Dov’è finito Voltaire?

di Renzo Balmelli

CENSURA. Voltaire non abita qui. Ci insegno’ che la libertà di opinione va protetta anche a costo della vita. Purtroppo da qualche parte c’è sempre la lunga mano di un editto bulgaro pronta a chiudere gli spazi, a soffocare chi non si adegua al “mainstrem”, all’informazione alla “carte” destinata ad appagare gli appetiti dei potenti. L'ultimo esempio obbliga a riflettere. Il povero Candido, ingenuo com'era, se fosse qui, sarebbe inorridito tanto appare fuori luogo, assurda, l’ingiunzione inflitta a Santoro e Vauro per il servizio sul terremoto.
Assurda, non perché non si possa criticare il taglio della trasmissione. Ci mancherebbe. No, assurda perché aggiunge un altro tassello alla visione del pensiero unico che trova rispondenza in un auspicio non tanto sibillino del premier: Alla Rai voglio facce nuove…
Il giornalismo degno di questo nome pero' non sa che farsene delle inchieste accomodanti, dello stile vellutato piu' sciapo di una minestrina senza sale. Certo, a taluni non piacerà l'impostazione di Annozero, altri troveranno lo stile della testata di pessimo gusto, ma il panorama mediatico che ogni giorno si batte per la sua indipendenza, sarebbe molto piu' povero senza questo contributo essenziale per la completezza e il pluralismo dell'offerta.
Come dicevamo, sulle scelte redazionali è lecito dissentire. Imporre diktat no. Tra l’offensiva censoria scatenata dalla destra e il diritto di critica c’è un abisso. Il tentativo di usare un programma sgradito come alibi per imbavagliare i pareri dissonanti è una mossa lugubre che riecheggia le sbandate di regime. E’ la spia di un malessere interno alla maggioranza che sfocia in provvedimenti ridicoli, di stampo quasi sovietico. A voce tutti ammettono che la satira ovviamente puo’ essere anche abrasiva. Guai pero’ se scuote le cattedrali del potere. Guai, per dirla con Sabina Guzzanti, se una vignetta diventa “turbativa della commozione”.
Sentimento nobilissimo, la commozione. Ma che in prospettiva appare forse un po’ meno nobile se serve a fare palcoscenico sulle macerie, se torna utile per imbastire una plateale “via dolorosa” ministeriale grondante retorica da ogni parte. La stampa libera – diceva Camus – puo’ essere buona o cattiva, ma è certissimo che senza libertà non potrà essere altro che cattiva. Nel fervore delle crociate punitive e “riparatrici” si tende a dimenticare che zittire chi canta fuori dal coro è una prova di debolezza, una forma di inquisizione che porta con se squallore e minacce.

DISAGIO – “A Mosca, a Mosca”, esortava Tolstoi. Ci sia libertà della stampa e domani la capitale sarà una repubblica. Il domani é arrivato, ma del quadro é cambiata solo la cornice. Dopo la sbornia di zarismo, comunismo, post-comunismo e neo -zarismo il risultato piu' vistoso e preoccupante é che nella Russia di Putin, portatore di speranze disattese, sono rimaste poche voci critiche. Uno dei rari baluardi del dissenso é “ Novaya Gazeta”, periodico specializzato nelle inchieste sulle magagne del regime. Ma a che prezzo. Tra le sue firme piu’ autorevoli c’era Anna Politkovskaja , la coraggiosa giornalista che ha pagato con la vita il suo impegno professionale al servizio della verità. Ora a “ Novaya Gazeta” é arrivato un riconoscimento insperato grazie all’intervista con Dmitri Medvedev . Il primo cittadino della Federazione ha colto tutti di sorpresa recandosi nella tana del lupo per dire al paese come la pensa. Ovviamente nel suo intervento il presidente si é guardato bene dal rompere la cristalleria.. “Ho scelto voi – ha detto il capo di stato russo ai giornalisti della Gazeta – perché siete gli unici a non fare i leccapiedi”. Quanto basta perché agli oligarchi che difendono i loro previlegi a denti stretti il caviale sia andato di traverso . L’immagine di Medvedev, cresciuto all’ombra di Putin, considerato il vero manovratore degli affari moscoviti, non brilla di luce propria. La sua mossa é stata pero’ troppo audace per essere derubricata a semplice operazione cosmetica nel tentativo di recuperare prestigio agli occhi della popolazione e sul piano internazionale. Anche la data della pubblicazione sembra essere il frutto di una strategia studiata a tavolino per rendere palese il tentativo di smarcamento dal predecessore. L’intervista é uscita infatti in concomitanza con la fine della “lotta antiterrorismo” in Cecenia. Sappiamo tutti che cosa significa: é stato uno spaventoso macello abilmente filtrato dalla censura, un elenco interminabile di pesanti violazioni che non pone la Russia tra le nazioni all’avanguardia nella tutela dei diritti umani. Alla luce di questi episodi , la lezione del presidente non fa una piega. Solo la certezza di avere una buona stampa, scevra da condizionamenti, consente di progredire nella democrazia. Speriamo che la stoccata di Medvedev riesca ad aprire uno squarcio nella granitica politica del Cremlino. Speriamo…

