicizia umana e musicale, contiene la storia del jazz, offre la telepatia del trio Jamal-Crosby-Fournier, la sonorità brillante di Kelly-Chambers-Cobb, le sorprese di Oscar Peterson, la mutevolezza di Jarrett-Peacock-DeJohnette. Il romanticismo dei trii di Bill Evans. Un progetto variegato ed essenziale.

Agostino Mela

Venerdì 05.06.2009 – Conservatorio Cantelli ore 21.00
Ingresso € 10
5 giugno
Noego
Jazz Re:Found

Elettronica, jazz, visual e altro ancora: un progetto Noego in anteprima a Novara Jazz per una dj night imperdibile

È nel sobborgo provinciale vercellese, nei primi mesi dell’anno 2002 che Noego prende forma,inevitabile evoluzione del già ricercato ed apprezzato progetto Funkinetic partorito verso la f ine degli anni ’90. Denis (Longhi), Massimiliano (Zanellato) a Andrea (Varini) sono i cuori pulsanti di questo collettivo di artisti multimediali, ormai al top nel panorama dell’intrattenimento musicale ed audiovisivo. Noego si presenta con una formazione di musicisti, videoartisti, dj, strumentisti, vj, graf ici, illustratori, fotograf i e videomaker. Jazz, Funk, Soul, oltre alla più ricercata selezione di ritmi eclettici ed elettronici, utilizzando la sinergia della videografica, sono il marchio di fabbrica della proposta Noego. Amore, ricerca e passione muovono il laboratorio Noego di cui è responsabile Denis, dj produttore e instancabile progettista del futuro della factory, elemento propulsore della tante e varie attività in cui è impegnata la crew vercellese. Dal 2007, con Casanoego, il collettivo ha istituito un’Associazione Culturale già all’attivo con numerosi concerti ed eventi riguardanti le più importanti realtà del panorama contemporaneo. Mentre Casanoego si appresta a produrre la seconda edizione di Jazz Re:Found Festival Musicale Internazionale nella città di Vercelli, Noego si prepara ad onorare il Festival di Novara Jazz con una performance attraverso la quale verranno illustrati gli artisti dell’edizione Jazz Re:Found 09.

Venerdì 05.06.2009 – Blues Cafè da mezzanotte
dj set gratuito

6 giugno
The Tempest Trio
D’Agaro, Bennink, Marini

Daniele D’Agaro: sax e clarinetto
Bruno Marini: organo Hammond
Han Bennink: batteria

Il trio vincitore del Top Jazz 2008: finalmente dal vivo
gli incredibili Bruno Marini, Han Bennink e Daniele D’Agaro

Quando, nella seconda metà degli anni ‘90, Daniele D’Agaro è tornato a vivere e suonare nella sua terra d’origine, il Friuli, si è avuta la sensazione che il jazz italiano avesse ritrovato un fantastico sassofonista e clarinettista. L’Olanda – dove D’Agaro ha passato molti anni – ma anche Berlino o Chicago, diventano così dei luoghi non solo f isici, ma anche “ideali” per riannodare i f ili colorati che possono unire Don Byas e Sun Ra, Ben Webster e l’Instant Composers Pool, la Globe Unity e Ellington. “Al cuore, Ramon, al cuore!” era la sfida di un giovane Clint Eastwood a Gian Maria Volontà in Per un pugno di dollari e “al cuore” mira anche la musica del Tempest Trio che Daniele D’Agaro ha formato con l’organista hammond Bruno Marini e con la batteria inconfondibile di Han Bennink, suo sodale fin dall’inizio dell’avventura “olandese”. Come spesso accade nella musica di D’Agaro, l’improvvisazione più libera convive con naturalezza insieme alla tradizione meno scontata (bopper ingiustamente dimenticati come Lucky Thompson o Dodo Marmarosa, ma anche il travolgente r&b di Louis Jordan) e il senso del jazz emerge in tutta la sua più contagiosa ricchezza di storie e di significati.

È un narrare, quello del trio, che lega a sé la necessità del fare scaturire musica da qualsiasi “cosa” – il drumming di Han Bennink ne è la prova vivente – dalla terra e dal vento, non lasciando mai che il corpo e la mente vengano divisi nell’istante in cui tutto intorno si incomincia a danzare! Ecco perché Daniele D’Agaro – che gli ultimi referendum Top Jazz del mensile Musica Jazz hanno incoronato senza esitazione tra i migliori strumentisti – è davvero l’artista giusto al momento giusto: impossibile resistere.

