Speciale export Stati Uniti/2. L’olio d’oliva è in una fase iniziale molto emozionante

Molto interesse per l’extra vergine, tanto da aver attratto investimenti considerevoli con l’obiettivo di far entrare gli Usa nell’alveo dei 10 grandi Paesi produttori in 10 anni
di Duccio Morozzo della Rocca
L’olio d’oliva è il secondo prodotto agro-alimentare maggiormente esportato dall’Italia negli Stati Uniti ma è oggi difficile fare delle stime precise sulle ripercussioni della crisi americana sui consumi di questo prodotto. La nostra moneta, da lungo tempo forte sul dollaro, ha avvantaggiato inoltre la penetrazione commerciale di tutti quei paesi che non appartengono all’area dell’euro e che hanno basato la battaglia commerciale sulla competitività di costo.

La classifica generale nel 2007, nonostante la salda leadership italiana con oltre 575 milioni di dollari di prodotto esportato, segnava per il nostro paese un calo del 4,16% dai 618 milioni di dollari del 2006 mentre positivo è stato il fatturato di molti altri paesi concorrenti nuovi come, per esempio, l’Argentina che ha totalizzato un +29,30%.

Nei primi 9 mesi del 2008 l’export italiano di olio di oliva è finalmente ripartito con un aumento delle importazioni dal nostro paese rispetto al 2007 (+6,42%) trainate da una ripresa della domanda generale. La posizione di leader di mercato dell’Italia non appare ancora essere in discussione ma i dati di forte incremento dell’import da Spagna (+30%) e Tunisia (+48%) fanno suonare un campanello d’allarme che non deve passare inascoltato.

La produzione nazionale nordamericana di olio di oliva, infine, è ad oggi ancora esigua arrivando per ora a soddisfare solo l’1% della domanda interna ma sarà bene cominciare a considerare gli Stati Uniti nostri concorrenti in un futuro molto prossimo. I massicci investimenti degli ultimi anni hanno portato gli ettari olivetati, prevalentemente impiantati secondo il sistema superintensivo spagnolo, ad aumentare in maniera esponenziale. D’altronde, l’obiettivo che si sono preposti produttori e tecnici americani è quello di entrare a far parte dei 10 grandi paesi produttori in 10 anni.

Ci siamo rivolti a Giovanni Mafodda, vice direttore dell’Ice di New York, per avere una sua opinione su questo argomento.

– Dott. Mafodda, come viene percepito oggi l’olio d’oliva italiano dai consumatori americani?
Anche nell’olio d’oliva, come nel vino, il consumatore americano assicura al prodotto italiano un’attenzione particolarissima. Nei primi 7 mesi di quest’anno i dati del dipartimento del commercio USDA parlano di una quota di mercato in crescita pari ad oltre il 58 %. Anche qui i dati sull’economia e l’attuale crisi ci impongono però di stare con il fiato sospeso.

– Quali sono gli sbagli più comuni in cui possono cadere i produttori che vogliono esportare negli Stati Uniti?
Purtroppo pensare a questo mercato come ad un mercato facile visto che, almeno finora , è stato uno tra i più ricchi se non il più ricco. E’ vero invece il contrario, proprio perché molto ricco è un mercato sul quale si concentra la migliore produzione mondiale e la concorrenza è sfrenata, non sempre in linea con la piccola dimensione della nostra impresa che non riesce sempre a dedicare le risorse necessarie ad un mercato così impegnativo.

– Esistono fiere o eventi interessanti a cui vale la pena partecipare?
Come ogni anno assicureremo la presenza di padiglioni italiani di alto livello e molto ben nutriti ai due appuntamenti fieristici principali, le due edizioni del Fancy Food a San Francisco in gennaio ed a New York in giugno.
Ad eccezione dei due eventi sopra citati, per i prodotti agro-alimentari segnalo la IDDBA.

– Ad un produttore di olio che volesse entrare in questo mercato cosa consiglierebbe?
La stessa cosa detta per il vino vale anche per l’olio. Pazienza ed il suggerimento che dopo essere riuscito nell’impresa di trovare un importatore non lo consideri un punto di arrivo della sua esperienza su questo mercato ma piuttosto un punto di partenza e di collaborazione con l’importatore stesso. Il mercato andrà tenuto ogni giorno con presenza costante e costanza di sforzi.
Infine, la presenza di molti marchi italiani rende l’ingresso nel mercato dell’olio ancora meno facile che nel settore del vino.

Tra crisi e alta competitività, il mercato dell’olio di oliva negli Stati Uniti appare dunque difficile e insicuro ma non dobbiamo dimenticare che l’America del Nord è comunque solo all’inizio della sua conoscenza con questo prodotto. Nuovi mercati si aprono nei diversi stati ogni giorno e gli USA restano dunque una tra le mete più promettenti per l’export della nostra produzione.

Darrell Corti, uno tra i maggiori conoscitori del mercato enogastronomico americano, mi raccontava pochi giorni fa in questi termini la sua allegoria della situazione dell’olio di oliva nel suo paese: “il futuro dell’olio di oliva negli Stati Uniti è bello. Siamo in una fase iniziale molto emozionante, come in un matrimonio. Poi arriverà, in seguito, un momento di stanchezza. Poi, infine, guardandoci intorno penseremo che paragonati ad altri stiamo molto meglio e diventeremo molto più felici”.

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di Duccio Morozzo della Rocca
24 Gennaio 2009 TN 3 Anno 7

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