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Utilizzo del genere letterario ‘storie di vita’

Possibili domande per l’intervista a Laura Tussi, a proposito dell’utilizzo del genere letterario ‘storie di vita’ per conoscere, comprendere e trasmettere l’esperienza scalabriniana femminile della vita religiosa e del servizio evangelico e missionario nel contesto della mobilità umana:

1. Lei si occupa di storie di vita da molti anni. Vuole dirci brevemente la sua esperienza di studi e valorizzazione della memoria storica? Questo approccio alla storia può essere validamente utilizzato per ricostruire la memoria e trasmettere l’esperienza e la sapienza alle generazioni che vengono, anche in una organizzazione religiosa come la congregazione mscs?

La mia esperienza…si basa soprattutto su un percorso di ricerca e valorizzazione delle storie di vita di persone e di personaggi incontrati nel corso della mia esistenza. Penso che ogni persona abbia diritto ad autonarrarsi, a dare una rappresentazione tangibile alla storia di vita personale, soprattutto in un’ottica di autovalorizzazione e recupero di situazioni a rischio, dove si fa strada il disagio più insidioso, a livello spirituale, etico e morale. Il significato del metodo autobiografico è intriso del valore imprescindibile della trasmissione di memoria storica e individuale tra generazioni.

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Nei gruppi umani, può avvenire una divaricazione tra memoria collettiva, sedimentata e memoria individuale, per cui il singolo individuo si manifesta in difficoltà, non riesce ad intrecciare ad interagire la propria esistenza con le altrui esperienze di vita. La testimonianza riconsegna al legittimo attore degli eventi ed all’attento ascoltatore il senso dell’essere nella storia, in sé stessi e per sé stessi, nell’immanenza dell’attualità del momento presente. Quest’esperienza può essere scatenante di altrettanti percorsi di ri-equilibri socio-comunitari, là dove, proprio a causa di resistenze individuali e incapacità dei singoli all’elaborazione dei vissuti, le relazioni e la storia si arrestano in forme di anonimato, se non perfino di ostilità. Il racconto di sé produce relazione e ricompone percorsi storici, restituendoli alla consapevolezza.

Le potenzialità dell’autobiografia e del racconto di sé sono sviluppate quando la narrazione diviene scrittura, che stimola consuetudini introspettive e autoconsapevoli, suscitando il ripiegamento riflessivo sul proprio sé interiore.
La scrittura della personale storia di formazione, della propria vita e esistenza, apre la psiche al mondo esterno e all’io interiore, stimolando processi di autoriflessione, per cui la rielaborazione delle dinamiche riflessive permette al narratore sempre nuove evoluzioni psichiche, riassorbendo e trasformando pensieri, sentimenti, sensazioni e stati d’animo, in un processo naturale di esperienze vissute e intuizioni, salvaguardando tutta la ricchezza della comunicazione interpersonale. La scrittura della propria interiorità offre al narratore la potenzialità di un processo di rielaborazione per tradurre le riflessioni e il pensiero autoreferenziale permetterà di trascrivere percorsi, trame di significato, tracce di pensiero interiori per una più acuta capacità di analisi e consapevolezza di sé. Attraverso la scrittura è possibile attuare un approccio ermeneutico attraverso la stessa attenzione richiesta dalla comprensione testuale, in un circolo virtuoso nell’ambito dei rimandi vicendevoli tra scrittura e pensiero autobiografico.

La narrazione di sè permette di accedere alle storie dei singoli elementi, degli individui appartenenti al gruppo, dove la commistione delle vicende narrate ed ascoltate non deve perdere il profilo del contenuto esperienziale, del senso sotteso e del significato intrinseco che accomuna e rende partecipi all’altruità. La specificità della competenza della pedagogia narrativa consiste appunto nel raccogliere, rievocare, riconnettere, rimembrare e relazionare storie e resoconti di eventi che il gruppo non ha mai ascoltato veramente con interesse, prestando attenzione al contenuto e all’implicito significato, attualizzando così la trasposizione nella modernità dell’antica funzione narrativa degli aedi, griot, poi cantastorie e cantori che narrano, rievocano vicende per inserirsi in gruppi e comunità, attraverso l’esposizione narrativa di storie ed eventi di vita che vengono riattualizzati, riesumati dal passato, dalla Storia, rievocati, e di rimando rilanciati per ottenere l’incontro.”
I cultori della storia, gli insegnanti, gli educatori, i testimoni degli eventi devono mantenere il rapporto con il concreto relazionarsi delle comunità, con la testimonianza dei singoli, ma anche, in una prospettiva di trasformazione delle memorie, in un tessuto storico e sociale robusto, che confluisca in progetti e consista in una fonte di energia e di riflessione per le nuove generazioni. Questo passaggio dal ricordo, dalla narrazione alla memoria, alla storia, alla riflessione è un processo che deve avvenire tramite il contributo della scuola, non concepita meramente come domicilio, insieme di persone, ma come una comunità di studio, contesto di comunità educante intesa nel senso e significato culturale di progettazione di idee e di confronto; perché l’attenzione e dimensione specifica dell’istituto scolastico consiste nella trasmissione culturale, lavorando, interagendo con le nuove generazioni, attraverso il metodo, lo strumento, la modalità ultima, pedagogica dell’impegno culturale, educativo del confronto, dell’interscambio di progetti e di idee e costruzione, elaborazione collettiva di basi valoriali. Il rapporto “memoria e testimonianza” è l’importante filo rosso educativo come il riferimento all’aspetto di documentazioni di studio e ricerche, elaborate, a diversi livelli, sia come eco di studi e indagini qualitative a livello nazionale ( CEDEC ANED ANPI), sia di progetti di ricerca, attività di studio e documentazione, intrapresi dalla scuola, da insegnanti e da esperti e tecnici di settore. Dunque veramente la scuola diventa comunità di ricerca, dove gli studiosi sono operatori sociali, insegnanti, impegnati a livello storico non avulso e disancorato dal territorio circostante, dal sistema formativo: per cui i progetti di recupero storico si intraprendono in interazione con i vari enti ed agenzie educative operanti nell’ambito territoriale stesso, dove la comunità scolastica si apre al sistema formativo nella sua complessità ed auspicabile integrazione. Pertanto i ricercatori si trovano ad operare utilizzando ed animando pedagogicamente le agenzie educative, dalle biblioteche, agli oratori, al volontariato associazionistico culturale, pubblico e privato, in prospettive auspicabili e realizzabili positivamente, di senso compiuto, perché prodotto di interazione tra parti, per un passaggio di idee ed un’intermediazione effettiva, efficiente ed efficace. La voce culturale e la memoria che scaturisce e si raccoglie nella scuola, attraverso di essa deve poi avere un suo deposito, un simbolo, una rappresentazione, senza essere lasciata solo al ricordo delle persone intervistate, dei testimoni o dei ricercatori, per cui si approntano i documenti in opuscoli, ingenti annuari, manuali di storia locale ecc…per seminare e diffondere valori, ottenere un seguito di idee, retaggi di memorie significative nel tessuto sociale. I punti cardinali sono il ruolo educativo dei testimoni nella formazione e tradizione di una memoria collettiva di esperienze e documenti recuperati, considerando le figure pedagogiche dei testimoni e le questioni salienti dei processi di partecipazione: come partecipare, rendere partecipi a tali esperienze, tradotte in testimonianze, le giovani generazioni. Come passare e tramandare la memoria è il nodo del rapporto di formazione nella interazione tra memoria e storia, tra testimonianze e fonti di diverso tipo, per chiudere un cerchio ideale per giungere ad una trama di storia da proporre ai nostri giovani.

