L’idea di giardino nell’immaginario collettivo come valore culturale

Risvolti di riflessioni umanistiche, antropologiche, ambientaliste e storiche:“Il sogno del giardino”

In un’interpretazione fortemente antihegeliana “Il sogno del giardino” è la dimensione apollinea in cui si rispecchia la possibilità utopica della nostra vita collettiva, di una società potenzialmente più giusta e serena. Evidentemente il giardino che nell’immaginario ancestrale corrisponde all’interpretazione del mondo vissuto come nei tempi lontani, arcaici, remoti, non esiste attualmente come apportatore di speranza esistenziale residua, che auspichi nelle società contemporanee di cultura occidentale e non, e tra i popoli postmoderni una convivenza non tanto giusta e pacifica, ma corretta, priva di abusi ed atrocità. “Il sogno del giardino” è l’utopia per cui venga abolita la guerra continua “interna ed esterna”in cui viviamo nella complessa epoca postindustriale, è una fantasia razionale che non dimentica il duro rapporto con la realtà, una razionalità resa meravigliosa, lieve da una fantasia non chimerica ed arbitraria che diviene parabola ed allegoria della possibilità di un mondo fraterno di liberi ed uguali, nel rispetto di altre diversità, “perchè crediamo nel valore educativo dell’utopia, contrapposta alla rigida conservazione, come passaggio obbligato dall’accettazione passiva del mondo alla capacità di criticarlo, all’impegno di trasformarlo” . Il giardino è l’utopia che risulta tradita, mistificata e falsata dall’uso più recente ed improprio dell’elemento naturale plasmato dall’artificio, dalla techne in determinate scelte impositive, mistificanti, condizionanti, che rendono difficile il lavoro degli urbanisti nella complessa società protagonista degli eventi epocali, fautrice dell’evoluzione storica postmoderna. Come è possibile giudicare od inventare la città oggi che viene vanificata in processi e dinamiche progettuali di pura mistificazione, dove l’elemento culturale non consiste più in un riferimento, tangibile, visivo, come manifestazione delle evoluzioni della storia, del relazionarsi degli eventi in tempi remoti, nella trasmissione e conservazione degli elementi ambientali e dei beni culturali, andando oltre l'utopia, tramite il concetto di recupero dell’ideale “giardino”, che diviene nell’immaginario dei popoli condizione essenziale per ristabilire l’antico accordo tra uomo e natura? Progetto utopico e simbolica promessa di rinascita nel recupero del rapporto autentico, organico con la terrestrità, il senso della grande madre terra, ormai, attualmente, da tutelare, difendere, valorizzare nel recupero dell’esistente, nell’attenzione per il rispetto ambientale del pensiero ecologista, delle migliori e ponderate strategie urbanistiche che ristabiliscano i legami, le relazioni dell’uomo con la Terra, l’origine, come valore esistenziale, tramite il senso e sentimento di una geograficità originaria.
Il giardino come immaginario storico delle origini. Dal periodo arcaico alla modernità.
