Il dialogo è fatto anche di ascolto. Non vi sono alternative al dialogo ed alla costruzione di Pace

Perdere un’occasione di riforma condivisa è un po’ come rinunciare alla Pace, come perdere la speranza che in medio oriente possa tornare a prevalere la scelta del dialogo rispetto a quella delle armi, la scelta del dialogo invece della violenza. Ogni volta che in Parlamento vengono meno le opportunità di confronto e dialogo, ogni volta che non riusciamo a pensare – insieme – al futuro del nostro sistema universitario e formativo, o al futuro per il lavoro o per le famiglie oppure per l’economia del Paese, rinunciamo al ruolo della politica, rinunciamo a fare le riforma di sistema, quelle che garantiscono al Paese di progredire, di guardare con serenità a riforme di ampio respiro, condivise, che costituiscano l’ossatura del nostro futuro. La scelta della maggioranza e del Governo è quella dura dello scontro, in Parlamento e nel Paese. Lo abbiamo visto con la finanziaria, con la scuola ed ora con l’Università. Quando prevale la logica dello scontro non vi sono più spazi per il dialogo. Se una maggioranza è convinta delle proprie scelte deve avere il coraggio di confrontarsi in Parlamento. Quando mancano coraggio e capacità di ascolto, quando mancano impegno e visione d’insieme per dare continuità ed organicità alle riforme, si imbocca un percorso che è senza “speranza”. Il 2009 non è iniziato bene: l’Italia appare rinunciataria davanti alla drammatica situazione di Gaza. Rinunciare ad una forte azione per la cessazione delle ostilità e per gli aiuti umanitari alle popolazioni palestinesi significa rinunciare alla Pace. L’unica scelta possibile è la Pace. Da costruire con inesorabile persistenza.
Credo sia evidente come la percezione del significato di dialogo e condivisione – richiamate dal Capo dello Stato come esigenza imprescindibile per le riforme istituzionali e per modificare la Costituzione – sia molto diversa tra maggioranza ed opposizione. La ricerca del dialogo è una necessità della politica, avviene nella costruzione di grandi riforme di sistema – quelle riforme che durano più legislature e che segnano i grandi cambiamenti, come potrebbe avvenire per la riforma della Costituzione in senso federalista, per un nuovo assetto istituzionale, per un Parlamento più funzionale – ed avviene ogni giorno anche in Parlamento, nel confronto, che comunque non viene mai meno, tra maggioranza ed opposizione.
Per le grandi riforme, però, abbiamo bisogno di qualche marcia in più nel dialogo e nelle scelte condivise, non è sufficiente il dialogo quotidiano. Ecco perché il Presidente del Consiglio non può trincerarsi dietro i richiami all’ordinario dialogo parlamentare e continuare a dichiararsi avversario di forme di confronto più avanzate ed articolate.
Questa premessa è fondamentale se si vuole da un lato aprire una fase costruttiva e dall’altro garantire che questa non si trasformi in antiche pratiche consociative: anticorpi indispensabili per far crescere la democrazia in questo Paese.
Il 2009 sarà quindi un anno durissimo. Anche per gli italiani all’estero. I tagli arriveranno ora a destinazione, non più numeri di una finanziaria alla quale ci siamo opposti in tutti i modi, ma diminuzione degli investimenti per la scuola e la cultura, diminuzione della nostra capacità di assistere i più deboli, diminuzione della nostra capacità di offrire servizi.
Le riforme non sono ancora state annunciate dal Governo e dalla maggioranza: un pericoloso vuoto di idee e proposte. Il Partito Democratico ha presentato proposte d’iniziativa parlamentare in tutti i settori – dalla sfera dei diritti sindacali, alla riforma delle carriere professionali dei contrattisti, dalla cittadinanza per riaprire i termini per il riacquisto, alle detrazioni per carichi di famiglia che vanno definitivamente estese ai residenti all’estero con l’esonero ICI, dalla riforma della 153 sulla scuola fino agli istituti di cultura. Saremmo pronti anche a presentare una riforma del Cgie – lungamente discussa anche con lo stesso Consiglio Generale degli Italiani all’estero. Ma avremmo preferito che il Governo, all’atto di un rinvio delle elezioni di Comites e Cgie, previsto dall’articolo 10 del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207 “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti” che prevede il rinnovo entro il 31 dicembre 2010, si fosse presentato con una propria proposta, almeno di contenuto.
Invece, ancora il vuoto.
Siamo pronti a fare la nostra parte per riempire il vuoto. Maggioranza e Governo devono dimostrare di avere un progetto che vada oltre la serie interminabile di tagli.

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