Il racconto narrativo come storia di vita è il raccontare la memoria, il che non dovrebbe essere il ricordo del passato. La memoria culturale e collettiva serve ad interpretare il presente ed a prevedere, progettare, decidere il futuro. La conoscenza del passato consente al gruppo, alla comunità, collettività e società, la globale ed omnicomprensiva progettazione del proprio sistema, non coercitivo, in senso mobile, dinamico suscettibile al cambiamento, alle transizioni.

La memoria rappresenta per colui che racconta la ricerca del senso di un fatto accaduto nel passato in base alle indicazioni del presente: questo è di grande stimolo dal punto di vista della didattica della storia. Sono le domande del presente che portano ad evidenziare certe situazioni e condizioni vissute nel passato. Sempre più gli insegnanti sono chiamati alla responsabilità della scelta dei contenuti da sottoporre ai ragazzi, perché più si allarga il campo della storia, più la cernita responsabile, critica, storiograficamente accettabile e pertinente risulta importante ed insostituibile. Quando i giovani si rivolgono ad adulti o ad anziani per sentirsi raccontare dei fatti accaduti in un passato prossimo o remoto della storia del nostro secolo, essi stessi cercano e vogliono attribuire senso alla propria vita ed esistenza trovando radici, matrici di significato in ciò che è stato ed è accaduto, agli eventi della storia individuale e collettiva che li ha causati direttamente, a tutti gli effetti. Questo è il grande dono di colui che ha esperienza consolidata, rispetto a chi si deve costruire da solo un proprio senso dell’esistenza, per ragioni individuali e personali: molto spesso non si consolida tale utilizzo ed impiego proficuo, saggio, della memoria nella società contemporanea occidentale, in quanto si cerca di vivere in un eterno presente e probabilmente si sperimenta la difficoltà di attribuire senso anche alle singole esistenze e di costruire personalità strutturate, il che consiste di conseguenza nel compito precipuo dell’educazione, della pratica pedagogica volta alla formazione della persona ed all’istruzione di cultura. Jedlowskji sottolinea la memoria come esperienza, come saper fare, ed esperienza di sapere. Spesso nella scuola il “saper fare” non è sufficientemente sottolineato nel lavoro generale, nelle mansioni quotidiane, nei compiti propri dell’insegnante.
Jedlowskji è un sociologo, ma compie una riflessione sostenendo che la forte accelerazione della nostra vita porta ad una crescente intellettualizzazione dei contesti artistici e culturali e per converso a non valutare, non assorbire e metabolizzare le emozioni su cui la memoria si basa soprattutto, come sugli affetti, sugli aspetti emozionali, nell’ambito dei sentimenti, delle passioni che comportano gli eventi. Quindi può avvenire una divaricazione tra memoria collettiva, sedimentata e memoria individuale, per cui il singolo individuo si manifesta in difficoltà, non riesce ad intrecciare ad interagire la propria esistenza con le altrui esperienze di vita. Se rapportiamo tale riflessione al mondo degli studenti, osserviamo che essi stessi non riescono ad attivare un interesse con la storia insegnata ed a rapportarsi con colui che la tramanda (insegnante, storico, studioso, testimone, operatore culturale). La memoria è la storia commentata dell’esperienza dell’uomo, come sostiene la Yourcenar, che fa dire ad Adriano: “ho ricostruito molto e ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di passato, coglierne lo spirito e modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo avvenire…significa scoprire sotto le pietre il segreto della sorgente”. La testimonianza a scuola porta l’uomo e la donna in carne ed ossa, come protagonisti esistenti e viventi della storia passata, con i loro sentimenti, passioni e scelte di vita con un impatto emotivo diretto ai ragazzi nei confronti degli eventi storici di elevatissima efficacia didattica, nei cui racconti e narrazioni sottesi all’impercettibile filo rosso del sentimento, del ricordo emotivo, si scopre “la sorgente sotto le rocce” sedimentate del tempo…La testimonianza riconsegna al legittimo attore degli eventi ed all’attento ascoltatore il senso dell’essere nella storia, in sé stessi e per sé stessi, nell’immanenza dell’attualità del momento presente.

