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I volti di una mitizzazione postuma: Framed

di Flavia Montecchi

La casualità dell’esposizione non lascia spazio neppure al margine alto del soffitto; le prime due sale della galleria VM21 sono cosparse di cornici di carta grigio perla, ghirigori minimali e ingigantiti circondano oblunghe vetrine spesse, quasi a voler salvaguardare l’immagine sottostante dal fluire del tempo che cancella, dimentica.

Debora Hirsch e Iaia Filiberti si sono ritrovate di fronte ad una piccola scatola di latta, regalo di famiglia dell’artista milanese ricevuto in dono qualche tempo fa, a discutere artisticamente del suo contenuto: un centinaio di fototessere in bianco e nero, simili alle figurine Panini da collezione, si disperdevano dentro quello scrigno nascosto e casuale, come la loro disposizione in galleria, raffigurando i volti degli attori e delle attrici hollywoodiane a partire dagli anni ’20 fino a raggiungere gli anni ’50.

Scartate le immagini maschili, sono state le donne a trionfare; capelli perfetti e sorriso smagliante con una postura da dive, si accomodano sul sofà di posa, pronte per lo scatto, quello scatto che le immortala attrici del momento e poi le abbandona al loro destino.

Con Framed ognuna di loro è stata rifotografata e studiata, biograficamente estrapolata dal contesto cinematografico a cui apparteneva per essere ricordata in un video di 40 minuti che, ad una ad una le abbraccia tutte, Linda Darnell, Dorothy Dandrige o Sheila Terry, proiettandole in brevi scene tratte da film.

A raccontare della loro carriera stroncata, nella media a trentacinque anni di vita, è un fermo immagine con una didascalia, che specifica nome, cognome e due righe di reportage documentaristico. Chi si toglie la vita, chi tenta il suicidio, chi sparisce dalla scena; eppure ognuna di loro era stata volto di una foto da collezione, un sorriso smagliante in più nel grande Star System Hollywoodiano. E dietro questa mitizzazione sobria e fugace di attrici demitizzate, vi è il lavoro al femminile di due artiste che si incontrano per allontanarsi dalle proprie espressività individuali; il gesto grafico soggettivo di una “Pepita” filibertiana indispettita ed immortale sembra cedere alle tele re-interpretate di “So what” della Hirsch per prendere in prestito da quell’espressività solamente il “già esistito”: ecco che nasce Framed, il “riciclo” dell’icona cinematografica dentro un’istallazione cimiteriale e macabra al tempo stesso, che vuole ricordare quelle donne dimenticate, senza controbilanciarsi troppo in una politica femminista e di potere.

Passato e presente si mescolano tra loro, spiccando tra l’antico sapore di una foto-ritratto in bianco e nero anni’30 e una contemporanea serialità di produzione anni ’60, per confluire il tutto nella fredda testimonianza di un video che nel suo didascalico elenco, nomina quei volti con un drammatico distacco, creando una memoriale ma a sé stante videoistallazione.

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