Enrico Bettinello

Sabato 06.06.2009 – Piazza Duomo ore 21.00
Concerto gratuito

Han Bennink,
energia

Tra due dita una piuma bianca e nera, nell’altra mano una bandierina colorata, non una girandola né un palloncino, non si ricordano di questo solido quanto eccentrico, bambino che immagini nette, quadri e suoni di lucida precisione. Via inutili bamboleggiamenti, ripetizioni da un ripertorio, autocitazioni. Tra i mille oggetti usati nel gioco, nulla rimane puramente esibito. Nella sempre cangiante installazione visivo-sonora di questo artista a tutto campo alcunché rimane inespresso, tutto arriva a destinazione, anche il più piccolo dettaglio. Vengano a vedere la vera essenza of the drumming, il gesto fluido e amabile, il flusso imprevedibile, gli scarti, del performer nato, i colpi implacabili, precisi assai, del cacciatore di suoni, il colore acceso e felice del volto, vengano a cogliere la sorpresa continua, lo srotolarsi multicolore dell’instant composing, il rigore della tradizione, lo sberleffo della trasgressione…è tutto? No, niente. Everything/anything, eterno motto, un tempo specchio dell’impossibilità di formulare un catalogo completo di oggetti-strumenti agiti da questo personaggio per decenni con grande dispendio di energie, oggi suggerisce un concetto che non prevede tassonomie ed elenchi. Han Bennink è tra i padri fondatori del free improvising europeo, è divenuto un modello imprescindibile per tutti I percussionisti, di quà e di là dell’ Atlantico. Un solo di Han Bennink è ogni volta occasione di meditazione, in pubblico, sul senso di far musica e sul come esprimersi in una economia di mezzi che spesso si riassume in un rullante e in un paio di spazzole o bacchette. Ricordate Max Roach? Salvo che poi, guardandosi in giro, ci sono anche la seggiola su cui il nostro siede, il pavimento, I muri intorno e tanto altro sul palcoscenico, l’aria…il proprio corpo…è tutto? No, niente.

Roberto Masotti

6 giugno
Hypnotic Brass
Ensemble

Gabriel Hubert: tromba
Saiph Graves: trombone
Tycho Cohran: sousaphone
Amal Baji Hubert: tromba
Jafar Baji Graves: tromba
Seba Graves: trombone
Tarik Graves: tromba
Gabriel Wallace: batteria
Uttama Hubert: baritono

Otto fratelli, la più entusiasmante brass band del mondo.
Per la prima volta in Italia, il suond più ipnotico del momento

A Chicago, uno dei crocevia della cultura afroamericana, la musica ha radici profonde. Ma la storia del jazz, dagli anni Trenta in poi, è sempre stata newyorkcentrica, e molti dei personaggi che hanno lasciato un segno indelebile sulla musica della Windy City sono stati rimossi – se mai sono apparsi – dalle pagine dei libri e delle pubblicazioni specializzate. Un caso limite è per l’appunto l’ottantaduenne Kelan Phil Cohran, singolare f igura di intellettuale a tutto tondo, la cui influenza sulla scena della black music di Chicago è ancora tutta da scrivere. E solo la ristampa su cd, qualche anno fa, delle prime, strabilianti opere di Sun Ra ha portato all’attenzione di un pubblico più vasto l’esistenza di questo multiforme personaggio: trombettista, compositore, educatore, astronomo, storico, matematico, membro fondatore dell’AACM e in possesso di una discendenza quanto mai folta. Già, perché nella sua lunga vita Phil Cohran ha contribuito ha mettere al mondo ben 22 figli, sette dei quali sono oggi riuniti nell’Hypnotic Brass Ensemble, un gruppo di f iati più un batterista che prosegue la sempiterna tradizione afroamericana delle brass bands, rinnovata negli anni Ottanta dal successo di formazioni quali la Dirty Dozen Brass Band e, soprattutto, la Brass Fantasy dell’unico e solo Lester Bowie. I membri dell’Hypnotic Brass Ensemble amano mischiare le carte, sporcarsi le mani con i generi di musica più disparati, appoggiandosi a una lunga gavetta e rivendicando con orgoglio di suonare «anche» del jazz.