2. La rivista “Scalabriniane nel mondo”, già dal 1992, pubblica la narrazione di esperienze socio-pastorali di suore mscs nel mondo. Si può considerare questa documentazione come ‘storie di vita’? In quali termini?
L’esperienza pastorale diviene il fulcro valoriale di una narrazione individuale e collettiva, in cui la memoria storica assume molteplici testimonianze al vaglio della Storia che raccoglie sia le narrazioni di persone nel loro quotidiano, come dei Capi di Stato, sia dei più grandi personaggi storici.
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Una organizzazione come la vostra, come tutta la società contemporanea, ha bisogno di processi di individuazione perché attraversiamo un periodo a forte rischio di standardizzazione ed omologazione, secondo dinamiche ed operazioni perverse imposte dal sistema, dai mezzi di comunicazione massmediale, volti a sradicare il senso di dignità individuale, personale, il valore ed il significato di una dimensione a livello intimo, personale, interiore, attraverso meccanismi mercificatori di omologazione, per cui la vita interiore, segreta, intima dell’individuo si rivela a rischio di appiattimento, di standardizzazione. E’ bene, quindi, che un gruppo umano, come un’istituzione religiosa, sia in grado di trovare i suoi mezzi per promuovere la narrativa…….. /…/

La memoria è custode del tempo perché in essa è contenuto e trattenuto, e nella memoria il tempo implode perché non occorre per ricordare, dal momento che il rimembrare a volte ci restituisce, in un fotogramma, l’intero prisma di eventi, contemporaneamente. La memoria non è affatto la duplicazione di come gli eventi si sono svolti e non è la restituzione di come abbiamo vissuto i vari momenti della vita: è proprio un atto creativo.
Verlaine, ricordando un amore, diceva:” ricordo e ricordo le ore e gli incontri del migliore dei miei beni”. La memoria può essere un’inesorabile testimone. Esistono esseri umani che si scompaginano per non riuscire a tollerare ciò che la memoria riconsegna alla loro coscienza. Come sempre il sole ci illumina e ci ustiona. In questo caso il sole è dentro noi. E’ la nostra stessa natura. Eppure anche la nostra interiorità può essere inafferrabile, paradossalmente, però, può essere osservata e descritta. Ed è di queste descrizioni che abbiamo bisogno. Esistono intrecci tra l’esercizio della memoria e la dimensione dell’essere in compagnia con altri, con altre storie, con altre vite reali o possibili, quando noi miriamo a rispondere alla condanna, alla solitudine involontaria come male intimo per noi. Sono intrecci inevitabilmente complicati. La solitudine volontaria, il soliloquio è o può essere un bene proprio perché nelle circostanze fortunate sembra una sorta di colloquio con noi stessi come “altri”.
In tali circostanze proviamo l’esperienza del non essere soli o del non essere lasciati soli, avvalendoci della condivisione nel ricordo di altre vicende, di altre storie che dilatano ed allargano i confini del nostro “sé” connettendoci ad “altro” o “altri”. Il non essere soli ed il non essere lasciati soli è un tema importante. Il male per eccellenza per noi è la condanna alla sorte della solitudine involontaria perché questa implica la rapida sconnessione tra noi e altri e il mondo e alla fine tra noi e noi stessi nel tempo. L’avere o meno identità e saper rispondere alle domande su chi siamo, dipende dall’equilibrio instabile, provvisorio e tuttavia prezioso tra certezza o incertezza quanto riconoscimento ed essere accettati e identificati in certo modo. Da altri e nei casi limite più radicali da noi stessi. E’ facile osservare che queste due circostanze sono connesse tra loro e la condanna alla solitudine involontaria mette a repentaglio il capitale dei nostri riconoscimenti nel tempo ed in casi come questi ci perdiamo nel vortice degli eventi, divenendo stranieri a noi stessi e anche il mondo comune condiviso con altri diviene estraneo; una realtà condivisa di valori sfugge alla nostra presa abituale, evapora, ci esclude, ci scomunica e, come volevasi dimostrare, esiliandoci, ci inchioda alla sorte della solitudine
Ma nel rapporto tra solitudine ed identità vi è l’esercizio della memoria. Siamo uomini e donne per cui ricordare qualcosa o qualcuno o dimenticare possono essere oggetto di giudizio, di biasimo, di lode, di raccomandazione, di divieto, interdizione e preghiera. Tutte le civiltà basate sull'oralità, ossia la prescrittura, vedono un’enorme manovra di interdizioni, divieti e raccomandazioni e comandamenti quanto al ricordare o al dimenticare.
Questa intricata trama di giudizi positivi o negativi, di comandi ed esortazioni che accompagnano la memoria e l’oblio, introduce una vasta gamma di questioni. La complicazione è introdotta dal ruolo delle nostre scelte e responsabilità a proposito del ricordare o del dimenticare. Lo stato del ricordare o dimenticare qualcosa o qualcuno può essere per noi scopo importante, oggetto di preferenza scelta, o almeno in parte di responsabilità.

