L’eccessivo garantismo giudiziario esercitato sugli uomini della cosca Mancuso di Limbadi

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA

AI Ministri della Giustizia e dell’Interno – Per sapere – Premesso che:

– l’interrogante, fin dal 2003, ha inteso denunziare, anche attraverso numerosi atti ispettivi, l’eccessivo garantismo giudiziario esercitato sugli uomini della cosca Mancuso di Limbadi (V.V.);

– vari cavilli giudiziari e riferimenti a leggi, ad avviso dell’interrogante, troppo garantiste per i boss mafiosi, hanno di fatto protetto dalle “insidie” giudiziarie gli appartenenti ad una delle più potenti cosche della ‘ndrangheta calabrese;

– all’interrogante appare davvero urgente dover far attenzionare le procedure giudiziarie che hanno sempre concesso benefici a Pantaleone Mancuso, uno dei capi dell’omonima storica e potente famiglia della ‘ndrangheta;

– nel giugno del 2003 gli sono stati dissequestrati dei beni per un “sospettoso cavillo”;

– nell’ottobre del 2005, nel mentre il Pantaleone Mancuso era sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Tolmezzo, grazie ad alcune perizie mediche, è stato ricoverato presso il reparto di Cardiologia dell’Ospedale civile di Vibo Valentia, con l’aggiunta di un autorizzazione a recarsi presso uno studio odontoiatrico privato, della stessa Città, per eseguire l’intervento ritenuto indispensabile dal perito d’Ufficio; il tutto nel mentre proprio a Vibo era in atto un processo giudiziario che vedeva il boss tra gli imputati più importanti e pericolosi;

– nel febbraio del 2006 stavano per essere restituiti, sempre per “sospettosi” cavilli, i beni confiscati ai componenti delle famiglie Mancuso di Limbadi, per un valore di circa sette milioni di euro;

– nel giugno del 2008, sempre il Pantaleone Mancuso, condannato a 7 anni e sei mesi di reclusione a seguito del c.d. “patteggiamento in appello”, nell’ambito del processo “Dinasty”, svoltosi presso la Corte d’Appello di Catanzaro, è stato mandato agli arresti domiciliari, nonostante fosse già stato varato il D.L. 23 maggio 2008, n. 92 che ha abrogato le disposizioni del codice di procedura penale che consentivano per gli accusati di mafia il ricorso appunto al c.d.”patteggiamento in appello”;

– nel marzo del 2009, sempre la Corte d’Appello di Catanzaro ha decretato la scarcerazione , per decorrenza dei termini, di Pantaleone Mancuso, capo indiscusso di una delle tre articolazioni in cui risulta attualmente diviso il clan; il Mancuso era stato condannato il 10 febbraio 2009 a 12 anni per estorsione nei confronti di un imprenditore;

– sempre Pantaleone Mancuso, è fra gli imputati, tutti a piede libero, del maxi processo per mafia “Genesi”in corso a Vibo Valentia;

– nei giorni scorsi il Pantaleone Mancuso aveva persino ottenuto, sempre dalla Corte d’Appello di Catanzaro, un permesso speciale, fortunatamente revocato per intervento del Ministro dell’Interno e della DNA, per presenziare alle nozze della figlia;

– la Corte d’Appello di Catanzaro non può disconoscere “usi e costumi” adottati dalla ‘ndrangheta durante i matrimoni dei propri congiunti e, pertanto, l’interrogante trova davvero inconcepibile il permesso accordato al boss;

– considerata la posizione “apicale” di Pantalone Mancuso all’interno dell’omonima cosca, considerate, altresì, le varie vicissitudini giudiziarie, solo in parte sopra elencate dall’interrogante, si ritiene indispensabile un’attenta valutazione delle stesse:

– se non ritengano necessario ed urgente, per le parti di competenza, avviare adeguate indagini per verificare la legittimità delle sentenze assunte dalla Corte d’Appello di Catanzaro nei confronti di Pantaleone Mancuso;

– se non ritengano, altresì, nell’ambito delle rivisitazioni normative, prevedere la custodia cautelare in carcere per gli uomini della criminalità organizzata, fin dalle sentenze di primo grado.

On. Angela NAPOLI

Roma, 23 aprile 2009

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