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Alfonsin, grande amico dell’ Italia

di Dante Ruscica

La sera del 31 marzo si è spento a Buenos Aires Raúl Ricardo Alfonsin, “Presidente de la Nación Argentina” dal 10 dicembre 1983 al 9 luglio 1989. Migliaia e migliai i cittadini che hanno voluto darel’ultimo addio al politico dell’Unione Civica Radicale, che in questi giorni è stato ricordato specialmente per aver contribuito in modo determinante a garantire la continuità della democrazia in Argentina dopo gli anni bui della dittatura (primo presidente ad aver sottoposto i golpisti a processo) e anche per aver sostenuto i processi di pacificazione con paesi vicini.
Dante Ruscica, a quell’epoca addetto stampa dell’Ambasciata d’Italia a Buenos Aires, lo ricorda invece per un altro aspetto per il quale, come comunità italiana in Argentina, lo ricorderemo con particolare affetto: pur se era discendente di spagnoli al cento per cento, è stato un grande amico dell’Italia.

Il presidente Alfonsin non era di origine italiana, né da parte del padre, né della madre. Non era di Gubbio come Frondizi. Ma manifestò sempre grande simpatia e ripetute espressioni d’affetto e d’ammirazione verso l’Italia, tanto da ricordare proprio Frondizi.

Durante la sua presidenza fiorirono eccellenti relazioni, testimoniate da ricorrenti visite, da assidui incontri, accordi ed intese che venivano a saldare “il debito” d’un passato che, per un certo tempo, negli anni immediatamente precedenti, non era stato così denso e fitto di reciproche attenzioni. Pertini, Andreotti, Susanna Agnelli, Craxi, Spadolini, De Mita, Flaminio Piccoli, Nilde Jotti e tanti altri grandi nomi della politica italiana di allora accorsero con fraterna solidarietà in quella stagione- senza differenziazioni politiche, da ogni Partito- per attestare amicizia, solidarietà e sostegno alla democrazia argentina che rinasceva tra insidie infinite. Sì, tra grandi difficoltà, ma fortemente invocata e promossa da un operatore politico d’eccezione –Raúl Alfonsin- che seppe imbrigliare una vistosa maggioranza recitando da un capo all’altro del Paese -di piazza in piazza- lo storico “preambolo” della Costituzione argentina. Il “preambolo”, cioè il capitolo dei principi, del rispetto dei “valori”, che rimanda alla “noble y gloriosa Nación” dei fondatori, all’Argentina generosa di diritti e di garanzie per i suoi cittadini e che si proclama romanticamente disposta ad assicurare “benessere e libertà” anche “a tutti gli uomini del mondo che vogliano abitare nel suolo argentino”…

Questi principi, divenuti slogan elettorali, gridati con forza in tutte le piazze quella primavera del 1983 da un oratore politico d’eccezione com’era Alfonsin, furono d’immediato impatto in tutta la popolazione, una società che dagli anni Trenta (!) s’era quasi abituata alla non Costituzione e alla non libertà. Il suo appello scosse e sveglió dal lungo letargo. Richiamó l’attenzione del mondo intero.

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Non molto tempo fa gli chiesi un articolo per un numero della mia rivista dedicato alla celebrazione del 60º anniversario della fondazione della Repubblica Italiana. Un articolo –gli dicevo- per ricordare la figura di uno dei più significativi presidenti italiani: Sandro Pertini, ch’era stato qui in visita nel 1985, agli inizi della presidenza Alfonsin.

Al nome di Pertini –ricordo- gli si illuminó il volto. E rimemoró quella bella primavera della rinascita democratica argentina, dopo una lunga, lunghissima e cupa stagione d’autoritarismo, di ombre e di violenze che avevano afflitto e intristito questo grande Paese per così tanto volgere di tempo…

Ricordò soprattutto il suo viaggio in Italia e i fraterni e proficui rapporti con il nostro Paese che lui perseguiva con tanto impegno.

Scrisse poi l’articolo, come qualche lettore forse ricorderà, e mi mandò anche una grande fotografia a braccetto con Pertini.

Tra i suoi ricordi, si divertiva a raccontare sempre con simpatia la famosa scena della barchetta ”sperduta” tra gli effluvi non molto salutari del Riachuelo, alla Boca, la cui fotografia ebbe allora –nemmeno a dirlo- gli onori della stampa internazionale: ritraeva i due presidenti su una minima e precaria barca al remo di un anziano “xeneize” che aveva convinto –nessuno ha mai saputo come, né chi fosse il barcarolo- i due presidenti ad alterare un tratto del programma fissato nella visita allo scolorito quartiere della vecchia emigrazione italiana, imbarcandoli nella imprevista e poco romantica passeggiata, che ovviamente allarmò non poco scorte e cerimoniale…

Ci fu poi il suo viaggio ufficiale in Italia del quale parlava sempre, ricordando -oltre agli impegni bilaterali di cooperazione in tanti campi, codificati in un trattato speciale- soprattutto le accoglienze generose e di primissimo livello a Roma, a Venezia, a Milano, ma soprattutto a Bologna, premiato e onorato nella più antica Università del mondo, che lo salutava quale portabandiera d’una stagione di civile rinascita in Argentina e in America Latina, ma anche come grande e sincero amico dell’Italia.

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