Abruzzo: evitiamo ulteriori catastrofi

di Paolo Brutti

Tre giorni dopo il terremoto dell’Irpinia, quasi trent’anni fa, ero a Laviano con la squadra dei primi aiuti. Cominciava a nevicare. Le bare erano allineate una dietro l’altra sul margine della strada e cominciavano tre chilometri prima dall’abitato. Un piccolo paese rovinato giù per una pendice di una montagna, con le case che stavano più in alto cadute su quelle di sotto, come un domino. Più di mille morti solo lì. Una catastrofe.

Ora di nuovo il terremoto sull'Appennino. Non è il momento delle polemiche, ma della partecipazione e dell’aiuto alle popolazioni dell’Abruzzo colpite dal sisma. Certo colpiscono quelle immagini di scuole, case dello studente ed edifici pubblici, Anas ed altri, accartocciati al suolo. Ma con quale criterio si costruiscono le scuole in un territorio sismico? Perché gli edifici pubblici vengono giù come se fossero fatti di sabbia? Non è che c’entrerà qualcosa la trasparenza degli appalti? A pensar male…

Se invece di un piano casa per aumentare le cubature facessimo un piano casa perché non ci caschino addosso durante un terremoto? Una stanza in più o una vita in più: cosa è meglio?

In quell’Irpinia di trent’anni fa, quando il pianto si asciugò sugli occhi, i soccorritori cominciarono a trovare nei serbatoi dei mezzi di soccorso la sabbia nel gasolio. Era arrivata la padrona della ricostruzione: la Camorra, che portava in processione lo stendardo del comune e il santo protettore. Uno mi disse: “Sono povera gente, abituati da sempre ad appoggiarsi su un potente”.

Scendendo verso il basso corso del Sele, mi pareva di fuggire da un mondo perduto.

Mentre pensiamo ai soccorsi e alle risorse necessarie per l’immediato e la ricostruzione, rammentiamoci dell’Irpinia e del Belice. Evitiamo alle popolazioni dell’Abruzzo, già duramente colpite, l’agonia civile e morale di quei fatti e di quei territori.

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