L’Italia è la culla del diritto, il paese delle mille leggi,leggine, regolamenti.
Ma in questa intricata selva normativa, il caso di Eluana Englaro è servito a far risaltare la mancanza di una legge sul fine vita.
La omissione in cui è incorso il legislatore, è paradossale: la legge nel nostro Paese disciplina ogni aspetto della vita umana ma, si dimentica colposamente di legiferare su un tema di così grande rilevanza come quello relativo allo stato vegetativo permanente.
Sul testamento biologico è impegnata in questi giorni la commissione Sanità di Palazzo Madama che sta esaminando un disegno di legge in materia che ha come relatore il pidiellino Raffaele Calabrò.
Per testamento biologico si intende un documento, scritto, finalizzato a garantire il rispetto della volontà di un soggetto in materia di trattamenti medici nel caso in cui non sia in grado di comunicarla a causa dell’infermità.
Uno dei principi cardini del provvedimento è quello che stabilisce come “nutrizione” e “idratazione” non possono essere oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento(Dat), da parte del soggetto, in quanto atti eticamente e deontologicamente dovuti, in quanto forme di sostegno vitale, la cui sospensione configurerebbe un’ipotesi di eutanasia passiva.
I capisaldi della Dat sono poi fissati in 10 articoli a partire dal principio che si riconosce il diritto alla vita come inviolabile e indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui il titolare non sia più in grado di intendere e di volere.
Un altro punto riguarda la libertà del medico che non deve limitarsi a eseguire meccanicamente le richieste del paziente, ma ha l’obbligo morale di valutarne l’attualità in relazione alla situazione clinica e ai nuovi sviluppi scientifici.
Il testo del provvedimento precisa poi che il soggetto può esprimere orientamenti sull’attivazione e non attivazione di specifici trattamenti sanitari, ma non può inserire dichiarazioni finalizzate all’eutanasia attiva o omissiva, e che la Dat non è né obbligatoria né vincolante per il medico che ha in cura il paziente.
La dichiarazione è raccolta da un notaio, a titolo gratuito, è sottoscritta da un medico,ed ha validità triennale e può essere rinnovata, revocata o modificata.
E’ prevista anche la figura di un fiduciario che opera per far conoscere le intenzioni di chi ha sottoscritto la Dat.
In caso di contrasti sul trattamento sanitario, decide il giudice tutelare.
Difende il disegno di legge la maggioranza che fa quadrato intorno al testo. Si spacca invece il PD, che con il senatore Marino, contesta il provvedimento bocciandolo perché lontano dalle sofferenze dei pazienti.
Marino inoltre avverte che qualora il provvedimento dovesse essere trasformato in legge porterà a un enorme numero di conflitti, sia nei tribunali che davanti alla Corte costituzionale.
Altri nove senatori democratici lo giudicano invece come una buona sintesi che coniuga la difesa della vita e la libertà della persona.
Va segnalato infine il voto favorevole di Francesco Rutelli al documento proposto dal centrodestra, che ha prodotto uno strappo all’interno del partito guidato da Walter Veltroni.
Guardando in casa d’altri, si registra, tra i Paesi dell’UE che in Gran Bretagna il testamento biologico è possibile dal 1993. In mancanza di una dichiarazione scritta, i medici possono interrompere le cure.
Anche in Spagna la dichiarazione esiste dal 2003. Se non esiste un testamento ogni decisione è presa da un rappresentante del malato.
In Francia è in vigore dal 2005 e a decidere, in mancanza, sono invece i medici.
In Germania infine decide il giudice tutelare, sempre che non esista un testamento scritto.