I limiti della politica "politicante"

Puntiamo sull’identità ideale liberale

Considerazioni sul prossimo Congresso nazionale del PLI
Livio Ghersi

Dal 20 al 22 febbraio 2009 si svolgerà a Roma il Congresso nazionale del PLI. Non parteciperò ai lavori congressuali, né ne avrei titolo, non essendo iscritto al Partito e non avendo intenzione di iscrivermi. La scelta di non essere presente mi ha portato a dovermi giustificare con tanti amici liberali che si sarebbero aspettati da me un comportamento diverso. Nel mio idealismo, presumo di conservare un minimo di lucidità e di realismo politico. Proprio il realismo mi porta a concludere che la mia partecipazione sarebbe perfettamente ininfluente.

Al Congresso non ci sarà spazio per discorsi di prospettiva. Temo che i lavori congressuali avranno un andamento tumultuoso. Infatti, c’è un gruppo finora rimasto esterno che ha deciso l’iscrizione in massa perché contesta la linea politica di Stefano de Luca e vuole che il PLI esca dal Congresso collegato in modo inequivoco con lo schieramento di centro-destra. E’ come se, in termini economici, venisse lanciata un’OPA ostile, per la scalata delle posizioni di comando del PLI. L’attuale gruppo dirigente, da parte sua, appare orientato ad opporsi con l’unico strumento di cui dispone: filtrare le nuove iscrizioni e rifiutarne la maggior parte, in modo che gli equilibri numerici non siano effettivamente messi a rischio.

Queste due volontà, fra loro confliggenti, inevitabilmente verranno fuori nella sede del Congresso, con tutto il prevedibile corredo di polemiche. E’ pure possibile che il vero obiettivo cui tende il tentativo di scalata del PLI sia quello di determinare commenti negativi nei giornali e negli organi di informazione, affinché la Segreteria di de Luca ne esca, comunque, delegittimata.

Nel merito della proposta di vincolare il PLI ad una alleanza «organica di centro-destra», osservo che se abitassi in Germania preferirei essere alleato della Merkel, piuttosto che dei socialdemocratici tedeschi. Ma la Merkel non è Berlusconi. Ho apprezzato il fatto che Stefano de Luca abbia avuto il coraggio politico di staccarsi dallo schieramento berlusconiano e di assumere una linea politica “di centro”, distinta ed autonoma tanto dal Partito del Popolo delle Libertà, quanto dal Partito Democratico. La circostanza che gli elettori trovino nella scheda di votazione un simbolo liberale è, di per sé, un limite ed un danno per il Partito del Popolo delle Libertà, che si vede contestata la pretesa alla rappresentanza esclusiva dell’opinione pubblica italiana di orientamento liberale. Poiché alcuni teorizzano che si debba essere «liberali-e-basta», è opportuno affrontare l’argomento delle possibili alleanze.

L’unica alleanza elettorale che io auspico è quella con i repubblicani. I repubblicani sono accomunati ai liberali da tanti punti (ne ricordo due: tradizione risorgimentale, da cui discende il riconoscimento del valore dello Stato unitario italiano; appartenenza all’ELDR in ambito europeo).

Tuttavia, un’operazione di questo tipo andrebbe presentata in modo lineare al Paese. Mi sembra che il più importante riferimento dei repubblicani italiani, il PRI, stia oggi discutendo di entrare stabilmente a fare parte del Partito del Popolo delle Libertà; cioè, non è disponibile.

Sono, invece, nettamente contrario ad un eventuale aggregazione dei “laici” (socialisti, socialdemocratici, radicali, repubblicani, liberali). In una aggregazione di quel tipo (per la quale, oggi non esistono comunque le condizioni politiche) la componente liberale sarebbe del tutto marginale. Sarebbe altrettanto marginale quanto sono marginali i liberali dichiaratamente tali all’interno del Partito Democratico. In una «lista dei laici» prevarrebbe inevitabilmente una linea politica socialista-liberale, di fatto egemonizzata da dirigenti politici socialisti. Inoltre l’unico cemento di una «lista dei laici» sarebbe l’anticlericalismo, la polemica insistita e spesso pretestuosa nei confronti della Chiesa Cattolica. E’ quanto già si è visto con l’esperienza della lista della “Rosa nel Pugno”, ossia dell’intesa fra socialisti e radicali, per la quale pure io a suo tempo votai, poi pentendomene. Si tratta di una prospettiva che personalmente non mi interessa e che ritengo anche politicamente sbagliata perché un Partito liberale quale io lo concepisco dovrebbe cercare di entrare in sintonia con un’opinione pubblica moderata, che spesso è anche di fede cattolica.