Ogni istituzione, come ogni città, ogni quartiere dovrebbe organizzare, a livello socioeducativo, laboratori di narrazione di sé, archivi-museo della memoria popolare, dove si custodiscano le storie della singola gente che vive il territorio o che non esiste più, ma ha lasciato traccia di sé nell’ambito della comunità, perché ogni persona è inserita in un contesto relazionale che si ricollega ad altre sfere comunicative concentriche a formare spezzoni di vita, di storia popolare inserita nella storia globale con la “S” maiuscola e, di quest’ultima, causa propulsiva.

L’incontro con l’alterità, soprattutto quando diviene portatrice di sofferenza e di disagio, realizza e presuppone sempre un interscambio culturale, ossia lo specifico caratterizzante dell’operatore e del disagiato, che si possono incontrare anche in un contesto transculturale.
Il mondo della globalizzazione sta progressivamente incontrando il processo ed il fenomeno della creolizzazione delle culture, per cui è difficile immaginare dei confini più o meno virtuali e più o meno portatori di dolore e sofferenza e disagio che suddividano il mondo in un mosaico di culture.
Dopo queste premesse risulta necessario e indispensabile prendere in considerazione il paradigma o parametro culturale nell’incontro con l’altro da sè, indipendentemente dalle origini etniche e dalla provenienza, i cui contesti permettono di cogliere le differenze simboliche, le diversità semantiche, nell’analisi dettagliata della varietà di linguaggi, nella sofferenza e nel disagio, di matrice biopsicosociale, che spesso scaturisce in dipendenza dalle radici culturali ed etnocentriche.
La cultura è condivisione di simboli e significati, come la diversità culturale è un modo differente di considerare la propria interiorità tramite una concezione “altra” del proprio essere-nel-mondo.
Riaprire il dialogo con la diversità innesca un processo di adesione al nuovo in modo critico e riflessivo, con il risultato di attribuire senso e spessore alla sofferenza, contestualizzandola nell’ambito di una trama narrativa esistenziale e personale, nell’ambito della storia di vita del soggetto e della sua dimensione culturale, etnica, razziale.

3. Quale è l’importanza dell’utilizzo delle storie di vita oggi? Come la narrazione di una persona sulla sua vita e la sua esperienza può favorire l’integrazione e le relazioni in contesti locali come i nostri, segnati da compresenza di diversità culturali, linguistiche, generazionali e perfino etniche?

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Solo diventando attori del proprio sé, protagonisti consapevoli della personale storia di vita e di formazione, risulterà possibile recuperare i valori dell’altruismo, della solidarietà, dell’accoglienza, del confronto e arricchimento culturale interetnico, di interscambio e accettazione, non falsamente e ipocritamente tollerante, dell’altro da sé, del diverso, dell’immigrato, dello straniero portatore di cambiamento e di novità. Un impegno culturale di memoria autobiografica esercita uno straordinario valore educativo, creativo, ricreativo e culturale nella sua concreta pratica di formazione permanente, riuscendo ad ottenere il fondamentale obiettivo di recuperare e di tutelare le specificità delle varie e differenti esperienze soggettive e la loro unicità.

La memoria può perseguire il desiderio, il sogno, l’illusione che da sempre accompagna noi umani, ossia di soffermarsi nel tempo, di sopravvivere al nulla… Il sogno perseguito e rincorso nelle allucinazioni e nei desideri può trovare talvolta soltanto un rispecchiamento concreto laddove la memoria diventa autobiografia e si incontra con la scrittura ed è da essa catturata; dove gli eventi, i volti, i sogni, i desideri sono trattenuti dall’emozione dello scrivere.
Tutto questo si oppone a ciò che è aleatorio, saltuario, passeggero, effimero come quando il ricordo ripropone alla mente i propri cari, gli eventi, le immagini, i fantasmi del passato. La scrittura è un atto di eroismo quotidiano nel tentativo di trattenere il ricordo e lottare contro l’oblio inesorabile, crudele che in realtà si incarica di lasciarci qualcosa. E’ il grande protagonista della nostra esistenza perché dona la possibilità di rimemorare nuovamente. Quando la memoria si trasforma in scrittura e autobiografia e ottempera al senso ed allo scopo della riflessione scritta, nata per lottare contro l’effimero, per aiutarci a trattenere più a lungo le tracce del nostro passaggio nell’esistenza, prende forma la scrittura di noi stessi che cerca di far riaffiorare le immagini perdute.
Nascono i diari intimi, gli epistolari, le autobiografie alla ricerca di un tempo perduto, di una traccia tangibile della nostra sosta nella realtà dell’essere.
Ogni vita meriterebbe un romanzo, una novella, una pagina di diario, una poesia e qualcuno dovrebbe poter raccogliere questo messaggio.
L’esperienza della scrittura di sé necessita di rituali e momenti imprescindibili senza cui non si compie la sfida contro l’oblio lancinante.
Una delle condizioni per scrivere è la solitudine.
La solitudine è la capacità di apprezzare e sopportare la relazione interiore, intima con il proprio sé, l’anima dei conflitti, le paure, le angosce, i travagli penosi del vivere, le narcisistiche aspirazioni patetiche di sopravvivenza al tempo, all’inesorabile trascorrere degli eventi, alla devastante dimenticanza che imperversa la realtà postmoderna. A volte ci si alza dalla scrivania, nella stanza dei ricordi e delle viscerali solitudini, con l’impressione che il mondo interiore abbia più significato di quello reale. Lo stare soli è condizione e convinzione per cui tutto il nostro lavoro creativo non è qualcosa che viene insegnato, ma tragicamente conquistato: la gente troppo spesso evita la solitudine che non viene considerata una necessaria pratica umana, un valore intenso. Chi non evita di stare solo, in rapporto con la propria interiorità, si incontra inevitabilmente con la scrittura, con l’esigenza di divenire altro da sé, di dare forme alle immagini di un passato spesso doloroso.

