L’ITALIA NON VA, AFFERMA L’AMBASCIATORE USA RONALD SPOGLI

Il Rapporto Eurispes 2008 sullo stato del Paese conferma di netto il giudizio del diplomatico
di Goffredo Palmerini

L’AQUILA – “Il re è nudo!” Non c’è chi non ricordi quella fiaba danese di Hans Christian Andersen dove si racconta d’un re vanitoso che, convinto d’indossare un meraviglioso abito invisibile, sfila nudo tra la folla tra l’ipocrisia dei cortigiani e dei sudditi, i quali ne lodano l’abbigliamento e per conformismo si comportano come nulla fosse. Fino a quando un bimbo non esclama gridando la nudità del sovrano, richiamando tutti alla cruda realtà. Questa volta, parlando dello stato in cui versa l’Italia, questo ruolo non è toccato ad un bambino, ma all’ambasciatore Usa Ronald Spogli, in occasione del congedo al termine della sua missione diplomatica, salutando la stampa prima di far ritorno in California. Dunque, non l’ambiente fantastico e rarefatto d’una fiaba la scena per le sue affermazioni, ma la splendida Villa Taverna, situata nel cuore di Roma, dal 1933 residenza privata degli ambasciatori degli Stati Uniti in Italia. La residenza sorge su un’area dov’era un tempo una vigna denominata “Pariola”, concessa nel 1576 al Collegio Germanico dei Gesuiti da Gregorio XIII per farvi riposare gli allievi affaticati dagli studi. Adiacente a Villa Borghese, la vigna era vestibolo alle catacombe di S. Ermete. Con la soppressione dell’ordine dei Gesuiti, nel 1773, la residenza passa al Collegio di S. Apollinare e quindi a Ludovico Taverna che, nel 1920, ne commissiona il restauro a Carlo Busiri Vici. Il complesso, di enorme valore e di rara bellezza, ha ospitato in molte occasioni i Presidenti degli Stati Uniti in visita in Italia e può vantare uno dei giardini all’italiana più grandi e belli nel centro storico di Roma.
Figlio di genitori italo-americani (la famiglia paterna è originaria di Gubbio), Ronald Spogli ha fatto gli studi alla Stanford University, master ad Harvard, e quindi tre anni, a Firenze. E’ tornato poi in Italia per assolvervi le impegnative e prestigiose funzioni diplomatiche. L’ambasciatore ama profondamente l’Italia. Forse questa è la ragione più vera per disattendere le felpate abitudini dialettiche tipiche della diplomazia ed esternare invece una valutazione, irrituale quanto si voglia ma assolutamente franca, sullo stato del nostro Paese e della sua economia.”(…) Fin dal mio arrivo – ha affermato l’ambasciatore Spogli – ho sempre cercato di essere estremamente schietto nelle mie analisi sull’Italia, al punto tale che una volta un giornale mi ha definito “l’ambasciatore che porta pena”. Coloro che mi conoscono bene, sanno però che nutro un profondo affetto per il vostro Paese. Ogni critica è sempre stata scandita nel massimo rispetto per la terra dei miei avi. È con questo approccio che oggi vorrei congedarmi, esponendovi alcune considerazioni sulle sfide che a mio parere attendono l’Italia. Spero che gli italiani affrontino queste sfide con spirito unitario. Ci sono chiaramente, a mio avviso, obiettivi sui quali tutti gli italiani possono convergere e sui quali è possibile ottenere un consenso nazionale e un sostegno tra i partiti, i gruppi sociali, le diverse regioni e i governi che si succederanno negli anni (…)”. E qui è cominciata la sua analisi impietosa sull’economia italiana, sullo stato dell’Italia, sulla sua bassa crescita, sulla scarsa appetibilità per gli investitori. Le cause stanno in molti problemi: una burocrazia pesante, un mercato del lavoro poco flessibile, la criminalità organizzata, la corruzione, la lentezza della giustizia, un’istruzione inadeguata ai tempi e sopra tutto una società che non premia i più meritevoli. Si stupisce, l’ambasciatore, nel non vedere negli italiani segni di reazione alla constatazione della posizione dell’Italia in fondo alle classifiche della competitività mondiale. Anche se, con piacere, nota tanti giovani che si stanno avviando nell’imprenditoria. Pesanti i ritardi nel campo dell’energia e nella diversificazione delle fonti, che una situazione d’arretratezza che ha risentito dei cambi di governo e dei capricci della politica.
