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LA PRAGMATICA COMUNICATIVA

La parola ha più potere di conoscenza, in quanto è strumento di scambio e di attenta descrizione dei fatti, degli eventi, dei comportamenti. Quando la grammatica comunicativa si riempie di termini, di accezioni, di parole e vocaboli, si crea conoscenza, sapere, descrizione dettagliata degli eventi, allontanando così le forme di interpretazione che sfociano nelle manie patologiche del XX secolo. Se non conosco l’altro, devo sapere come è, in quanto l’area della conflittualità è sempre dimensione di non conoscenza. Nella pragmatica della comunicazione umana Watzlavick indica nel sillogismo “io penso che tu pensi” una necessità di interpretazione relazionale, a livello di rapporti umani, che spesso sfocia nella patologia, nelle posizioni indefinite, nelle dimensioni aperte dei perché, nel non detto. Occorre lasciare uno spazio all’identificazione per evitare il conflitto, assumendosi le proprie responsabilità. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e di relazione che qualifica lo stesso sfociando nella metacomunicazione. Nella comunicazione i soggetti si definiscono e questo può suscitare nell’interlocutore la reazione di conferma, il più grande fattore che garantisce lo sviluppo e la stabilità mentale oppure il rifiuto e la disconferma. Da queste ultime due reazioni insorgono le modalità interpretative, ossia schemi mentali di difesa che portano alla paranoia, nella presa di posizione, spesso violenta che si conclude con il conflitto, in cui si permane a lungo, si sosta, in un’impasse di esasperazioni. Tutto ciò che gravita intorno ad interessi, ad ambiti, a scelte crea giudizio, spesso principio di conflitto, forse relativo ad un bisogno, ad un’attesa, ad un’aspettativa che suscitano la dimensione interpretativa e paranoica che fossilizza su posizioni inoppugnabili, ma che spesso costituiscono un ambito di comunicazione a livello cognitivo. Per dipanare il conflitto risulta utile una raccolta di informazioni sulla realtà con la capacità di rilevare informazioni dai comportamenti, ossia la mimesis, limitazione della natura del reale come sosteneva Aristotele. Con la descrizione il più dettagliata possibile degli eventi si chiarifica la struttura della sequenza degli interscambi fattuali e si può giungere alla definizione e delineazione delle dinamiche conflittuali per poi condurre ad una con sensualità fra le parti (dal latino cum-sensum) che potranno decidere di andare nella stessa direzione, pur mantenendo una loro opinione, una posizione, nel rispetto delle diversità e differenze. Dunque non è necessario risolvere il conflitto tramite la pattualità mediatrice e metabletica, ossia la dimensione di cambiamento che permette di modificare la propria idea, di giungere ad un compromesso, trasformandosi, ma si considera il senso, la direzione, la direttiva delle parti verso un punto di accordo, di concordia verso una dimensione ritenuta giusta, equa, consensuale, da entrambe o più parti in causa. Certe configurazioni relazionali sono più ripetitive e probabili secondo un processo stocastico dovuto al caso e inerenti ad una catena di simboli ed eventi. Secondo la teoria dell’informazione i processi stocastici mostrano ridondanze pragmatiche sul comportamento da cui percepiamo incoerenze. Infatti siamo in costante comunicazione, ma non riusciamo mai a comunicare sulla comunicazione, perché la metacognizione e la metacomunicazione ci permettono di ragionare sulle posizioni e le opinioni dell’altro, del diverso da me, infrangendo ogni rischio di ridondanza e di fenomeno interpretativo. Nella comunicazione umana sussistono sequenze di mosse governate da regole su cui si può comunicare e asserire, ossia metacomunicare. Nel calcolo della pragmatica della comunicazione umana le regole sono osservate nella comunicazione efficace e violate nella comunicazione disturbata o psicopatologica. Secondo Birdwistell un individuo non produce comunicazione, ma vi partecipa. Questo suggella il concetto dell’impossibilità di non comunicare e quindi, secondo Habermas, dell’inevitabilità del conflitto, nella congerie della complessità umana portatrice di miriadi di differenze e diversità, di alterità e solidarietà, di bontà o esacerbato rancore di amore. Dunque il veicolo dell’interazione è la comunicazione, ma l’uomo non è solo animale sociale. La comunicazione e quindi la conflittualità, quale forma di interazione nell’esistenza, sono concetti inseparabili. La realtà è come la facciamo essere. Il modo di essere al mondo è il risultato della scelta dell’uomo stesso, del significato che il soggetto attribuisce all’esistenza oltre l’oggettiva comprensione umana. Secondo Nietzsche chi ha un perché per vivere sopporta meglio come vivere. L’individuo non può vivere senza metacomunicazione in quanto necessita di attribuire senso e significato alla realtà e alla vita (Bruner). Non può vivere nell’universo assurdo della schizofrenia, nell’assenza di significato, nell’orrore del nulla esistenziale. Sé l’esistenza perde significato origina angoscia e depressione. L’attribuzione di senso e significato è possibile solo a livello di intuizione ed empatia. Il paradosso ultimo dell’esistenza: l’uomo è soggetto e oggetto della sua ricerca al fine di comprendere il senso ed il significato della propria esistenza. Tutto questo ha avuto un tentativo di formalizzazione nel Tractatus di Wittengstein: “mondo e vita sono una sola cosa: io sono il mondo”. Dunque la realtà è consensuale. Il primo assioma di Watzlavick indica che non si può non comunicare e che dunque la comunicazione è alla base della relazione e della sequenza continua di scambi ed eventi che costituisce una punteggiatura pragmatica di relazioni e di contenuto. Spesso questi ultimi due aspetti si confondono in una comunicazione disturbata o patologica e il disaccordo, il conflitto si manifestano a livello di contenuto oggettivabile e di relazione e metacomunicazione (io penso che tu pensi). Nella comunicazione gli individui si definiscono, si costruiscono un’identità attraverso l’interazione con l’altro e con l’alterità nella sua complessità. Se non si risolvono le discrepanze all’interno della punteggiatura di sequenze della comunicazione, l’interazione diviene vicolo cieco con reciproche accuse di follia e cattiveria, in quanto l’altro non ha lo stesso grado di informazione e non può trarre dalle stesse le medesime conclusioni. La comunicazione patologica è un circolo vizioso e si interrompe solo quando i comunicanti sono in grado di metacomunicare. Infatti alla radice dei conflitti di punteggiatura vi è la convinzione che esiste solo una realtà, ossia il mondo come lo vedo io. Nella circolarità dei comportamenti risulta impossibile stabilire la dinamica di causa/effetto. L’individuo crede di reagire con il suo comportamento in una circolarità relazionale e non di provocare lui stesso una comunicazione patologica o disturbata, ossia una situazione conflittuale. Nella punteggiatura di eventi comportamentali si giunge ad una “profezia che si autodetermina”, ossia nell’ambito comunicativo si ritiene la cosa per scontata, per cui l’individuo crede di reagire ad atteggiamenti e non di essere lui stesso a provocarli, come nelle dinamiche di antipatia.

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