Nella civiltà, negli usi, costumi, canti, feste e rituali, e globalmente nell’immaginario delle “popolazioni altre” non appartenenti alla nostra cultura prettamente occidentale, la foresta, il bosco sono luoghi di vuoto, pieno di potenza, in quanto contenitori di tutti “i possibili”, le potenzialità da volgere in atto, fondando il cardine dell’essere. Non siamo più connessi alla madre, alla matrice originaria del tutto potenziale, privi di riferimento con l’origine, la natura, l’ambiente, il creato, di conseguenza interpretiamo ed intraprendiamo la fusis, il selvaggio, l’esotico per evasioni, fughe, dimenticanze, finzioni, così si annoda un rovesciamento/ribaltamento da tutto il possibile (il bosco) al nulla dell’artificio, dinamica che rientra nel percorso consapevole, ma irrefrenabile di una situazione collettiva attuale. La critica nel presentare la storia e l'evoluzione dell'idea di giardino è profonda. L'esigenza contemporanea, attuale di risacralizzazione ricrea l'ambiente utopico e archetipo del bosco ed insegue, nel miraggio della foresta vergine, i percorsi dell'anima. Ma questa società verso chi vuole proteggere la natura se non verso se stessa? Inoltre anche le riserve naturali costituiscono una sorta di risarcimento, un ignobile pretesto, una licenza illecita alla distruzione delle zone non protette. La parola cultura, strettamente legata alla nozione di coltivazione (colere), con le caratteristiche di non essere cultura dell’utile, ma dimensione particolare del giardino, prima Hortus, luogo delle primizie, diventa subito anche giardino dell’estetica, della dimensione formale della cultura. Il giardino dell’arte miscela lo spazio fisico, l’esterno, con la domus, l’interno, in un intimo intreccio tra vita e cultura, in cui si posizionano, entrando in relazione, le esperienze, i racconti di rimandi narrativi ed assumono significato di tradizione, nel rapporto tra civiltà e sacralità, tra saggezza materiale ed immaginario.
Il paesaggio fantastico, simbolico, rituale, leggendario, arcano della reverie, di reminescenze remote e memorie passate, storiche, collettive o personali, quindi luogo mitico, magico, sacro, ormai avulso dalla mera esperienza, ma retaggio di un passato da custodire nel ricordo commemorativo della rimembranza, si sovrappone allo spazio/ambiente reale, concreto, moltiplicandolo, in intrecci e trame incestuose di rimandi subitanei, istantanei di elementi tradizionali, culturali, antropici, diventando così un insieme fantastico, in continua evoluzione nell’interiorità creativa, non un tutto omnicomprensivo esterno, esteriore tipico di certe fantasie stereotipate in un altrove estraneo, che non ci appartiene, ma diviene recupero e riappropriazione del personale ed individuale immaginario, unico perché personale, originale, irripetibile, non riproducibile in clonazioni di sorta, dove si intreccia la sacralità, in rimandi esperienziali di vissuti significativi, fondanti di narrazioni con valori intrinseci, legati all’unicità dell’interiorità individuale. Nelle piante sacre, fortemente simboliche, presenti nella storia, nella mitologia, nell’immaginario leggendario collettivo, che fanno parte profondamente e visceralmente del bagaglio culturale dell’umanità, come il Grande Albero Cosmico, nel suo movimento di discesa e salita verso l’Eden, il Paradiso Perduto dell’età dell’oro, si intravede l’intricata trama vegetale, che impernia la nostra cultura e travalica, sfronda i muri, i perimetri del giardino, svelando senso e significato mnestico, intellettivo, esistenziale, imprescindibile, in quanto intreccio dell’immaginario, proponendo una modalità teoretica, contemplativa nello sguardo della relazione, come impossibilità di cogliere ogni elemento indipendentemente dal rapporto con l’altro da sé. La trama intrecciata, intricata, incestuosa di rimandi istantanei, subitanei, l’intreccio moltiplicatore di concreto, fantastico, onirico risulta fattore di disvelamento culturale delle coscienze, nell’evoluzione storica e parallelamente mitologica e leggendaria dell’immaginario collettivo, nell’evoluzione degli eventi, dei tempi, delle civiltà. La trama vegetale, nell’apoteosi floreale, partendo dal giardino, quintessenza concettualizzata di paesaggio, dove le concezioni estetiche si intrecciano a polimorfe percezioni etiche, filosofiche , politiche, permette la scoperta delle civiltà, delle culture d’influenza susseguitesi nei tempi, assimilate, conglobate in processi osmotici dagli spazi artificiali, suggerendo, suscitando sguardi di relazione, come impostazione di dinamiche teoretiche, contemplative, nel processo di apprendimento che permette di leggere, interpretare, scandagliare le relazioni tra elementi, che diventano patrimonio culturale di esperienze, vissuti nel ricordo, nella narrazione di sé in rapporto all’ambiente, alla creazione circostante esterna al sé ontologico. L’anima apollinea del sogno, dell’utopia, l’elemento vegetale diventa l’ambiente di vissuti, in cui esistiamo, che può essere rivisitato, ristrutturato attraverso la mente razionale, ermeneutica, interpretativa delle relazioni tra elementi attraverso la contemplazione estetica, teoretica, estatica nella sospensione riflessiva, in evidenti fenomenologie di rivelazioni in arcane essenze di elementi narrativi colti da intuizioni feraci, istintive.
