Tremonti: un ministro tra le nuvole

Paolo Brutti

Sta succedendo quello che si temeva. Anche per i Paesi dell’Unione europea la crisi finanziaria globale si è trasformata in recessione. L'Italia ha chiuso il 2008 con una riduzione del PIL dello 0,6% e la previsione è che nel 2009 il PIL precipiterà di un altro 2%. Siamo in recessione e ci rimarremo almeno fino al 2010. Le ripercussioni si fanno già sentire duramente sul sistema produttivo e sull'occupazione. L'apparato produttivo si rimpicciolisce e calano i redditi, sia per la caduta dell'occupazione, sia per l'aumento della cassa integrazione e la difficoltà a rinnovare i contratti di lavoro. In questa condizione l'Italia rischia una recessione più profonda e più prolungata di quella degli altri Paesi maggiori dell’Unione europea.

Il ministro Tremonti, beato lui, dice che non c'è niente di cui preoccuparsi e che al massimo finiremo ai livelli del 2005. Intanto però nuovi giovani si presenteranno sul mercato del lavoro e per questi, senza una crescita della base produttiva, non c'è speranza di occupazione. Tremonti fa molta filosofia ma le azioni pratiche da lui messe in atto si rivelano poco di più che dei pannicelli caldi.

Se l'Italia si rimpicciolisce e perde ancora di produttività, alla fine del ciclo negativo ci troveremo in grande svantaggio rispetto a quei Paesi che avranno approfittato della recessione per realizzare profondi processi di ristrutturazione e di innovazione, nella produzione e nei servizi.

Se i redditi disponibili continueranno a diminuire in modo strutturale, verrà intaccato anche il risparmio delle famiglie e si allontanerà la prospettiva di una ripresa dei consumi. In un quadro di questo tipo che senso ha concentrare gli interventi sulla defiscalizzazione degli straordinari, che si stanno quasi azzerando, sulla riforma del sistema contrattuale, mentre i contratti non si rinnovano o sull'aumento dell'età di pensionamento di vecchiaia per le donne, che di per sé riduce fortemente il turn over?

Servono, invece misure più semplici e più incisive.

Innanzitutto bisogna provvedere ad un aumento delle risorse per gli ammortizzatori sociali, insieme ad una loro estensione alle diverse forme di occupazione e un collegamento tra l'accesso delle imprese agli ammortizzatori sociali e piani di investimento volti all'innovazione produttiva e alla diversificazione. Il ministro Sacconi parla di una nuova disponibilità di risorse per gli ammortizzatori sociali, ma non dice da dove verranno prese. Tremonti fa capire che dovranno venire dalle regioni, con la conversione a questo scopo del Fondo sociale europeo per la formazione professionale. In questo caso non si tratterebbe di risorse aggiuntive e vedo molto difficile un accordo con le regioni per far gestire i loro fondi al ministero del Lavoro.

In secondo luogo è necessario un sostegno ai redditi mediante la restituzione del fiscal drag, l'aumento del sussidio di disoccupazione e la detassazione degli ammortizzatori sociali. E' paradossale che lo Stato intervenga per sostenere il reddito di chi perde il lavoro e poi glielo decurti con le tasse. E' da riflettere se invece che la detassazione degli straordinari non convenga pensare alla detassazione degli aumenti contrattuali nazionali e aziendali, legati alla produttività.

In terzo luogo bisogna mettere a punto un piano di opere pubbliche immediatamente cantierabili, facendo leva sugli investimenti promessi, con impegni solenni e vincolati alle tariffe, dai concessionari privati e pubblici al momento della sottoscrizione delle concessioni, sia nel sistema stradale che in quello aeroportuale e portuale, che in quello ferroviario. Anche qui Tremonti parla di cifre strabilianti. Ma anche queste non dovrebbero uscire dal bilancio statale ma da sovvenzioni dell’Unione europea. Il quadro è fumoso e imbrogliato. Quello che si vede per certo è che l'aggiustamento del rapporto tra il debito e il Pil e quello del rapporto deficit-Pil, sia pure nelle misure più abbondanti consentite dall’unione europea, avviene, nel bilancio dello Stato del 2009, attraverso riduzioni della spesa in conto capitale, soprattutto della spesa di cassa, che è quella che conta al fine della immediata cantierabilità degli investimenti.

Questi sono i fatti e i fatti hanno la testa dura. Tiriamo giù Tremonti dalla testa tra le nuvole delle sue filosofie e portiamolo a confrontarsi con la crisi e con i suoi effetti disastrosi sulla occupazione e sui redditi.

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