Libro bianco: “cornice di valori e visioni”
Il Governo, forte di una maggioranza e di un consenso deve affrontare riforme necessarie
Sarà pure solo una “cornice di valori e visioni”, come l’ha definita con comprensibile prudenza lo stesso autore, il ministro Sacconi, ma il Libro Bianco sul nostro welfare presentato ieri a Palazzo Chigi ha il merito di squarciare il velo sul cambio di paradigma che deve necessariamente coinvolgere tre settori fondamentali del sistema socio-economico come il lavoro, la sanità e le pensioni.
E, dunque, di porre le premesse per una seria revisione della spesa sociale – oggi troppo sbilanciata sul fronte previdenziale (oltre il 60%) e troppo poco sull’assistenza (solo l’8%) – e per un ammodernamento del vecchio Statuto dei lavoratori, a favore di uno “Statuto dei lavori” che sappia interpretare un stato sociale molto più volto alle opportunità che ai diritti. E che nel Libro Bianco di Sacconi ci siano tutte le premesse – sacrosante – di una “grande riforma” ch nel solco della Biagi completi il lavoro di trasformazione del “welfare all’italiana” ormai obsoleto, è dimostrato dalle reazioni, come al solito intrise di prevenzione ideologica, che sono venute dalla sinistra politica e sindacale.
Ma andiamo con ordine. Sul fronte del mercato del lavoro, le aperture di Sacconi verso un necessario ammodernamento dello Statuto dei lavoratori, tengono conto dei cambiamenti intercorsi alla luce della crisi, e ci riportano a esperienze che altrove sono state fatte proprie prima ancora dal mondo sindacale che non da quello della produzione. Penso, in particolare, agli Stati Uniti, dove i sindacati dell’auto hanno gettato alle spalle un’epoca di rivendicazioni “sicure” per accettare riduzioni dei salari a fronte di orari più lunghi pur di salvare il lavoro e l’azienda, assumendosi pure l’inedita responsabilità di essere azionisti di maggioranza della “nuova Chrysler” e impegnandosi a garantire la pace sindacale per un lungo periodo.
In Italia non si pretende tanto pragmatismo, ma almeno sperare che siano accolte senza pregiudizi le proposte che proprio dal Libro Bianco provengono: dalla necessità di introdurre gabbie salariali contro il “dumping” sociale esistente tra le diverse latitudini del Paese, al rafforzamento della contrattazione di secondo livello, ad una revisione critica e “dialogante” delle tutele che superi anche l’annoso (e inutile) dibattito intorno all’articolo 18.
Sulla sanità, poi, Sacconi fa benissimo a denunciare il collasso dell’attuale sistema, che da un lato costituisce uno straordinario terreno di coltura della criminalità mafiosa e dall’altro rappresenta una vera e propria bomba a orologeria per i conti pubblici, tanto che se non verrà seriamente ed adeguatamente riformato rischia di far raddoppiare la spesa sanitaria di qui al 2050.
E la decisione di andare a colpire chirurgicamente i centri di spreco, tramite nuovi commissariamenti previsti di qui all’estate, è la logica e opportuna conseguenza di questa premessa. Ma se le misure drastiche non fossero sufficienti, Sacconi farebbe bene a proporre – e non ci dovrebbe essere Lega che tenga – un ritorno alla centralizzazione delle competenze sanitarie, magari attraverso una riedizione riveduta e corretta del sistema mutualistico.
Infine, le pensioni: vera spada di Damocle dei conti pubblici dell’intera Europa, visto che è di soli due giorni fa l’appello arrivato dall’Ecofin di evitare prepensionamenti ed innalzare quanto più possibile l’età pensionabile effettiva per evitare il collasso. Allarme che il Libro Bianco recepisce interamente, pur rimandando al “dopo crisi” ogni possibile intervento. Ed è proprio qui, sui tempi d’intervento che occorre incentrare il dibattito politico: a fronte di questa “cornice” valoriale che tocca tre nervi scoperti del declino italiano, quando e come seguirà il “quadro” d’azione? Quadro che, soprattutto su sanità e pensioni, avrebbe “tinte” obbligate: fine dell’esperienza regionalistica dei maxi deficit nella sanità, completamento della legge Dini con il definitivo passaggio al sistema contributivo e una forchetta di età di fine lavoro tra i 62 e i 69 anni, per quanto concerne la previdenza. Il Governo, forte di una maggioranza e di un consenso senza precedenti, e caratterizzato da un pragmatismo che presumibilmente è la cifra principale del gradimento che riscuote, dovrebbe dunque mettere a frutto tanta popolarità per affrontare riforme necessarie ancorché dolorose.
La scommessa del Governo sulle riforme strutturali è che si generi tanto meno conflittualità sociale quanto più la crisi sarà alle spalle. Speriamo la vinca, anche se il dubbio che possa essere il contrario è forte. Per adesso, comunque, è già molto che il Libro Bianco costituisca un’ottima base di partenza. (Terza Repubblica)