L’ambiente può essere selvatico, costituendo lo spazio ipotetico, potenziale dell’eventuale conquista del domani futuro, diventando spazio di addomesticazione, di azzeramento, per cui il paesaggio dichiara la resa, la rassegnazione nei confronti del rapporto di potere dell’uomo sul territorio, presentando l’utopia, l’ipotesi che si possano imparare ed instaurare relazioni di convivenza amicale con il paesaggio stesso in una dimensione, forse utopica, di piena realizzazione vitale del sé.
L’etnobotanica individua domande e problemi circa l’inserimento dell’uomo nell’ambiente, riconoscendolo e rinominandolo, scoprendo così il significato culturale originario ed economico del territorio. Quindi attorno all’ambiente/paesaggio, al giardino si costituisce un alone misterico, una dimensione utopica. Infatti il giardino è una fonte di svariate, multiformi tradizioni orali e scritte tramandate in mitologie cosmogoniche di creazioni universali del principio, del cosmos, rimiscelato, scaturito dal disordine primordiale dal caos primigenio, che rimandano ad un intreccio ibrido di culture, di testi scritti, di leggende popolari, di tradizioni etniche, racconti dell’immaginario personale e collettivo, di fonti naturali, viventi, tangibili, pietrificate, di acque, di rocce, di sorgivi, ruscelli immersi nel verde, per cui risulta una dimensione impossibile da riassumere e sviscerare completamente. Elémire Zolla dedica spazio nel libro “I luoghi dell’aura”, agli ambienti che possiedono un genius loci, un’aura spirituale, sacrale, come i giardini, luoghi sacri, sacelli di potenza e potenzialità intrinseche, di profondo e viscerale spirito, carisma, che vanno interrogati, letti, interpretati…accompagnando l’individuo nel suo evolutivo percorso storico, esponendo l’aspetto più intimo spirituale del suo esistere ed essere al mondo, nel valore significante di appartenenza alla terra madre origine comune, domanda cardine e risposta ultima dell’errare incessante dell’uomo, come riminescenza antica di una perduta età dell’oro, di una vagheggiata perfezione remota, arcana…
La perdita del territorio e l’alienazione del soggetto. La didattica del giardino-territorio: mediatore di relazioni tra individui.
La rivoluzione industriale annulla la distanza tra città e campagna, avviando la perdita, la scomparsa del paesaggio naturale, fisico, e, di conseguenza, l’annientamento del valore autentico del giardino e della capacità stessa di leggerne i segni, i simboli, i richiami, le metafore, le allegorie, le alchimie…
Il ‘900 annulla il giardino e lo ricrea a suo modo, delineando un lavoro sul paesaggio antropico, costruito dall’artificio, per cui, attualmente, non risulta ormai possibile collegare il giardino con l’arte del paesaggio, vedendolo come disse Benjamin, chiuso come una stanza ed aperto come il mondo, nell’epoca della riproduzione tecnica su larga scala, ricostruendo e vagheggiando in esso la formalità dell’armonia, della bellezza, poiché non ispira più come corpo vivente inserito nel tessuto territoriale, ma risulta meramente una struttura formale, disancorata, avulsa dal contesto ambientale originario, non costituisce ormai un punto di ricognizione peculiare relativo alle problematiche della territorialità. Esistono collegamenti, nessi, rapporti stretti, relazioni tra i giardini dei morti, dell’Ade, dell’oltretomba, come ambienti d’oasi, di rimembranza nel richiamo profondo con l’arte totale di costruire il territorio e suscitare, ripristinare la celeste corrispondenza d’amorosi sensi, con i trapassati nell’ultraterreno, così considerando il sogno della terra e del paesaggio in tutte le sue forme ed i suoi percorsi, si mantiene il riferimento tra cultura materiale e spirituale, con il grande immaginario archetipico, senza disarticolare il giardino dall’idea ancestrale originaria di matrice, come moltiplicazione all’infinito dell’immaginario