Mi sono convinto che il laicismo non sia una linea politica. Hanno pieno titolo a richiamarsi al laicismo persone che storicamente hanno incarnato le più diverse tendenze politiche. Fu laico Francesco De Sanctis, che pure ci ha insegnato ad apprezzare il ruolo anche politico di Alessandro Manzoni e della «Scuola cattolico-liberale». Furono certamente laici i più antichi dirigenti del Partito socialista, da Turati a Bissolati. Quest’ultimo strettamente collegato alla Massoneria di Palazzo Giustiniani. Fu laico Giovanni Gentile, che contestò il Concordato del 1929 e conseguentemente uscì dal Gran Consiglio del Fascismo. Fu laico Benedetto Croce, che era autenticamente rispettoso del sentimento religioso. Furono laici Gaetano Salvemini e Ernesto Rossi, i quali però erano soprattutto anticlericali. Fu laico Antonio Gramsci, che definiva Croce il «Papa laico». Ciò, ovviamente non significa che gli eredi di Gentile, di Croce, di Turati e di Gramsci abbiano motivo di ritrovarsi insieme in uno stesso partito.

L’attuale Segreteria del PLI sembra perseguire un unico obiettivo: fare sì che il Partito liberale in qualche modo (ancora non è ben chiaro se da solo, oppure in alleanza con altre formazioni) riesca ad essere presente alle prossime elezioni del Parlamento Europeo, in modo da ottenere un seggio con i resti. Operazione non facile, per due motivi: 1) perché per aspirare ad un resto nazionale occorre avere proprie liste presenti in tutte e cinque le Circoscrizioni elettorali, mentre invece, per raccogliere il prescritto numero di firme per presentare la lista in ogni circoscrizione, si richiederebbero una mobilitazione ed un impegno organizzativo davvero straordinari rispetto alle attuali dimensioni del Partito; 2) perché, essendo diminuito il numero dei rappresentanti dell’Italia in seno al Parlamento Europeo, per ottenere un seggio con i resti sarà comunque necessario ottenere molti più voti di quanti ne occorressero in passato.

Le contraddizioni che imputo alla Segreteria del PLI derivano dal suo tentativo di aggirare le predette difficoltà facendo ricorso alle tradizionali risorse della politica “politicante”. Sono personalmente molto infastidito dalla apparente disponibilità a fare accordi elettorali con chicchessia: partiti dei pensionati, gruppi e gruppuscoli ex democristiani, forse addirittura il Movimento per l’Autonomia di Lombardo. Sono contrario alla logica delle liste “raccogliticce”, piene di vecchie glorie della politica e di giovani rampanti, in cui tutti potenzialmente si possono imbarcare. Mettere insieme una variegata compagnia con l’unico obiettivo di ottenere un seggio con i resti non può certo definirsi politica di grande respiro. Una logica di questo tipo toglie qualsiasi credibilità all’azione di rilancio di una presenza politica dei Liberali in Italia.

La mia proposta è presto riassunta: puntare sull’identità ideale liberale; sforzarsi di essere credibili politicamente; lavorare per il futuro. E, per quanto riguarda le elezioni, meglio partecipare con spirito “sportivo” che fare carte false perché alla fine sia eletto qualche vecchio arnese della politica “politicante”. Se la esprimessi nella sede del Congresso, tutti la riterrebbero “impolitica”. Scontenterei i seguaci di ogni tendenza: i politici “puri”, che non vedono l’ora di rientrare nel giro che conta ed hanno la fregola di candidarsi, sognando in cuor loro un seggio di parlamentare europeo; scontenterei quanti sono fautori di una «alleanza organica» con il centro-destra; scontenterei i fautori della «lista laica», che poi sono in prevalenza filo-socialisti, o filo-radicali. Di conseguenza, meglio che resti a casa mia. Il 23 febbraio sarò comunque a Napoli per dare il mio piccolo contributo alla Scuola di Liberalismo. (Terza Repubblica)

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