Infine, la sua valutazione sul versante dell’istruzione. Scarsa la collaborazione tra università e mondo della produzione. Nei giovani Spogli afferma d’aver percepito un profondo pessimismo sul futuro. Semmai, lo vedano fuori dall’Italia. Il Paese può contare su giovani di grande talento, perderli sarebbe un vero peccato. Cosa possono dunque fare gli italiani per migliorare il loro sistema di istruzione? L’ambasciatore Spogli auspica uno sforzo politico condiviso, una grande unità d’intenti per raggiungere l’obiettivo di portare il sistema universitario italiano agli standard mondiali più alti. È una vera tragedia nazionale – questo il suo parere – molto imbarazzante che non ci sia una sola università italiana nei primi posti della classifica mondiale. Dovrebbe essere questo un obiettivo sul quale tutti gli italiani convergere, sostenuto da tutti i partiti, in un vero esempio di consenso nazionale. Fin qui, in pillole, il colloquio di Ronald Spogli con la stampa, il 5 febbraio scorso, alla vigilia della sua partenza per gli Stati Uniti. Tutti i giornali hanno riportato le dichiarazioni dell’ambasciatore americano sulla situazione italiana con titoli a tutta pagina, molti i commentatori sorpresi di tanta franchezza, inusuale in un diplomatico, sopra tutto nel rilevare come egli abbia concentrato l’analisi solo sugli aspetti critici del Paese senza riferimenti ai settori dell’eccellenza italiana. Osservazioni, quelle a commento delle dichiarazioni di Spogli, che a chi scrive sono apparse sinceramente eccessive. In ragione, appunto, del conformismo diffuso di cui soffre l’Italia di questi anni, più incline a subire la propaganda che non a ragionare, discutere, e magari poi scuotere la pubblica opinione perché esiga dai governi, nazionale e locali, comportamenti ed azioni incisive che operino con rigore per rimuovere i punti di criticità del sistema, sia politici che economici e sociali. Ecco perché le dichiarazioni dell’ambasciatore Spogli mi hanno richiamato alla memoria il bimbo che grida “Il re è nudo!” della fiaba di Andersen.
E pensare che appena due settimane fa il Rapporto Italia 2008 di Eurispes – l’Istituto di studi politici economici e sociali presieduto da Gian Maria Fara, docente alla LINK CAMPUS UNIVERSITY di Malta e alla LUMSA di Roma – con un’analisi tanto accurata quanto spietata delle nostre criticità, ha descritto lo stato dell’Italia in campo economico, sociale, politico ed istituzionale. Eppure tale Rapporto, che dovrebbe tenere per giorni sulla graticola chiunque regga le sorti del Paese fintanto che non dimostri intenzioni vere di cambiamento, è passato assai fugacemente sui mezzi d’informazione e quasi per niente nei tanti talk show dove girano i politici, sempre gli stessi, il più delle volte per gridarsi reciproci insulti anziché parlare, in un confronto costruttivo di posizioni e di scelte, sui problemi più urgenti da risolvere per gli italiani e per l’Italia. D’altronde, all’attuale classe politica e parlamentare italiana, selezionata per cooptazione da ristrette oligarchie di partito – i Parlamentari da due legislature, sparita per gli elettori la possibilità d’esprimere preferenze, vengono nominati più che eletti – conviene farsi scivolare addosso rapporti del genere, siano essi di Eurispes o del Censis, e tirare a campare in quel conformismo che rischia d’uccidere il senso d’una sana democrazia e, in fondo, il Paese stesso.
