di Sergio Bagnoli
Dopo la Lettonia è ora la volta della Repubblica Ceca: la grave crisi economica mondiale, giunta ormai al suo apice, per quanto riguarda il vecchio continente sta riportando indietro le lancette dell’orologio della storia ai tempi in cui ad est di Trieste e Vienna si alzava un muro ideologico insormontabile. Uno dopo l’altro stanno entrando in grave fibrillazione i governi delle nazioni della cosiddetta “ Nuova Europa” e, se le dimissioni a Riga del premier non hanno causato danni altrove, la sfiducia, espressa dalla Camera bassa di Praga, al premier ceco Mirek Topolanek ovviamente interessa tutta l’Unione europea, rivestendo la Repubblica Ceca in questo semestre il ruolo di presidente di turno della Confederazione dei ventisette stati. Impallinato da almeno quattro franchi tiratori provenienti dalle file del Partito Conservatore, il suo, Topolanek pare abbia pagato l’eccessiva frammentazione della debole coalizione che lo sostiene, numericamente minoritaria, che per governare si appoggia ai voti di sette fuoriusciti dalle file socialiste. E’ costituita anche da cristiano democratici e verdi. L’opposizione socialdemocratica, cavalcando spinte populiste e soprattutto il “ no” ceco al Trattato di Lisbona, ier l’altro ha visto approvata dal Parlamento boemo la sua mozione di sfiducia contro il governo Topolanek. Sulle rive della Moldava si spettegola affermando che il voto negativo per il premier sia giunto su ispirazione del Presidente ceco Vaclav Klaus, notoriamente anti- europeista, che, nella fattispecie, avrebbe ispirato l’azione del leader d’opposizione social- democratico Jiri Paroubek.La Cechia, insieme all’Irlanda che però bocciò il Trattato fondamentale dell’Unione europea tramite referendum dopo averlo approvato in sede legislativa, è l’unica nazione tra le ventisette a non aver ancora ratificato il documento redatto a Lisbona. Anche in Polonia esso non ha completato il suo iter legislativo a causa del rifiuto del presidente Kacynshki a firmarlo ma Praga è rimasta abbastanza isolata tra le varie cancellerie del vecchio continente nella sua posizione autonomista. Ora l’Europa, al di la dei messaggi d’incoraggiamento espressi ieri a Topolanek dal presidente del Parlamento europeo Poettering, teme un vuoto di potere soprattutto in vista del prossimo incontro tra l’Unione europea ed il Presidente degli Stati Uniti Barak Obama. Topolanek ha assicurato le altre nazioni dell’Unione europea circa l’ininfluenza di quanto successo l’altra sera a Praga e, accortosi della figuraccia riservata al suo paese, pare che anche il social- democratico Paroubek abbia fatto marcia indietro accontentandosi per il momento di un rimpasto di governo salvo poi saldare i conti con Topolanek a semestre di presidenza europea conclusa. A Praga quindi ci si prepara ad elezioni politiche anticipate in autunno ma, quel che più conta e preme a Bruxelles, si pensa a non aderire al Trattato di Lisbona. Troppi politici populisti moravi ritengono che non tutti i paesi della cosiddetta nuova Europa fossero in grado di aderire all’Unione e ritengono che nazioni come la Romania e la Bulgaria siano più che altro elementi di disturbo per il futuro della confederazione. Sono solamente cani sciolti appartenenti all’ultra- destra od all’ultra- sinistra per il momento ma bisogna anche osservare che, per esempio, in Ungheria, paese vicino al tracollo finanziario, il diffusissimo malcontento popolare viene incanalato in una sorta di revanscismo nazionalista ed alcuni leader politici stanno seriamente pensando di rivendicare a Budapest la Transilvania, persa con il Trattato del Trianon all’indomani della prima guerra mondiale. Appare dunque già da oggi sommamente necessario procedere verso l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che metterebbe al riparo il governo dell’Unione da semestri di presidenza ininfluenti ed a perenne rischio di delegittimazione ed anti- europeismo.