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I Diari di Artom

Nel panorama della letteratura resistenziale l'importanza particolare dei diari di Emanuele Artom (Bollati Boringhieri, 2008) sta nel fatto che essi furono scritti giorno per giorno sotto l'impressione immediata degli eventi, con una partecipazione ed una sofferenza quotidiana, in modo estremamente critico e disincantato, sovente anche cinico.

di Sandro Pedroli

Dopo la guerra di liberazione e fino a tutti gli anni 60 fu un fiorire di pubblicazioni, memorie, diari, lettere di ex-partigiani. Il difetto della maggioranza di questi contributi fu di venir scritti ancora sull'onda della memoria e dettati dall'euforia e dall `illusione di aver conquistato un avvenire di libertà. Le sofferenze, i conflitti, le incomprensioni, le tensioni, si addolcivano sotto il velo di un romantico entusiasmo ed autocompiacimento.
L'importanza particolare dei diari di Emanuele Artom (Bollati Boringhieri – 2008) sta nel fatto che essi furono scritti giorno per giorno sotto l'impressione immediata degli eventi, con una partecipazione ed una sofferenza quotidiana, in modo estremamente critico e disincantato, sovente anche cinico.
Due eventi quasi contemporanei contribuirono a formare la forte personalità di Emanuele Artom: la morte del fratello di cinque anni più giovane per un incidente di montagna nel 1940, e l'inasprirsi delle leggi razziali. La famiglia era profondamente inserita nella cultura ebraica della buona borghesia torinese. Per Emanuele le leggi razziali giungono come un incomprensibile fulmine a ciel sereno. Proprio il trauma delle leggi razziali fa scoprire ad Artom la sua “ebraicità” che col passare del tempo
si fa sempre più militante. In seguito all'esclusione degli ebrei dalle scuole del regno, accanto alla sinagoga di Torino, si apre una scuola privata in cui Artom ha un ruolo importante, insegnando pure l'ebraico.
L'allontanamento di alcuni amici, il restringersi dei contatti, induriscono
sempre più il suo carattere come si constata nel suo diario, iniziato il primo gennaio del 1940, a 25 anni.
Nel settembre del 1943 ha 28 anni. Fin dai primi giorni partecipa alla resistenza: ci va in uno slancio di fede ma senza illusioni e già nella prima pagina del suo periodo partigiano scrive “Bisogna scrivere questi fatti perché fra qualche decennio una nuova rettorica patriottarda o pseudoliberale non venga a esaltare le formazioni di purissimi eroi: siamo quel che siamo” Questo atteggiamento critico, scettico, sovente acido. molte volte ingiusto, lo accompagnerà fino all'estremo sacrificio. Appartenente a “Giustizia e Libertà” venne dislocato a Barge fra la brigate garibaldine
quale uomo di collegamento. La sua critica dei comunisti è impietosa: ne ammira la fede cieca, ma non ha nessuna tolleranza per la loro ignoranza, con la supponenza tipica dell'intellettuale. Accetta di buon grado i notevoli sacrifici fisici, meno le delusioni ideologiche.
Ritornato fra i G.L. in Val Pellice cerca di migliorarne l'organizzazione (anche se in realtà furono fra le più efficienti formazioni, con un ottimo addentellato con la popolazione locale), sovente in urto coi comandanti ma sempre pronto per le operazioni più rischiose. E proprio in occasione di una di queste azioni, il 25 marzo 1944, denunciato da una spia cui aveva salvato la vita, venne arrestato dalle SS italiane. Pochi giorni dopo morì in seguito alle terribili torture.
Il suo diario è un compendio di amore per gli ideali, ma estremamente critico Specchio di un perfezionista che si illude di condurre tutto sui binari della perfezione e dell'efficienza ma che letto con un occhio critico può dare un'idea di quello che è stata la lotta partigiana giorno per giorno, con tutti i suoi problemi.

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