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Trenitalia, viaggiare è un lusso e un martirio

di Angelo d'Orsi

Nell’ultimo mio intervento ho parlato della I edizione delle “Settimane della Politica”, svoltesi nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Ateneo torinese. Il tema era Il “caso” Italia, affrontato in molti dei principali ambiti tematici: cittadinanza, partiti, istituzioni, società, lavoro, ricerca, scuola e così via… Ne è uscito un quadro desolato. Riprendo e insisto sul caso Italia, limitandomi a un frammento del mosaico, e parlo più che da studioso o giornalista, da utente di un servizio come le Ferrovie, con qualche banalissima considerazione, avendo saputo che l’amministratore delegato, il molto lodato ing. Mauro Moretti, annuncia urbi et orbi che quest’anno Trenitalia torna in pareggio o addirittura in attivo. E te credo! Prendo almeno un treno alla settimana – dico un treno su percorso mediolungo, tra i 300 e i 600 km, preferendolo all’aereo, in quanto, mi ripeto ogni volta, “sul treno si lavora”. Naturalmente, devi fare i conti con l’invincibile maleducazione degli italiani che urlano al telefonino, o tra di loro, come se tutti gli altri passeggeri fossero invisibili, e comunque irrilevanti.
Ma questo è niente: ieri l’altro rientravo da Roma a Torino. Intercity Plus (? Dunque c’è pure un Minus!). Partito con un quarto d’ora di ritardo da Termini ha macinato invece che chilometri, minuti: in aggiunta, non in sottrazione. A Genova i minuti erano divenuti 40. Sulla tratta finale, a pochi km dall’agognata meta (con una giornata caldissima e l’aria condizionata che… disfunzionava, le tende dei finestrini bloccate una su due…: naturalmente, prima classe!), il convoglio si arresta e dopo una lunga attesa silente, un altoparlante a corrente alternata – nel senso che si percepiva una parola su due, frammista com’era la voce a scariche gracchianti – ci annuncia che “causa problema sulla linea” il treno sarebbe ripartito dopo dieci minuti. I quali inesorabili scorrono, segue silenzio prolungato. Infine, l’altoparlante ripete, psittacisticamente, che causa problema eccetera… Altri dieci minuti. Per farla breve, arriviamo con 70 minuti di ritardo. (A proposito, ingegner Moretti, ma il pareggio è stato raggiunto eliminando i bonus per i ritardi? Naturalmente nessuno vorrebbe sprecare un ulteriore minuto per compilare l’“apposita modulistica” aspettando eventuale rimborso in bonus che scade prima che tu ti renda conto del tutto).
Un ritardo di un convoglio. Che sarà mai? Chi tra i miei lettori frequenta la posta dei quotidiani e settimanali avrà notato l’inutile susseguirsi di proteste di nostri concittadini messi a dura prova dal servizio ferroviario: i pendolari, innanzi tutto; ma almeno loro si sono organizzati in comitati e stanno fornendo un bell’esempio di democrazia partecipativa e di politica dal basso, di azione diretta che ha ottenuto qualche significativo risultato, a cominciare dalla denuncia delle inadempienze e soprattutto delle menzogne di Trenitalia. Io provo una sincera pena per gli “addetti alle relazioni esterno” della società, che debbono passare le loro ore lavorative a scrivere comunicati volti a dimostrare che i ritardi non sono tanti, e che le tariffe sono basse, inventando scuse pietose, peggio dei ragazzi delle scuole medie che debbono giustificare il loro cattivo rendimento scolastico… Posso garantire che negli ultimi tre anni, nei quali ho viaggiato moltissimo, non mi è capitato un treno in orario: regionali, interregionali, intercity (plus o minus…), eurostar, eurostar city (che sono? dei tram?), euronight (i treni notturni che il buon Moretti ora eliminerà)… Ah, ma c’è l’Alta Velocità! Quella che ti viene venduta a prezzo di rapina. Ebbene. L’ho provata una sola volta, sul tragitto Napoli-Roma: quattro minuti di ritardo. Sì. Avete letto bene. E non dite che “non è nulla”. I treni come mai altrove in Europa sono puntualissimi (una volta in Spagna l’altoparlante si è scusato per i due minuti di ritardo del convoglio), e da noi dobbiamo compiacerci se su un tragitto di un’ora e mezza pagato carissimo, in un treno che ci viene decantato perché dovrebbe fare il suo dovere, ossia giungere nella stazione di arrivo all’ora prevista, arriva con 4 minuti di ritardo!