Non conviene, appunto, riflettere sul fatto che nel 2008 in quasi la metà degli italiani (49, 6%) è calata sensibilmente la fiducia nelle Istituzioni, mentre decisamente negativi sono i risultati che riguardano il Governo, nel quale solo un quarto dei cittadini (25,1%) ripone la fiducia, quantunque il Capo del Governo sventoli per sé percentuali di consenso quasi bulgare. Come altrettanto in caduta libera è la fiducia verso i partiti d’opposizione. Solo il Presidente della Repubblica, tra le figure istituzionali, gode dell’apprezzamento della maggioranza dei cittadini (58,5%), sebbene anche questo dato sia in un anno sceso di cinque punti. Avrebbero, questi dati, dovuto consigliare riflessione e prudenza, specie in questi giorni. Invece, sul caso drammatico d’una giovane da 17 anni in coma, oggetto d’una sentenza della Corte di Cassazione, al quale ci si sarebbe dovuto rispetto, malamente è stato acceso un conflitto istituzionale proprio verso il Capo dello Stato per aver egli esercitato le sue prerogative costituzionali e di garante della separazione dei poteri rifiutando di firmare un decreto del Governo. Certo, quel caso ha scosso tutte le coscienze. E tuttavia materie così delicate e complesse sul piano etico non si risolvono sull’onda più o meno sincera delle emozioni, ma con la volontà di affrontare la questione del testamento biologico in Parlamento – dove proposte di legge da tempo ristagnano – ricercando il più ampio consenso. Infine, in tema di fiducia degli italiani, cresce verso la magistratura (42,5%), nonostante in questi anni si sia fatto di tutto per abbatterla, piuttosto che incidere sui problemi della giustizia con riforme strutturali che snelliscano tempi e procedure dei processi ed assicurino certezza delle pene.
Tornando al rapporto, Eurispes parla di eclissi della politica, in Italia. “La stabilità – si dice nel capitolo 4 del Rapporto – in assenza di politiche che diano ad essa contenuti e passioni, non serve il progresso di una nazione ma gli interessi di potere di un gruppo dirigente. Il potere esercita il comando senza obiettivi e senza principi, perde ogni rapporto con la realtà del Paese; diventa autoreferenziale e alla fine forma una “società separata”, con una sua lingua, le sue gazzette, i suoi clan, i suoi privilegi. Questa società ha le finestre aperte solo su se stessa (…)”. Parole come pietre, un quadro netto della condizione della politica italiana e del suo mondo chiuso, dove lo “spoil system” introdotto con la riforma Bassanini ha stremato la pubblica amministrazione e l’alta dirigenza è andata in balia degli umori dei partiti. Tutto il contrario d’un sistema d’amministrazione garantito da una burocrazia efficiente ed imparziale con regole certe ed oggettive. Sul versante politico, il rapporto parla in senso lato di “tirannide della maggioranza”, aggravata da un bipolarismo rissoso e violento, concorde solo nell’ampliare i costi per le cariche pubbliche riversati poi sui bilanci di enti ed Istituzioni. Tale situazione ha generato un esercito di finti politici, quasi mezzo milione, “la più alta percentuale per metro quadrato d’Europa”. E’ dunque necessario un ritorno alla cultura politica, perché la logica della cooptazione praticata da una ristretta cerchia di capi, senza più quella selezione assicurata dai vecchi partiti, “ha riempito il Parlamento di figure intellettualmente deboli”. E’ una verità che al sistema politico conviene oscurare, ma quanto è vera! In altri tempi, con il voto di preferenza, tanti parlamentari di oggi non avrebbero raccolto neanche i voti per essere eletti in un Consiglio provinciale. Anzi, dai partiti di allora, forse non sarebbero mai stati candidati.