Si può anche mettere in luce che il racconto di sé evidenzia e suscita il cambiamento, in quanto la narrazione della propria vita è un laboratorio di creazione e attribuzione di senso e di significati da cui parte una trasformazione quale opportunità di crescita.

La scrittura di sé, della propria storia di vita o autobiografismo (dal greco AUTOBIOGRAFE’ consiste essenzialmente in una pratica pedagogica, comunicativa, di lunga tradizione, già utilizzata, in tempi antichi da Marco Aurelio, S. Agostino, Pascal, Rousseau ed, in seguito, anche da tutta la letteratura femminile relativa alla tematica di emancipazione della donna nel ‘900 (Cfr. De Beauvoir, Cardinal, Aleramo, Weil).
Il metodo (auto)biografico inizia a svilupparsi come corrente educativa, in situazioni di grande povertà e miseria esistenziale, intorno alla figura dello studioso Paulo Freire, che approntava una nuova pedagogia sociale, “della strada”, raccogliendo e utilizzando le tragiche storie di vita dei campesinos nelle favelas brasiliane (anni ‘60 e ’70). Letteratura personale attiva, racconto in prima persona è l’autobiografia (dal greco), oppure letteratura personale passiva o biografia, quando gli autori scrivono storie di vita altrui.
Il racconto, la narrazione della personale storia di vita emancipa il soggetto da ogni rischio di manipolazione, di “revisionismo storico” della propria esistenza. L’autobiografia risulta un metodo pedagogico ricognitivo che pone una storia di fronte al legittimo autore, ricostruendo e rimembrando una memoria personale, nel desiderio di autorappresentazione che genera uno specchio di eventi condivisi da altri. Il segreto dell’altruità e alterità a cui attende il biografo consiste nella capacità di essere nel “qui e ora” e nei topoi del passato, ingenerando e suscitando la reminescenza di sé (anamnesi), in una prospettiva di bi-locazione cognitiva: capacità di scoprirsi dotati della possibilità di “dividersi senza perdersi”, nel rimembrare ri-evocativo degli eventi. L’autobiografia non rappresenta solo la sede del ritorno a ciò che si è stati in passato, ma il desiderio di nuove esplorazioni nei meandri dell’esistenza, dove la memoria risulta depositaria dell’esperienza, consentendo al ri-cordo di prendere forma.
La narrazione di sé consiste in un metodo cognitivo che include la memoria, la reminescenza nella prospettiva di percorso auto ed etero-educativo per una autodidattica dell’intelligenza, nel cui ambito la retrospezione attua un’educazione della mente attraverso il pensiero attivo, evolutivo, prima condizione per un lavoro di scavo interiore, introspettivo.
Raccontare la propria biografia educativa, in una nuova prospettiva didattica dell’intelligenza, attraverso il metodo autobiografico finalizzato allo sviluppo cognitivo del discente (soggetto), significa riappropriarsi di un personale potere autoformativo (facoltà di dominio), confrontando, anche in ambito scolastico, le esperienze di educazione istituzionale con processi di autoformazione, emergenti da diversi tipi di legame emotivo/affettivo con gli altri, le cose, se stessi.
L’autobiografia educativa possiede un valore regolativo, perché esplicita al soggetto narrante le modalità per cui ha acquisito, tramite processi cognitivi di apprendimento, nozioni e capacità (apprendimento cognitivo). L’autonarrazione risulta una presa di distanza per rivedere e verificare lo sviluppo evolutivo personale e raccontarlo all’alterità/altruità, in una prospettiva di riappropriazione della responsabilizzazione individuale rispetto alla propria autoformazione.

4. Le storie di vita hanno anche un valore pedagogico e terapeutico per gli individui che fanno tali narrazioni. Potrebbe illustrare meglio questa convinzione?

La narrazione autobiografica evidenzia esplicitamente il suo potere curativo in quanto rappresenta un efficace strumento terapeutico, educativo e formativo utilizzabile con diverse tipologie d’utenza. L’esigenza dell’intimo racconto di sé scaturisce molte volte dal disagio e dalla sofferenza esistenziali e anche a livello psichico, che sfocia con l’aiuto della parola in una rielaborazione mentale medicamentosa rispetto al dolore interiore. Uno psichiatra americano, Polster, si è occupato della narrazione autobiografica e del racconto orale quale efficace strumento e veicolo emozionale utile per “scaricare l’energia accumulata” (Polster, 1988). Ogni individuo per recuperare l’equilibrio originario necessita di sublimare le emozioni intense quali il dolore, la rabbia, la paura, ma anche l’euforia per espellerle nell’ambiente esterno (esosistema) al fine di ricondurre il soggetto alla stasi iniziale, ossia allo stato omeostatico in cui si potevano evitare scompensi vivendo all’interno di un calibrato distacco emotivo. La narrazione del proprio percorso esistenziale anche all’interno di un processo di crescita concede di sfogare e sublimare stati d’animo, le emozioni, i sentimenti che spesso non è possibile esprimere, in quanto caratterizzati in semantiche negative e riprovevoli, come l’odio e l’invidia. Risulta dunque utile e necessario insistere sull’espressione dei propri sentimenti più intensi e profondi non solo per allentare la tensione, ma anche per riconoscere le proprie pulsioni e raggiungere una più intima consapevolezza ed accettazione della propria personalità. L’azione confortante arrecata dalla narrazione consiste nella potenzialità di esteriorizzare le difficoltà implicite (White, 1992) in una condizione liberatoria scaturita dall’espulsione simbolica dei fantasmi interiori, in quanto il racconto ingenera la necessaria presa di distanza, indispensabile all’accettazione e all’elaborazione dei vissuti dolorosi e problematici. In questo senso si verifica spesso nei racconti autobiografici l’uso della terza persona e la frequenza di analogie, metafore, eteronomi che costellano le narrazioni personali, come strategie per dualizzarsi e sdoppiarsi, divenendo altri da sé, proiettando simbolicamente il disagio e il dolore intimi e personali su figure vissute come sdoppiamento del narratore. Tanti racconti drammatici manifestano una spiccata qualità teatrale riconducibile nello specifico al processo proiettivo di distanziamento tramite la catarsi autobiografica, nella realizzazione di un equilibrio interiore benefico. L’aspetto lenitivo del raccontarsi non dipende dall’ambiente contestuale circostante, ma trae fonte diretta dall’autore stesso, in qualità di artefice ed attore, che agisce in modalità spontanee.