mitologico, leggendario, narrazione fantastica ed interpretazione del territorio, con i suoi fenomeni naturali e soprannaturali, che si esprime in modo multiforme, proteiforme, camaleontico interagendo tra forme di giardino pensato, premeditato, rappresentato attraverso l’arte o realmente costruito, architettato, inserito in giochi di rimandi non scindibili dal tutto, ma miscelabili, amalgamabili. Nel momento in cui l’identità soggettiva della città vacilla per mancanza di senso di comunità, di cui si è persa ogni sorta di valore, i nuovi giardini tentano di ricostruire un’immagine urbanistica attraverso l’arte della costruzione e la reimpostazione dello spazio/ambiente a misura d’uomo, all’interno di un ambito di riedizione, riproposizione del naturale, con cui ricollegare intimamente rapporti, esperienze, vissuti, dove vedere e vivere acque, piante, sorgivi, rocce, a volte animali, con cui nella quotidianità non si sviluppano relazioni esistenziali strette, così tramite l’arte di ricostruzione dello spazio/tempo perduto, impostando nuove esperienze con esso, riallacciandovi ricordi e legami emotivi, affettivi, nel recupero di vissuti, di eventi, tramite la rievocazione spontanea che l’elemento naturale suscita.
Il giardino carnale, sensuale, sensuoso perché interattore intrapsichico, inventore territoriale straordinario, luogo, non-luogo, della psiche, utopia della fusis, spazio fisico del naturale, quanto della techne, dell’arte, tecnica dell’artificiale, in quanto modalità interpretativa, ermeneutica di riflessioni relative all’esistente, al mondo esterno, attraverso il processo dell’artificializzazione e tramite i nessi con il paesaggio come arte territoriale globale, antropica, tipica tipologia creativa dell’essere umano in varie etnie, diversi luoghi e differenti fattori spazio/temporali. Il giardino diventa costruttore di alterità ed altruità reciproche, vicendevoli, interagenti, interattive nello spazio, ideatore, inventore di nuove identità e di plurime esperienze dell’altrove, in ampie aperture prospettiche di pensiero verso il proprio interiore paesaggio straniero, spesso abitato da disagi e sofferenze, nella sospensione del tempo, in costruzioni diacroniche, di interiori anamnesi ed autoscopie, in commistioni sincroniche di territorialità immaginarie, come se inventasse spazio e tempo altro dalla realtà. Mentre può immergere profondamente, a livello carnale, viscerale, sensuoso nella territorialità e terrestrità, allo stesso tempo risulta straordinario creatore di diverse, ibride, promiscue alterità, di altrove infiniti, divergenti, in fantasiosi sincretismi culturali, perché il giardino diventa topos in cui rappresentare, creare, ripristinare un mondo ideale, utopico edonistico, del piacere sensuale, il Paradiso perduto, dell'età dell'oro, nei retrofondi dell'Eden carnale, sensuoso, sublime di essenze naturali, esotiche, evanescenti in giochi egoici di illusioni di chiari e scuri, di luci, umori ed ombre, in tutte le tonalità cromatiche, liriche, che come luogo costruito in determinati spazi territoriali, si trasforma in inventore, prestigiatore teatrale, narratore polifono, in allettanti lirismi, all’interno di palcoscenici scenografici proteiformi, camaleontici che non terminano mai racconti, epopee, liriche, rapsodie, rappresentazioni simboliche, fasti e tragedie, narrazioni e canti, feste, giochi, non è mai chiuso, pur essendo recinto, il giardino è un cantore, cantastorie all’infinito e creatore di rimandi di altre e molteplici narrazioni, fili sottili di trame intricate in labirinti sinuosi di pensieri e ricordi che ricollegano i differenti immaginari nel pluriverso delle identità, delle tipologie intrasoggettive, in elementi ermetici e fascinazioni incessanti di metamorfosi alchimistiche di allegorie mitologiche, metaforiche…
