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Osservatorio: Milano – Le Istituzioni, l’Arte contemporanea: intervista a Massimiliano Finazzer Flory

di Barbara Martusciello

Proseguiamo il nostro Osservatorio approfondendo operato, programmi e metodologie dei maggiori referenti istituzionali nel campo della cultura, domandando qual è la loro posizione nei confronti del Sistema dell’Arte contemporanea e, più in generale, quale è il loro concetto di Arte oggi. Intervistiamo qui l’Assessore alla Cultura di Milano Massimiliano Finazzer Flory.

Barbara Martusciello) Assessore, Milano è la grande capitale italiana dell’arte contemporanea, se non altro per il lavoro delle sue gallerie private, per la sua consuetudine a misurarsi con il Mercato e il business e per lo strategico collegamento con il Sistema internazionale dell’Arte. La città sente e vive questo primato?
Massimiliano Finazzer Flory) Paradossalmente lo vive senza sentirlo. Milano non ha l’auto-percezione di essere così con-temporanea perché la sua architettura non lo è. Il problema è allora di coniugare il moderno con il con-temporaneo secondo una logica virtuosa e non prevedibile. Il problema, naturalmente, è che il mercato si misura sulla trasparenza e la competizione, mentre il business sui propri interessi personali…

B. M.) Come intendete agire o proseguire perché ciò sia ribadito e rilanciato, anche considerando la crisi, che inevitabilmente imporrà seri contraccolpi alla cultura e al budget per essa riservato?
M. F. F.) Con una strategia in grado di fare sistema, senza ipocrisia, ma anche con pragmatismo di cui non possiamo fare a meno per fare agenda, per fissare i temi, per iscrivere in essi visionarietà, etica dell’ascolto e soprattutto quella cultura del fare in grado di sostenersi con una propria teoria, con un pensiero forte.

B. M.) Lei ha impostato una Commissione per la Liberazione della Cultura; le diamo atto di aver cercato un confronto e una fattiva interazione tra soggetti interessati: era necessaria un’ennesima Commissione per fare ciò che un’istituzione dovrebbe fare per incarico e mandato?
M. F. F.) Bella domanda: il titolo della Commissione, implicitamente, è un messaggio alle istituzioni che hanno procedure di lavoro che spesso negano, impediscono o rallentano i principi a cui le stesse istituzioni si ispirano. Detto questo, guardiamo alla Commissione come a uno strumento finalizzato attraverso il quale far lavorare insieme esperti tra loro diversi che generosamente offrono idee e tempo alla città.

B. M.) Non ritiene pericolosa la relazione che in Italia c’è tra cultura e politica? Non valuta quantomeno imbarazzante la presenza del potere partitico nelle nomine legate ai Beni Culturali?
M. F. F.) Non vi è dubbio. La politica non di rado usa la cultura come alibi per darsi un’immagine dietro la quale non vi è immaginazione. Perché l’invocazione alla cultura spesso è strumentale a fini propagandistici, retorici o più semplicemente economici. Ciò detto, l’intreccio tra cultura e politica potrebbe anche dare vita a un terreno libero, a una zona franca attraverso la quale far passare dialogo e discussione, conoscenza e deliberazione.

B. M.) Che scelte farà il suo Assessorato per promuovere e valorizzare il segno contemporaneo e la ricerca artistica nella sua totalità?
M. F. F.) Collegare il segno al simbolo. Ovvero riunire saperi diversi e divisi in un’unica prospettiva di ricerca, enfatizzando l’approccio interdisciplinare e una cultura libera da pregiudizi storici. Investire sulla formazione e puntare sulle realtà associative sono scelte che dobbiamo adottare per ridurre la cattiva complessità del nostro tempo.

B. M.) Come intendete procedere per dare una giusta risposta alla necessità di maggiore attenzione a quella contemporanea e italiana?
M. F. F.) Con più comunicazione e migliori emozioni. Mettendo in scena la meritocrazia anche in questo campo e accompagnandola verso il contesto internazionale. Perché su questo terreno manca un lavoro di lobby istituzionale in favore della nostra arte. C’è una nostra identità da riscoprire attraverso il gioco di squadra con galleristi e collezionisti.

B. M.) Lei valuta l’arte contemporanea così incomprensibile al pubblico e, quindi, così poco amata e lontana dalla società come qualcuno, anche in ambito istituzionale, è propenso a credere?
M. F. F.) Certo che no. Il problema è che in Italia ci si vergogna dell’ignoranza e ci si offende per categorie. E soprattutto non si ama la cultura quando questa si manifesta nella forma dell’indicibile, dell’interrogativo, dell’inquietudine.

B. M.) Assessore, che cos’è il Contemporaneo? Cosa è Arte contemporanea?
M. F. F.) Essere di fronte al mio tempo e tuttavia, al tempo stesso, attraversarlo. Qui l’arte diventa differenza e radicalità, allegoria ironica dell’orologio biologico che ci portiamo appresso. La risposta dunque potrebbe essere: la vita in sé senza perché.