L’autobiografia, come tutte le forme di racconto di sé, è sempre un’ermeneutica dell’esistente, rappresenta la possibilità di comunicare con le varie identità, a livello individuale, e recuperare, riappropriandosene, la storia di sé, per vivere meglio le diversità intersoggettive, con se stessi, per gli altri. Comprende l’atto simbolico ma effettivo del donare e riconsegnare al presente, per affrontare il futuro con rinnovata consapevolezza, le tracce, i segni dei tempi, di una memoria storica collettiva quasi scomparsa: la vita della comunità, formata di tante singole storie di vita, riesumate tramite la “pedagogia della memoria”, per ricostruire e recuperare un’identità a livello individuale, locale, nazionale, globale dalla complessità ontologica dell’esistente, nella consapevolezza di un più esteso concetto di educazione e cultura militante.
La personale dimensione interiore, sempre fonte di nuova ricerca autobiografica, deve essere prima di tutto coltivata individualmente ed autogestita consapevolmente, per poi essere ripartecipata e risocializzata, scoprendo così che l’origine della propria vita, la matrice dell’esistenza personale, il vero “luogo natio” è quello dove sempre ognuno presta uno sguardo consapevole nella dimensione interiore, individuale del sé.

L’educazione interiore risale, da un’antica tradizione ascetica, agli sviluppi più recenti della psicanalisi. In pedagogia si è smarrita la dimensione che si rivolge allo studio e all’analisi dell’interiorità, dell’anima (in accezione junghiana) e di tutto quanto è recondito nelle istanze dell’inconscio. Attualmente le scienze dell’educazione volgono la propria attenzione ad una pratica dal retaggio remoto: l’autobiografia, quale libera e spontanea anamnesi della vita. L’autobiografia nasce come genere letterario, fino ad approdare, in chiave pedagogica, a molteplici sviluppi di carattere psicosociale, attraverso la considerazione ed analisi emotiva di storie di vita (biografie), giungendo a porsi all’attenzione accademica e ai più svariati esiti psicopedagogici, come chiave di espressione dell’interiorità e porta di accesso ad una dimensione nascosta dell’anima, per riscoprire quella dimensione più genuina, creativa e meditativa legata al mondo intrapsichico dell’immaginario.
L’educazione interiore non è soltanto un percorso ascetico e spirituale, ma quale pratica di contemplazione, meditazione e autoriflessione, costituisce, laicamente, un programma che uomini e donne hanno sempre intrapreso e perseguito al fine di sviluppare le potenzialità del pensiero introspettivo, per poi ampliare l’acume intellettivo, giungendo ad un contatto più stretto, ad un rapporto più viscerale e sentito con il proprio sé e creare, plasmare, un io più emancipato, maggiormente predisposto alle interrelazioni, sviluppando rapporti profondi e proficui con le persone. Attraverso l’esplorazione di un’autobiografia, ogni individuo che intraprende il percorso di conoscenza del proprio sé giunge a recuperare una maggiore attenzione per la dimensione affettiva di moti emozionali latenti e ad arricchire l’immaginazione creativa. Il testo si rivolge agli operatori sociali, agli educatori, agli insegnanti e a tutti quanti pongono alla base delle dinamiche educative l’importanza del ritorno a se stessi, del rimembrare degli eventi nell’introspezione, nella narrazione di sé e autobiografica, per creare nelle istituzioni, negli ambiti predisposti alla diffusione di cultura e alla pratica educativa, un ampio margine di riflessione, da parte di ogni individuo, sulla propria storia, l’esistenza, analizzando le vicende belle o tristi o dolorose, rivivendo frustrazioni affettive o gioie d’amore, ripercorrendo successi o insuccessi formativi ed emotivi, riscoprendo ansie, delusioni, felicità piccole e grandi e tutte le amenità del vivere quotidiano. Dunque questo stimolo culturale volto al recupero del proprio mondo interiore dovrà investire gli spazi della cultura e dell’educazione per creare molteplici agorà di riflessione, al fine di permettere alle persone di “sentirsi persone” di nuovo con la ripartecipazione di se stessi con gli altri. In contesti esistenziali dove prevale la logica schiacciante del pensiero unico con i miti del successo e dell’effimero, con il primato dell’economico, in metropoli che diventano lo specchio decadente di un ormai fatiscente capitalismo ed un erroneo progresso, occorrerebbe il rilancio del senso della polis e della piazza. Ma per ritornare a questo è giunto il momento di ripensarsi, riesplorare gli errori e le inquietudini di ogni singolo, per recuperare un senso collettivo e globale dell’essere in questo mondo.

5. Quindi la narrazione di sé non è solo un modo di dirsi, ma è un modo di comunicare e perfino di ‘dare’ in un’ottica di relazioni d’aiuto o nelle relazioni intergenerazionali, ad esempio?