Nell’attesa dell’uscita di Alyo, il primo disco dell’Hypnotic Brass Ensemble, prevista a breve per l’etichetta Honest Jon del cantante dei Blur, Damon Albarn, ci sono soltanto due modi per ascoltare la musica del gruppo. Il primo è acquistare i loro brani su iTunes, suddivisi in quattro raccolte autoprodotte. Il secondo, e senz’altro più eff icace, è goderseli dal vivo, proprio come capiterà in questa occasione.
Già che ci siamo, eccovi anche la set list: Sankoffa, War, Balicky Bon, Venus, Party Started, Flipside, Jupiter, Mars, Marcus Garvey, Frankincense.

Luca Conti

Sabato 06.06.2009 – Piazza Duomo ore 21.00
Concerto gratuito
Necessità dell’impossibile
Umile devoto omaggio a Sun Ra

Sono cresciuto cercando i musicisti più misteriosi, fuori schema, freaked out. I rinnegati, i rejetti, gli spaiati – quelli che nessuno voleva. Sun Ra era perfetto. Suonava una musica strana che disturbava non solo i bianchi dei pomeriggi della classica ma anche i neri che adoravano il jazz, si proclamava allievo del Duca e di Fletcher Henderson ma gli piaceva volare sulle ali del free e dell’avanguardia – et et, anziché aut aut. Suonava inaudite macchine di suono con nomi conturbanti come rocksichord, intergalactic space organ, chinese solar gong. Aveva una discografia misteriosa come le sue origini, che lui giurava essere extraterrestri; sul pianeta era di passaggio, il suo compito era salvarlo con la musica (“missione impossibile”). La prima volta che brancicai non so come un suo LP, il volume 2 di Heliocentrics Worlds, in copertina trovai una vecchia mappa del sistema solare in tedesco decorata con una galleria di astronomi illustri: Leonardo, Copernico, Pitagora, Galileo, Tycho Brahe e naturalmente lui, Sun Ra. Semplicemente meraviglioso. Pochi lo conoscevano, quasi tutti lo disprezzavano, e questo aggiungeva benzina al fuoco della mia immaginazione. Buffone, pagliaccio, cialtrone, gli dicevano e scrivevano; per come scrutava le viscere della storia jazz senza allontanare lo sguardo dal futuro, per come suonava il tema di Via col vento e un minuto dopo era su una nuvola noise, accasciato sulla tastiera con il suo culone da vecchio sedentario per farla suonare più forte. Buffone, pagliaccio, cialtrone. Per quei gesti circensi e per gli abiti sacerdotali che portava e faceva indossare agli Arkestrali. Per i sacri oggetti pagani che portava in scena e in processione. Per le canzonette che ogni tanto intonava sul palco, intuendo una Tin Pan Alley anche su Plutonia. “We travel the spaceways/ from planet to planet”. Meglio di Sanremo. Un disco jazz per l’estate. È morto in miseria e con un centesimo degli onori che oggi riceverebbe, e se sapesse che il mondo della musica è poi andato incontro alla sua visione, se sapesse che oggi il suo è un culto venerato anche nei circoli jazz più esclusivi e che i dischi che doveva stamparsi da solo per campare passano di mano a centinaia di euro, gli verrebbe un travaso di bile. Odio i collezionisti. Odio i puristi detrattori per partito preso. Amo Sun Ra, oggi come allora, e voglio immaginarlo in un’altra dimensione o su un altro pianeta a insegnare musica a una razza (spero per lui) meno ottusa di quella umana. Forte del suo insegnamento, che ho fatto mio: “Mi attrae l’impossibile, perchè tutto ciò che è possibile è stato fatto e il mondo non è cambiato.”

Riccardo Bertoncelli

6 giugno
Soulful Torino
Michael Robinson aka Pomonkey

Dancing Soulful Party sbarca a Novara: si balla con i dj torinesi
e i loro ospiti internazionali. Serata a tutto soul!