Il giardino assume importanza come testo storico, filosofico, politico, progetto di innovativi modelli di società, che interagiscono con le utopie, nei tempi antichi e recenti, e diventa agente primario sulla base dell’organizzazione dell’assetto territoriale e, contemporaneamente, grande messa in scena a livello di decisioni e dispute politiche, come luogo e fonte causale di dibattiti e scontri tra diverse posizioni, progettualità, idealità e visioni della società nel suo complesso sistema…
Non solo nel ‘700 il giardino dimostrava la potenza regale, l’altisonanza sociale dei titoli nobiliari dei legittimi detentori, proprietari, ma anche una sottile rappresentazione del potere è implicita al suo interno, come quando si strutturano straordinari e magnifici giardini incantati, contenitori di una territorialità che oramai non esiste più e di merci feticcio, di distrazione, di vacua, evanescente, futile evasione, nel tornaconto di coloro che a questi scopi patteggiano la disponibilità del territorio. Dal’900 si assiste ad un ritorno, appunto, del giardino, caratterizzato dai grandiosi parchi ludici, ricreativi, contenitori anonimi di consumismo imperante, con funzione riparatrice rispetto al degrado circostante della realtà territoriale urbana, all’inquinamento, al dilagare sfrenato, imposto da scelte irrazionali dei piani paesistici, dell’elemento cemento nella metropoli, per cui il parco divertimento diviene oasi salvifica artificiale di verde, ultima sponda riparatrice e soccorritrice al disagio esistenziale dilagante nel sistema urbanistico, con funzioni definite sarcasticamente di “tipo igienico”. Dunque “il giardino del piacere”, che è archetipo dei luoghi come Disneyland, mondi alla rovescia di sospensione del tempo normale nello spaesamento indotto dalla trasgressione, dal riso euforico, irrazionale, irriverente, proiettato nel ludus dell’illusione, nella sospensione dalle regole dello spazio civico quotidiano, di un immaginario manipolato tramite zone incantate vissute come vere, meri scenari effimeri, troppo perfetti per essere narrati, costituisce un fenomeno preoccupante come prototipo di luogo di consumo, di speculazione non solo sul tempo libero dedicato alla ricreazione, rigenerazione del sé, ma sull’uso improprio della territorialità manipolata, resa fittizia, nella distorsione del rapporto con l’individuo. Nei parchi di divertimento si vive un’esperienza anomala, surreale, fittizia, distorta avulsa dalla realtà quotidiana, separata dal presente sperimentabile, in cui l’individuo diventa attore di molteplici, subitanee, improvvise, incessanti, assordanti finzioni, in mondi “altri” privi di rapporto intrinseco, autentico di naturale continuità con la territorialità circostante, patteggiata per la ricostruzione di dimensioni anonime e fittizie, che , come tali hanno scopo di far vivere esperienze evasivo/compensative rispetto alla realtà effettiva, secondo una componente negativa dissociativa, un aspetto distorto della fruizione del giardino ed in esso del puro elemento naturale riproposto e ricostruito creativamente, in paradossi enantiodromici, opposti, contrari, in ambivalenti percezioni di inevitabili tautologie sul senso fondante dell’esistere, circoscritto in vacui e provvisori sillogismi. Il discorso compensativo identifica con rigore i parchi divertimento che non concernono l’idea originaria di giardino come archetipo dell’anima, dell’origine…Nel parco di divertimenti si vive il sogno fittizio, vacuo, effimero l’allucinazione dell’altisonante mondo edonistico del desiderio ricostruito, preimpostato, preconfezionato, che ha perso la naturale profondità dell’anelito al meraviglioso, per l’idea impositiva del consumo di massa che, un tempo, nel periodo postbellico, del boom economico, suscitava ripugnanza, rifrazione snobistica, oggi risulta essersi sofisticato, perché crea gerarchie, riproduce le società, diventa creatore di miti e mitologie moderne, che in parte costituiscono l’immaginario collettivo attuale.