La memoria riconferma l’identità rendendole legittimamente verità, dignità, giustizia: pertanto una forte identità suffragata dal ricordo, tramite il racconto in relazione con gli altri, rievocativo degli eventi vissuti, rafforza la memoria individuale inserita tramite nessi interrelazionali. “La ricerca del proprio passato nelle radici del tempo può fungere da coadiuvante per illuminare il presente e la narrazione dell’attualità quotidiana permette di rivalutare il passato sotto un’altra ottica e visuale. L’introspezione autobiografica lancia uno sguardo aereo attraverso i meandri stretti, le ampie radure, le discese aspre, gli orizzonti rasserenanti delle nostre esistenze, che permette di conferire un senso globale, un ampio significato allo scenario complesso della vita, facilitando la comprensione dei nessi interconnessi, i significati profondi e reconditi, sfuggiti o non ancora compresi e accettati.

La memoria è una mappa per orientarsi tra passato, presente e futuro. Senza la memoria non esiste scansione storica, non ci si connette al passato ma neanche al futuro, non esiste il prezzo del senso della vita e questo fenomeno accade nelle società in crisi che cambiano radicalmente i parametri della vita collettiva. La memoria rappresenta per colui che racconta la ricerca del senso di un fatto accaduto nel passato in base alle indicazioni del presente: questo è di grande stimolo dal punto di vista della didattica della storia. Quando i giovani si rivolgono ad adulti o ad anziani per sentirsi raccontare dei fatti accaduti in un passato prossimo o remoto della storia del nostro secolo, essi stessi cercano e vogliono attribuire senso alla propria vita ed esistenza trovando radici, matrici di significato in ciò che è stato ed è accaduto, agli eventi della storia individuale e collettiva che li ha causati direttamente, a tutti gli effetti. Così, la promozione del racconto della memoria in una comunità è atto culturale e antropologico, per le persone che raccontano non meno che per quelle che oggi e domani potranno leggere e ritrovare, in quelle righe, tracce di identità e indicazioni di percorsi costruttivi di identità e interpretativi della storia.

Il metodo pedagogico della narrazione di sé e dell’autobiografia costituisce un approccio educativo sostanziale ed efficace all’interno dei contesti dove si presenta l’esigenza di instaurare relazioni d’aiuto tramite il racconto o la scrittura della personale storia di vita. Gli educatori auto(bio)grafi applicano tale metodologia comunicativa soprattutto all’interno dei luoghi adibiti all’educazione, come i servizi per l’infanzia, la scuola, la famiglia o nell’ambito della strada dove si presentano difficoltà esistenziali profonde legate all’adolescenza in disagio. Il porsi in atteggiamento di apertura comunicativa rispetto all’altro e in modalità di ascolto, è una posizione attitudinale di tipo pedagogico o meglio, soprattutto, un ruolo etico che instaura dinamiche relazionali con la facoltà di modificare e migliorare uno status mentale, un comportamento, un modo di essere. L’azione del raccontarsi stimola sempre nuovi processi cognitivi, inusuali capacità analitiche ed osservative, aprendo lo sguardo verso un passato spesso costellato da disagio, da dolore, da frustrazione. Il recupero pedagogico avviene sul fronte della presa di coscienza di una rinnovata consapevolezza di sé, della propria identità, del proprio vissuto, del passato personale, non limitandosi ad un approccio psicanalitico, con cui si riscontrano similitudini, ma focalizzando le problematiche sul soggetto che in prima persona scrive di sé, e da sé ed in sé trova le risorse per raccontare la difficoltà e il disagio reconditi nelle cause primarie, per poi comunicare ad “altri” la personale autoanalisi o meglio autobiografia e racconto interiore. Tramite il lavoro autografo, l’allievo, il ragazzo, la persona può decidere anche solo di tenere lo scritto come valore insito e nascosto nel piacere di scrivere le proprie esperienze e riflessioni, e tutta la personale storia di vita, solo per sé.
Nel contesto storico attuale, costellato di odi razziali e xenofobie pretestuose, di intolleranze etniche e religiose, con il cui vessillo, ostentato in nome della difesa e della protezione dell’occidente “superiore”, si erigono muri e barriere di odio e intolleranza, di guerra e di pregiudizio misantropo, si vuole offuscare il valore precipuo ed imprescindibile del dialogo, del confronto e quindi il significato umanistico ed il senso profondamente etico e culturale del raccontarsi, del narrare, del ripensarsi, dello stare insieme, in quanto ogni individuo ha un valore in sé e per sé. Il valore del dialogo interiore, dell’importanza dell’analisi del vissuto individuale e dell’inconscio, sono fattori introdotti dal metodo psicanalitico agli inizi del ‘900 che aprì le porte alla libertà di pensiero dell’analisi degli aspetti più ancestrali della mente umana, al valore dell’indagine del disagio della civiltà e dell’umanità, alla luce della libertà e della felicità, contro i nazionalismi imperanti, gli sciovinismi, il militarismo della società e l’imperialismo coloniale (ma non solo) e contro il concetto di autoritarismo che unito alla militarizzazione delle masse infervorava le menti calcolatrici degli alti gerarchi delle nazioni europee, all’origine degli orrori che il ‘900 riverserà sul mondo e su tutta la società

6. Si può affermare che raccontare la propria esperienza è ‘femminile’? Le comunità di donne consacrate, come possono ricevere dall’utilizzo della narrativa e come possono ugualmente usare il racconto di sé per trasmettere, o perfino ‘generare’?