E veniamo alla questioni dell’energia e dell’economia, affrontate pure dall’ambasciatore Spogli nella sua conferenza stampa di saluto. Il rapporto Eurispes fa un quadro chiaro della situazione italiana sul fronte energetico, sull’attuale difficoltà riguardo gli approvvigionamenti, anche se viene segnalato un trend positivo nell’uso di fonti rinnovabili. Ma il caso italiano rimane uno dei più problematici dell’intera area europea, in quanto l’industria del settore è capace di soddisfare solo il 15% del fabbisogno energetico interno, mentre restiamo dipendenti verso l’estero per l’85% e con una previsione in crescita nei prossimi anni. Dunque occorrono politiche coraggiose e mirate per ridurre questo gap che pesa poi notevolmente sui costi della produzione industriale. L’economia italiana, per problemi strutturali ancora irrisolti, soffre di più l’attuale fase di difficoltà mondiale. I tecnici del FMI, proprio in questi giorni, hanno stimato per l’Italia durante il 2009 una crescita negativa del -2,1%, tra le più basse rispetto ai Paesi europei. Ma il rapporto segna altre problematicità aggiuntive, quali un inadeguato sistema nazionale d’istruzione e d’innovazione, una basso livello di concorrenza nel mercato di beni e servizi, una struttura finanziaria che non incoraggia i processi di fusione per costituire imprese più grandi e competitive, una cultura giuridico amministrativa chiusa alle ragioni dell’efficienza e del mercato. In questo contesto il 78,5% degli italiani è pessimista riguardo la situazione economica che si prospetta per il 2009, solo poco più d’un terzo delle famiglie (38,2%) riesce ad arrivare a fine mese, cresce il tasso di famiglie che ricorre ai prestiti personali ed un italiano su quattro ha nel 2008 fatto ricorso al credito al consumo, mentre diminuisce la percentuale di chi riesce a risparmiare qualcosa a fine mese. Se da un lato si segnala la crescita dei nuovi poveri, e tra questi è in aumento la categoria dei “working poor” (sopra tutto giovani con basso salario), quasi 20 milioni di lavoratori sono sottopagati, a parità di prestazioni, rispetto a Francia, Germania e Gran Bretagna. Al contrario, in Italia i ricchi diventano sempre più ricchi e cresce del 98% il numero di famiglie (712 mila) che può contare su un reddito superiore al milione di euro.
Cresce anche la percezione dell’insicurezza, sempre più cittadini si dotano di armi di difesa (quattro milioni di famiglie sono armate), anche se le forze dell’ordine in Italia sono le più numerose d’Europa. Sul fronte dell’immigrazione, si conferma che il fenomeno più che governato è rincorso, come pure viene rilevata la persistenza di paure e pregiudizi, spesso ingiustificati ed alimentati, mentre è significativo il ruolo degli immigrati nel mondo della produzione. Problematici gli aspetti ambientali, specie legati al ciclo dei rifiuti che ancora segnala consistenti aree di crisi e ritardi nei sistemi di differenziazione e smaltimento, come pure nei consumi e nella distribuzione dell’acqua potabile, dove alti sono gli sprechi, sopra tutto per le perdite della rete. Ci fermiamo qui, anche se il rapporto copre altri settori d’indagine che sarebbe per ciascuno utile approfondire leggendolo integralmente. Infine, non che manchino nel rapporto gli aspetti positivi. Tra questi preferisco segnalare il rilevante ruolo del volontariato attivo in Italia, dove il 25,7% è particolarmente attivo nella società in cui vive, mentre un nocciolo duro di cittadini, il 13,7% della popolazione, sente il dovere morale e civico di operare nel sociale. Bene, basterebbe che una percentuale molto inferiore di persone fosse così nobilmente motivata negli ambienti che contano perché l’Italia, come tante altre volte nella sua storia, saprebbe ben uscire dalle sue difficoltà e tornare grande. In fondo sono fiducioso che questo accadrà.
gopalmer@hotmail.com

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