Negli anni ’80 torna un giardino raffinato dal punto di vista del design, dell’arte, come luogo di rifondazione di una comunità ormai vacillante, precaria, grande contenitore di eventi nella promozione, nella narrazione di episodi culturali, nella moltiplicazione di infinite potenzialità in riedizioni e recuperi di connubi vincenti di arte e natura, dove le opere d’arte tornino da protagoniste. Il giardino, in realtà, si presenta sempre più come interutopia, luogo dell’astratto, astrazione fantastica dell’immaginazione creativa che potenzialmente mette in scena identità fittizie, ricostruendole come simulacrali… Il nostro immaginario è molto colonizzato dalla società dei consumi, veicolata dallo strapotere massmediale dal mito allucinatorio dell’effimero, tanto da mettere in discussione, confutare ab imis, l’idea forte di giardino, locus amoenus di incontri amicali, di solitudini condivise e colloquiali, nel profondo rapporto con l’intima anima vegetale ed animale, attraverso giochi di rimandi nell’immaginario, germogliando idee e progettualità future dalla fantasia autopoietica, dalla creatività poliedrica e plurinarrativa del racconto simbolico promotore semantico di relazioni amicali in luoghi utopici di rottura, scissione, a livello ludico, ricreativo, rigenerante, con le convenzioni e gli sterepotipi sociali, per cui la funzione fondamentale dell’idea giardino è far vivere il sogno nell’accezione profonda di dimensione desideriale di stupore di fronte al meraviglioso, all’elemento interiore fantastico, nel senso imprescindibile del ‘900, nel recupero del mondo infantile come risorsa cognitiva, fautrice di sogni, creatrice di fantasie infinite, di desideri abissali, di conoscenza interna ed esterna al sé.
Il giardino si trasforma così in tematica multidisciplinare ed interdisciplinare spendibile e proponibile in labirintici laboratori di riflessioni, pensieri e parole infiniti, perché richiama ambiti didattici e curriculari diversi, come stimolo di momenti progettuali all’interno dello spazio classe e del territorio che lo ospita e che accoglie tutti senza discriminazioni di sorta, al fine di ricostruire percorsi polivalenti di vissuti esperienziali individuali, personali con la natura, il creato, come base fondante di effettiva conoscenza ed esperienza pratica ed autentica con il mondo animale e vegetale, solitamente vissuto, da tutti noi, giovani e adulti, immersi in anonime ed indifferenziate realtà urbane, come luogo e ambito di pura astrazione tramite i sussidi cartacei didattici e non, che i massmedia o la scuola propinano, poiché abbiamo purtroppo smarrito il contatto, l’appartenenza alla natura ed il bagaglio esperienziale, patrimonio culturale, di vissuti collettivi e personali con la fusis, l’ambiente, la creazione circostante, tramite stili cognitivi e metacognitivi che implicano la capacità di tollerare le incertezze, le solitudini, per imparare a stare mentalmente soli, indipendenti, pur insieme agli altri, ascoltando lunghi silenzi interiori rigeneranti…
Il giardino non presenta barriere, discriminazioni, muri interrelazionali, limiti xenofobi, ma è ospitale, accoglie l’altro, le differenze senza negarle, come ricchezza di conoscenza perché concerne la novità, il meraviglioso, il fantastico nel racconto poliedrico, prismatico di immaginari ancestrali tramite ibride serie di rispondenze, sintonie, simboli, profondità spirituali, accomunati dal sentimento del sublime, divenendo immenso segno e retaggio di memorie storiche e collettive, continuando il legame profondo con il paesaggio naturale ed antropico, tramite l’invenzione creativa, l’artificio fantasioso, rinnovando il legame implicito, riedificante, con la territorialità.

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