Certamente la donna ha con il genere letterario delle storie di vita una relazione…… . La scrittura di sé, la poesia, la narrazione, secondo l’apporto e contributo autobiografico, attraverso la pedagogia della memoria narrativa del passato, della storia risultano pratiche creative che costituiscono notevoli e significative occasioni di interiorizzazione di valori intergenerazionali e di introspezione, dove la forza motrice dell’educazione consista nell’innestare lo stimolo del recupero e della rivalutazione di una risorsa interiore, di una forma mentis creativa e ricreativa, catartica perché rigenerante, nel risveglio di una coscienza personale, individuale, di cui ogni storia costituisce un’esperienza, una vita ed un dialogo interiori che possano riunire, fare incontrare, in comunità, in affinità, per recuperare il proprio sé, per ritrovarsi soggettivamente ed individualmente, imparando a tollerare ed elaborare condizioni inevitabili di solitudine esistenziale, pur appartenendo ad un insieme.

Così noi donne interagiamo, operiamo, in una piccola realtà, in un definito e delimitato luogo dell’educazione, in situazioni molto circoscritte che ci appassionano, rovistando nelle minuscole dimensioni dell’agire quotidiano, in cui “educazione e vita” si compenetrano. Impariamo, con atteggiamenti scrutatori, quanto l’esistenza possa essere educativa e, al contempo, diseducativa, portandoci ad apprendere e disapprendere, consentendoci di gettare qualche sguardo in più sui grandi scenari socio culturali, ma soprattutto di riflettere e considerare, ri-cordando e rammentando, la nostra vita quotidiana, nell’ambito della nostra storia soggettiva, continuamente in crescita, con il ritorno su di sé, attraverso il ri-membrare degli eventi. Questo implica un concetto di autoformazione, di autoriflessività e occasione di apprendere e conoscere, durante il corso della vita e dell’esperienza, in relazione ai fatti quotidiani o ai continua apicali, alla nascita, alla morte, come alle vicende esistenziali grandiose o povere che ciascuno di noi vive. Si tratta di coltivare una propria biografia e di interrogarsi su quanto, nel nostro piccolo, nel quotidiano, negli interstizi dell'esistenza, nelle situazioni anche marginali, possiamo cogliere come esperienza potenzialmente educativa. Gli ampi scenari analitici e critici dell'universo femminile, rappresentati nelle ricerche sopracitate, comprendono aspetti riconducibili ad un pensiero complesso che ritroviamo sintetizzato nella nostra quotidianità, nelle nostre relazioni con ogni entità, in una dimensione più piccola, più quotidiana e minuscola, appunto micropedagogica, dell’educazione, ma non per questo meno importante. La via dell’introspezione, dell’analisi e del dominio di sé, della ricerca di qualcosa che è sfuggente, nella nostra quotidianità, è per tutti noi, uomini e donne, fonte di autoformazione.
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7. Scalabriniane nel mondo continuerà a pubblicare testi di storia e di vita delle suore mscs. Quali sono gli aspetti importanti a considerare nella stesura di un testo narrativo che voglia essere valorizzato come storia di vita?

La tematica del rapporto e della relazione influenza in modo specifico l’approccio pedagogico ed educativo perché conduce ad interventi didattici e disciplinari, ma soprattutto relazionali e comportamentali che conducano alla maturazione di concezioni e di modi di essere, di fare e di pensare alternativi a determinati stili tradizionali imposti dalla cultura dominante. Infatti l’educazione alla Pace si basa su modelli e modalità relazionali basati sulla fiducia e non sul potere, sul dialogo, sul confronto e l’interscambio di opinioni, aprendo un percorso innovativo a livello di rapporti, di metodi e di contenuti, valorizzando un’impostazione complessiva di codeste tematiche all’interno dei curricoli e dei processi formativi. La psicologia dell’età evolutiva presenta inevitabilmente riflessioni riguardanti i rapporti affettivi e relazionali che ci caratterizzano dalla prima infanzia, basati su dinamiche relazionali e comportamentali come la capacità di comunicare, la conoscenza di sé e degli altri, la capacità di cooperare, la fiducia in sé e negli altri e la propensione alla risoluzione delle dinamiche conflittuali.

Il primo aspetto a considerare è che la memoria è soggetta all’oblio del tempo, a cancellazione e rimozione: è continuamente manipolata. Chi plasma oggi la memoria collettiva? Si oscilla tra l’opinione che non esista memoria o che è partorita dai media. Anche se più che memoria i media generano un senso comune condiviso. La costruzione di memoria richiede necessariamente un intreccio interpersonale, mentre i mezzi di comunicazione di massa compiono un’operazione autoritaria, perché il messaggio risulta univoco e con cui non si può interferire ed interagire: è un contenuto non partecipato dialogicamente, dialetticamente, attraverso l’interazione relazionale e razionale tra soggetti”, come invece potrebbe essere un’attività di narrazione di sé all’interno di un’istituzione, come fa Scalabriniane nel mondo.

La memoria collettiva deve andare di pari passo con il ricordo rimemorativo individuale con la presa di coscienza di possedere una personalità inserita nel mondo, attrice protagonista della Storia dei tempi, degli eventi intessuti da uomini, attraverso il recupero della dignità della narrazione del sé, tramite il discorso autobiografico. La narrazione di sé favorisce all’individuo in causa a interpretare e valorizzare la personale esistenza in modalità artistiche e potenzialità creative, imparando a riflettere, a cogliere ed elaborare, in modo spontaneo, i nessi, i collegamenti, gli intrecci, le interconnessioni e i legami tra gli eventi.

Se Scalabriniane nel mondo favorisce un tale processo, starà partecipando a ………. E quindi il suo lavoro va soltanto incoraggiato.

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