IDONEITA’ – Come volevasi dimostrare. A un anno dalle ultime elezioni il tallone d’Achille della maggioranza é dato dalla rivalità tra la Lega e il Pdl. Ai tempi dell’ultimo Prodi bastava il raffreddore di un senatore a vita per paralizzare la vita politica e la destra ne approfitto’ senza pudore. Ora, sono i Lumbard a tenere sotto scacco l’esecutivo . La posta in palio, come si sa, é l’egemonia sul Nord quale ago della bilancia delle prossime battaglie. Le concessioni fatte a Bossi sul referendum elettorale non lasciano dubbi a questo proposito e indicano con assoluta chiarezza chi é che tiene in mano il pallino. In chi osserva da fuori prevale la sensazione che lo sisma in Abruzzo e l’election day stiano ridisegnando , in un clima permeato di nervosismo , i rapporti di forza nella coalizione domiciliata a Palazzo Chigi. Tra l'altro, Berlusconi non ha nemmeno provato ad addolcire la pillola, ammettendo candidamente che se non avesse accolto le richieste del Senatur il suo esecutivo sarebbe caduto. E cio’ non era possibile, per “ il bene del paese”. Ma questo lo dice lui. Congetture a parte – annota Giovanni Sartori nel suo libro di prossima pubblicazione da Laterza- il Cavaliere si é dato a “ costruire” un sultanato con cui mantenere il contollo sul partito di sua proprietà, in un groviglio di abusi e conflitti di interesse. In quest’ottica l’ opposizione continua giustamente a considerare Berlusconi una intollerabile anomalia, un leader, come scrisse l’Economist, “ unfit to govern”, non adatto al governo del paese. Come si vede, nell’imminenza dell’appuntamento elettorale di giugno, appuntamento che la maggioranza vuole trasformare in “ marcia trionfale”, vi sono seri motivi di inquietudine sull’idoneità di questa compagine a restare in carica altri quattro anni.

EQUAZIONE – Oscillano su due piani distinti le opzioni di Obama: su quello internazionale si muove da riconosciuto protagonista a tutto campo; su quello interno, come spesso capita, avanza tra luci e ombre. Partiamo dal primo. Da un capo all’altro del pianeta continua a crescere il numero dei leader conquistati dal contagioso multilateralismo dellla Casa Bianca. Obama appare sempre piu’ determinato a ridisegnare la mappa dell’ordine mondiale anche a costo di inviperire la vecchia guardia conservatrice. La mano tesa a Cuba e al Venezuela di Chavez, nemico giurato degli Stati Uniti, segnalano la disponibilità a lasciarsi alle spalle le ruggini del passato. Anni e anni di embargo e di incomprensioni hanno reso difficili e tesi i rapporti tra Washington e l’America latina, con pesanti conseguenze per tutti. Molte iniziative che avrebbero potuto contribuire a un migliore sviluppo politico, economico e sociale della regione sono rimasti nel cassetto. E’ quindi ora e tempo di cambiare registro, di liquidare le ultime scorie della guerra ideologica e di ripartire da capo. Sul piano interno il discorso si fa invece piu’ostico e delicato. Tra le eredità che Obama si é trovato a dovere amministrare, figurano le scomode verità legate agli anni piu’ duri della lotta al terrorismo. Il documento che illumina il lato oscuro di questa guerra é una spia di come un paese di forti radicamenti democratici possa abbassare il suo livello morale. Percio’ bene ha fatto il presidente a svelare i segreti della Cia sulle tecniche brutali e le torture con cui venivano interrogati i terroristi islamici. Si é trattato di un taglio netto con i comportamenti illegali della precedente amministrazione repubblicana che Bush ed i suoi giuristi avevano reso legali con sordide manovre di corridoio, Al tempo stesso pero’ Obama, forse per risparmiare al paese il trauma di un processo alle istituzioni, si é spinto oltre le proprie competenze, erigendosi di fatto a giudice della nazione. E in questo ruolo ha deciso di assolvere gli aguzzini spiegando che gli “OO7” hanno fatto il loro dovere. Che sarebbe poi questo: operazioni clandestine, violazione dei diritti, rapimenti, prigioni segrete. I loro crimini resteranno impuniti e cio che é peggio grazie all l’immunità si lascia aperto il varco ad altre derive. Come si poteva facilmente immaginare, i liberal che rappresentano la punta di diamante della nuova elite democratica, sono rimasti letteralmente allibiti dalla decisione. La sola idea che si possa associare l’immagine degli Stati Uniti a quella di un paese che tortura in nome della ragion di stato, é fonte di grave turbamento per gli spiriti piu’ illuminati. Obama sicuramente era in buona fede quando ha provato a conciliare l’esigenza di fare luce su una pagina buia con l’imperativo della sicurezza nazionale. Ma la doppia responsabilità, che ha reso coraggiosa e insiodiosa la sua scelta, ha acceso un dibattito di carattere etico che non é destinato a esaurirsi tanto presto.

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