Che cosa pensa degli incontri politici che Berlusconi, presidente del Consiglio, tiene a casa sua invece che in sedi istituzionali? A me personalmente la cosa dà estremamente fastidio, perché questo mi fa sentire suddito e non cittadino. Non pensa che gli «invitati» perdano un po’ la faccia?
Paolo Preci, Milano
Caro Preci,
Esiste una regola valida al tempo stesso per lo sport, gli affari e la diplomazia. Chi gioca in casa parte generalmente con un punto di vantaggio. È questa la ragione per cui Barack Obama, durante il G20 di Londra, ha ottenuto che il suo incontro con il presidente russo Dmitrij Medvedev avesse luogo all’Ambasciata degli Stati Uniti piuttosto che all’ambasciata di Russia. È questa la ragione per cui la Svizzera è diventata il luogo preferito per gli incontri internazionali bilaterali quando nessuno dei due Stati vuole lasciare all’altro la scelta del campo. Berlusconi si serve delle sue residenze, anziché degli uffici dello Stato, perché vuole essere, letteralmente, «padrone di casa », con tutti i vantaggi psicologici, piccoli e grandi, che possono derivare da questo ruolo. È giusto? Certamente no. Il presidente del Consiglio può organizzare a casa sua, se lo desidera, gli incontri informali e le riunioni di partito. Ma dovrebbe trattare gli affari dello Stato nelle sedi delle pubbliche istituzioni.
Credo che lei commetterebbe un errore tuttavia se giungesse alla conclusione che le abitudini di Berlusconi sono una anomalia esclusivamente italiana. Il nostro presidente è la versione estrema di uno stile che si è andato progressivamente affermando in questi ultimi decenni e che ha finito per contaminare quasi tutti i leader dei Paesi democratici. I primi ad adottarlo sono stati gli uomini politici americani, sempre più inclini a farsi accompagnare da mogli e figli nelle cerimonie ufficiali e a esibirli di fronte alle telecamere. Qualcuno ha sostenuto che questa nuova abitudine giova alle donne, finalmente libere di uscire in tal modo dai luoghi domestici a cui erano abitualmente confinate. A me sembra che vengano usate per garantire agli elettori la rispettabilità del marito e costrette a recitare un ruolo ancillare. Preferirei che la vita pubblica di un uomo politico continuasse a essere nettamente separata dalla sua vita privata. Ma questo nuovo stile è parso un progresso ed è stato imitato anche in Europa. Da allora le cose sono peggiorate. Tony Blair ha permesso che le sue vacanze toscane venissero raccontate come un evento pubblico. Bill Clinton ha invitato i suoi amici e finanziatori a trascorrere un weekend alla Casa Bianca assegnando ai più generosi la stanza da letto di Abraham Lincoln. L’orto di Michelle Obama alla Casa Bianca è stato descritto come un modello di correttezza ecologica. Gerhard Schröder ha celebrato la nascita del partenariato strategico russo-tedesco con due eventi privati: l’adozione di una bambina russa e la carica di presidente del comitato degli azionisti di Nord Sea AG, la società fondata per la costruzione di un gasdotto finanziato dai due Paesi nel Mare del Nord. Non appena eletto Nicolas Sarkozy è andato a trascorrere qualche giorno di vacanza nello yacht di un amico finanziere. La rottura del suo matrimonio con Cécilia, il corteggiamento di Carla Bruni, la luna di miele prematrimoniale in Giordania e il matrimonio all’Eliseo sono stati rappresentati come altrettanti spettacoli di corte. I presidenti si comportano come monarchi e la frontiera tra pubblico e privato sembra destinata a scomparire. Lei lascia intendere che i visitatori convocati a Palazzo Grazioli dovrebbero sentirsi un po’ sudditi. Credo che la parola giusta sia «cortigiani ».