B. M.) Il Futurismo è giustamente oggetto di una riconsiderazione critica e storica; che giudizio dà delle Celebrazioni che in Italia se ne stanno facendo? M. F. F.) Non ho parole. O meglio le ho ma sono travagliate, sofferte, curvate su un’occasione che stavamo perdendo. Perché non si tratta di fare la storia del Futurismo, ma di capire cosa di esso ancora permane come appello al futuro, come necessità. Mentre le celebrazioni portano con sé il rischio della codifica che insterilisce togliendo, in questo caso proprio al Futurismo, il suo miglior pregio: la relazione tra energia e arte. Tuttavia a Milano mi pare che la strategia adottata sia stata percepita diversamente e i risultati non mancano anche perché io mi sento in grande sintonia con gli amici futuristi.

B. M.) La lezione futurista, impostata sulla contaminazione linguistica, sul sovvertimento di ogni produzione creativa e intellettuale standardizzata, sull’uso intelligente di tecnologia e comunicazione e sulla totale libertà ideologica oggi è, a suo giudizio, patrimonio condiviso da operatori e Istituzioni? Pensa che queste -le Istituzioni- siano in grado di accogliere quei grandi apporti evitando quindi di cadere in un nuovo passatismo e accademismo?
M. F. F.) Mi pare difficile. Vi è una componente libertaria nel Futurismo che ha un passo radicale rispetto a quello delle istituzioni. Non solo ma il Futurismo ha anche in sé i geni della provocazione applicata al progresso. I suoi effetti sono delegittimanti per il conservatorismo autoreferenziale che non di rado caratterizza buona parte della classe dirigente italiana. Devo dire che Milano anche in questo caso mi sembra diversa. Molto migliore di quanto appaia dall’esterno.

B. M.) L’importantissimo progetto del Museo del Novecento, che dovrebbe inaugurare alla fine del 2010, crede riuscirà a colmare la distanza oggi lunghissima tra passato e futuro e a impostare una nuova riconsiderazione delle radici storiche e culturali non come freno alla contemporaneità né fardello che l’innovazione deve portare a sue spese sulle spalle ma, piuttosto, come ricchezza anche morale grazie alla quale costruire un presente all’avanguardia?
M. F. F.) Il museo del Novecento non sarà solo un museo ma il perno di un sistema a rete di strutture tese a promuove Milano come città d’arte e cultura per tutti. Va detto, però, che al termine avanguardia preferisco dare un’altra connotazione. Voglio dire che non vedo correnti di pensiero o movimenti artistici nei pressi del presente, semmai c’è da finire quello che non è stato finito nel passato.

B. M.) Nuovi spazi, pertanto, come anche quello della futura Città delle Culture negli spazi dell’ex-Ansaldo, ma anche rilancio del Pac e tante Fondazioni private: come riuscire a fare Rete che sia realmente utile alla cultura e all’arte a Milano? Come facilitare la collaborazione tra pubblico e privato e ribadire, allo stesso tempo, la “trasparenza” delle sinergie?
M. F. F.) La rete già c’è ed è quella che ho fin dall’inizio congegnato come principio e obiettivo del mio lavoro. Si tratta di far vivere insieme soggetti diversi avendo il coraggio di dire che in questa fase storica la governance dei processi non solo socio-culturali, credo, debba tornare nelle mani del pubblico. In quest’ottica la trasparenza ha un valore se vi è qualcosa da vedere…

B. M.) Come si prepara Milano per l’Expo del 2015?
M. F. F.) Con tre mosse: 1) Con la conoscenza; 2) con coscienza; 3) con le scienze. L’Expo è attraversato da temi che richiedono la comprensione e anche le applicazioni tecnologiche nella vita di tutti per ricreare un clima di fiducia intorno alla scienza e al suo rapporto con l’economia. Da qui discende un mese dedicato alla scienza in giugno, una nuova mia ideazione. Per un mese, convegni, conferenze, mostre, eventi per confrontare e coniugare la tecnica artistica con quella scientifica.

B. M.) La crisi, che è mondiale, muterà e come, a suo avviso, il Sistema dell’Arte internazionale e nazionale?
M. F. F.) Il cambiamento mi pare di natura etica anche se è misurabile economicamente: meno consumi ma bisogni più veri. Così questa crisi produrrà nuovi stimoli e suggestioni per artisti che abbiano voglia di andare oltre i problemi per offrire progetti e visioni alternative nutrite da ottimismo antropologico.

B. M.) Massimiliano Finazzer Flory cosa augura a Massimiliano Finazzer Flory nell’immediato futuro?
M. F. F.) Di tornare a teatro come uomo libero, come attore fedele a una vocazione dove il palcoscenico è davvero l’altare per il misterioso incontro della parola e dell’ascolto.

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