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Lettera aperta agli amici romeni

“romeni in Italia…” – ecco l’argomento che imperversa sulle prime pagine dei quotidiani italiani e romeni, tema scottante, con dichiarazioni ufficiali, comunicati stampa, accanimenti – i romeni e gli italiani, riportando un nuovo episodio destinato a seminare l’odio e la diffidenza tra noi, come altri già accaduti e che magari si verificheranno di nuovo in futuro. Certo ci sono cause e responsabilità, sarà la giustizia a giocare il ruolo chiave; in una società democratica del secolo XXI la giustizia troverà di certo il modo di fare il suo dovere. La sua competenza è quella di punire qualunque atto contro la vita di un essere umano, il dono supremo che Dio ci ha dato. he cosa ci resta però dopo tutto questo inchiostro che abbiamo visto scorrere sulla carta? dobbiamo cercare di andare avanti tutti insieme e ritrovarci nei fatti e nelle nostre azioni comuni, nelle cose che purtroppo non si leggono né in prima e nemmeno a pié di pagina dei giornali. Sono le cose positive, le cose buone che dimostrano saggezza e comprensione al di là delle dichiarazioni o comunicati stampa, perché fanno trasparire una maturità culturale e di identità che legano i due popoli e ci riconducono ai legami antichi dei tempi storici. In questo “mese oscuro”, “periodo nero”, come viene decretato dalla stampa, abbiamo visto che la vita va avanti, che le cose buone ci sono e questo è prova di fiducia e coraggio. Eppure Romeni e Italiani sono popoli destramente simili, anzi, per certi versi direi anche troppo simili. La Romania, rappresenta un paradosso per gli storici. Si tratta dell’unico paese a di lingua latina circondato da paesi linguisticamente o slavi o ugro/finnici, l’unico paese latino a maggioranza ortodossa e l’unico paese la cui lingua pur essendo latina che fino alla riforma linguistica del 1860 usava caratteri cirillici. Un paradosso , come si diceva ma che non può negare il suo interesse e soprattutto interessante per i rapporti che questo Paese e i suoi abitanti hanno avuto per l’Italia. Senza ritornare al tempo dei romani vorrei ricordare il Beato Giovanni da Valacchia (1556-1625) che considerava l’italia come un Paese di santi e continuava a ripetere che nella penisola “erano buoni cristiani e dove i monaci erano tutti santi e v'era il Papa, Vicario di Cristo” . e che proprio in Italia a Napoli, per la precisione, questo umile frate venuto da un paese lontano difendeva i servitori maltrattati dai padroni, s'interessava per collocare i disoccupati in un lavoro onesto, si premurava di procurare la dote a ragazze orfane o pericolanti perché si sposassero decorosamente, si recava nelle carceri per visitare i detenuti, si prodigava per estinguere le inimicizie e pacificare gli animi agitati dall'odio… Era un'immagine vivente e operosa della misericordia del Signore”. Oppure come dimenticare , l’apostolo della libertà , Giuseppe Mazzini, che nel 1851 ricorda come “Il popolo romeno, avanguardia della razza grecolatina, è chiamato a rappresentare in Europa orientale il ponte con le nazionalità slave e il principio della libertà individuale e del progresso collettivo che ci definisce noi, europei, come apostoli dell'umanità”. Concetti forti , ma che servono a dimostrare l’unità inscindibile che la storia assegna ai popoli italiano e romeno , due popoli che per la loro comune apparenza sono chiamati assieme a costruire la storia dell’Europa.

Dott. Marco Baratto
Vice Presidente Associazione “dacia”

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