Sono le gioie della “privatizzazione”, baby. Privatizzazione senza mercato, questo è il massimo! Del resto il presidente del Gruppo è il ben noto Innocenzo Cipolletta, già capoccione di Confidustria, quello che imperversava nei talk show spiegando che il problema italiano erano le pensioni: troppo alte, troppo presto elargite ai lavoratori, e anche i salari, non adeguatamente produttivi. Ora pensa lui a rendere produttiva l’azienda ferroviaria, licenziando i dipendenti che ne denunciano le malefatte. Il santo Mercato!… “Trenitalia ringrazia per la preferenza accordata e si augura di poterla accogliere di nuovo presto sui propri treni”. Ma quale preferenza? Ma mi faccia il piacere, direbbe Totò! E che dire degli annunci – da altoparlanti malfunzionanti, sempre – con cui spesso sei accolto sui treni? “Viaggiare senza biglietto o con biglietto irregolare può costare caro. Nostro personale sta effettuando verifiche a bordo treno”. Questo, insomma, a mo’ di benvenuto: agghiacciante.
Tra le ultime novità c’è un altro tipo di annuncio: invece di limitarsi a precisare la stazione in arrivo (cosa che accade in modo del tutto irregolare e casuale: quando il capotreno non è, evidentemente, in altre faccende affaccendato), ora l’altoparlante (solito: gracchiante), ci ricorda in due lingue maldigerite, che è vietato scendere dal treno in corsa, e che bisogna scendere sul marciapiede giusto… Ma chi li concepisce siffatti annunci, esimio Moretti? Lei personalmente? Perciò le danno quelle svariate centinaia di migliaia di euro l’anno? No, certo. Perché lei sta “centrando l’obiettivo”: ossia ridurre il disavanzo. Non importa a quale prezzo. Non importa se le Ferrovie privatizzate “esternalizzano” tutto a società che fanno la gara al ribasso per ottenere gli appalti. E le carrozze non vengono pulite, e il servizio bar (gestito monopolisticamente da una società unica) fa letteralmente schifo, e… Vogliamo parlare delle latrine? Dei wc? Dei cessi, insomma! O, come si chiamavano una volta, delle “ritirate”? In effetti parrebbe la denominazione più appropriata: se ci entri (quando sei fortunato da trovarne una con la porta che si apra, e addirittura si richiuda alle tue spalle), la sola tentazione è di ritirarti. Rinunci, sperando di resistere alle impellenze naturali. C’entra di nuovo la maleducazione degli utenti, come no? Sicuro. Ma diciamo che si fa poco per incoraggiarli a comportarsi bene. Lasciamo stare il discorso dell’acqua che una volta su due manca, della carta igienica e dei fazzoletti asciugamani che giacciono in un pantano, dell’ambiente generale che è semplicemente ributtante…
Mi soffermo su un solo dettaglio, per divertire il lettore. La tazza del cesso. Prego il mio pubblico di andare in cerca dell’ultimo modello, certamente prodotto da un designer in gran voga. Si tratta di tazze “chiuse”, orizzontali, ossia il foro per il loro svuotamento c’è, ma è invisibile, da qualche parte in fondo. E il simpatico oggetto si sviluppa orizzontalmente, e le deiezioni dei poveri viaggiatori devono fare affidamento sulla potenza del getto d’acqua per sperare di essere ingoiate dai binari, dove invece i vecchi cari cessi lasciavano scorrere facilmente prima essendo aperti, suggestivamente, aggiungo, sui binari. Immagino che il previdente amministratore delegato, il buon Moretti abbia voluto evitare il rischio suicidio: sì, perché viaggiare Trenitalia, davvero, a volte (spesso!) ti fa sorgere l’insana voglia. E Moretti ha pensato che essendo ormai i finestrini bloccati, non rimaneva che il buco del cesso. Grazie, caro Moretti. Ma le promettiamo che se ci ridà le tazze del cesso di un tempo, saremo buoni. E ci ammazzeremo una volta scesi – naturalmente, sul marciapiede prescritto dai suoi altoparlanti – una volta fuorisciti dalle sue orribili stazioni “moderne” dove giganteschi monitor al plasma vomitano pubblicità assordante (che ovviamente sopraffà gli annunci dei treni), gettandoci sotto un autobus. Disgustati di questo Paese, in cui viaggiare sempre più è un lusso e, insieme, un martirio. (Micromega)

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