Li riconoscerete, statene certi. Tre allegri scimpanzè carichi di dischi soul non passeranno inosservati. In testa ci sarà Pomonkey: folta criniera bionda, stazza monumentale. Dietro di lui i Soulful, pelo raso, postura ricurva. Pomonkey, sangue inglese e alta resistenza alla birra, ha un fiuto eccezionale per i migliori ristoranti di New York e, quando non suona a Dig Deeper, dove oltre ai suoi dischi presenta live i più grandi 60’s R&B performers (Garland Green, Young Jessie, Mighty Hannibal…), setaccia gli States in cerca di nuovi sounds. La nostrana coppia Soulful è invece cresciuta nell’area dei Murazzi del Po, migrando di club in club della movida torinese. D’inverno si riscalda allo Spazio 211, di fronte al pubblico bollente del Soulful Gran Varietà, uno zoo di talenti che riunisce musicisti, ballerine e comici in un’atmosfera da avanspettacolo; con il primo caldo si prepara a svernare all’Imbarco Persino, con il Dancing Soulful Friday. Habitat diversi, specie differenti. A unire i loro patrimoni genetici è infatti la stessa tara: una passione ossessiva per la caccia al vinile d’annata, meglio se raro. Pomonkey, al secolo Micheal Robinson, colleziona dischi da più di 30 anni. Forte di innumerevoli 45 discovers, nella sua valigia raccoglie i singoli soul più rari del mondo e il suo set è veloce e potente. Luis e Jimmy Soulful si sono invece affacciati alla scena nel 2003, ma la loro vorace fame di digging li ha trascinati in giro per il mondo a servire succose chicche di rare groove. Il germe divorante di questa vinyl addiction? Altro non è che la musica stessa, il cuore palpitante e sudato del meglio del soul. Chiamatelo funk, chiamatelo R&B, latin, jazz. Ray Charles lo chiamava electricity. “We don’t really know what it is, but it’s a force that can light up a room”.

Sabato 06.06.2009 – Blues Cafè da mezzanotte
dj set gratuito

eventi collaterali

Novara Jazz e Trattoria San Marco
Jam Session tutte le sere nel cuore storico della città:
jazzisti di tutto il mondo unitevi e improvvisate!

Tutte le sere, presso la Trattoria San Marco, il pubblico del festival potrà ritrovarsi a
suonare, ricordando la tradizione del grande jazz americano e le improvvisazioni nei
locali newyorchesi degli anni quaranta, nella più classica forma di scambio e libera
creatività musicale che il linguaggio del jazz conosca. Ognuno potrà portare i propri
strumenti ed entrare nel mood di Novara Jazz.

Trattoria San Marco, via Negroni 3 Novara – tutte le sere dalle ore 22.00 alle ore 02.00
www.trattoriasanmarco.net

28-29 maggio: B.A.S.T.ET & FRIENDS
Enrico Griso e Luca Vallicelli: sax alto
Piergiorgio Elia: sax tenore
Marco Visconti-Prasca: sax baritono
Francesco Meles: batteria
Alessandra Cecala: contrabbasso
30 maggio
Andrea Trecate: chitarra
Marcello Testa: contrabbasso
Fabio Ticozzelli: batteria
2 giugno: FFATSO
4 giugno
Andrea Trecate: chitarra
Marcello Testa: contrabbasso
Fabio Ticozzelli: batteria
5 giugno
Wally & Dedalo band
6 giugno
Andrea Zanforlin
Nicola Tentorio
Spnja Bellomi
Daniele Gardino
Davide Buratti
Stefano Ferrian: sax tenore
Domink Gawara: basso fretless acustico
Stefano Colli: batteria

Workshop

Come ogni anno Novara Jazz Festival riserva una parte del suo programma ai musicisti, proponendo una serie di workshop, dedicati a musicisti e appassionati per approfondire specifici aspetti della pratica jazzistica. Organizzati dalla Scuola di Musica Dedalo e coordinati da Nicola Stranieri, i due appuntamenti in programma saranno un laboratorio con il Quartetto Allifranchini-Erra-Testa-Stranieri, in programma sabato 30 Maggio e aperto a tutti gli strumentisti e cantanti, e un workshop pianistico condotto da Paolo Alderighi. In questa occasione, in programma martedì 2 Giugno, si affronterà il tema del piano solo nel jazz tradizionale e nello swing: I pianisti partecipanti saranno invitati a portare un brano a piacere di Fats Waller, Duke Ellington, George Gershwin o uno standard di altro autore da eseguire in piano solo.

Per info e iscrizioni:
info@dedalocoop.it
segreteria@dedalocoop.it
www.dedalocoop.it

I partecipanti effettivi ai workshop Dedalo avranno in omaggio l’abbonamento al
festival (5 concerti all’auditorium più serata cinema jazz all’Araldo)
Novara Jazz e Scuola di Musica Dedalo

Workshop quartetto Allifranchini-Erra-Testa-Stranieri
Workshop Paolo Alderighi

Scuola di Musica Dedalo, via Monte San Gabriele 62 Novara

Jazz in the Country
Chicago Stompers Acoustic Brass Band
Sabato 06.06.2009 – La Tinaia Varallo Pombia ore 14.00

Categorie Cultura

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