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LA FUNZIONE GRUPPALE

La difficile separazione e la funzione protettiva del gruppo

La cultura psicologica ha spacciato credenze, modelli di cui poi si è dovuto fare ammenda. E’ difficile vendere teorie a persone così impegnate e sofisticate come i genitori se non sono utili ai loro fini e coerenti con i loro compiti, come salvaguardare la relazione di appartenenza e di accudimento. L’esito di tutto questo processo è che una grande maggioranza di trentenni vive ancora in famiglia, la quale ha dunque vinto una grande battaglia: non è decaduta. In passato era verosimile che per potersi realizzare occorreva negare il denaro del padre come significante del suo potere, tagliare il cordone ombelicale con la madre, andare ad affrontare la solitudine e la separatezza per potersi realizzare.
La dimensione del gruppo, che sostituisce la nicchia protettiva familiare, le relazioni orizzontali con i coetanei, la funzione degli amici, sono sempre stati ovviamente le esperienze cruciali dell’adolescenza, sempre caratterizzata per la grande scoperta della dimensione etica dell’amore e dell’amicizia, per ricostruire e rinsaldare vincoli, società parallele al mondo degli adulti, per cui risulta evidente che la vita di gruppo è uno strumento al servizio del percorso evolutivo, un ambito in cui vengono elaborati valori, norme, mode ed ha funzioni consolatorie e liberatorie: la dimensione del gruppo è uno strumento straordinario per la realizzazione del sé. Però è vero che sussiste una qualità di dipendenza dalle relazioni con i coetanei per certi versi preoccupante. I ragazzi sono abituati a chiedere al gruppo di risolvere problemi cruciali che li attanagliano: la noia e la tristezza. E chiedono alla dimensione gruppale di essere interlocutore privilegiato di tale richiesta, di dimostrarsi divertente e consolatoria, inventando soluzioni all’intimo disagio.
L’anima e la storia del gruppo che i ragazzi hanno condiviso inventa azioni con effetti stupefacenti per risolvere la noia e la tristezza, adottando nuovi e trasgressivi comportamenti, azioni, sfide, l’incontro con le “sostanze” e la notte, con tutta una serie di fenomeni preoccupanti legati alla dimensione di dipendenza esagerata dal gruppo per l’impossibilità di dirgli di no.

Il concetto di disagio e i suoi indicatori

Il disagio adolescenziale rappresenta ed interpreta un passaggio di transizione esistenziale verso un processo di autonomia ed un percorso di progressiva emancipazione dalle figure cardine della prima infanzia, non privo di arresti, di stasi, di drammatici regressi e rifiuti di crescita tramite trasgressioni, sconfessioni di norme e criteri precostituiti e confutazioni di punti di vista più o meno imposti ed impositivi. La percezione di inadeguatezza adolescenziale comporta la volontà di superamento dei modelli della fanciullezza, dei suoi affetti, delle sue norme, dei suoi tabù e divieti, ma anche degli agi, cercando, in opposizione, i continua apicali del rischio, della sfida contro qualsiasi tipo di ostacolo. Comunque rimane aperta la questione dell’indagine del disagio sia attraverso le dinamiche dell’attore, sia nelle modalità del sistema, sia nei fattori e negli indicatori dell’ambiente. Anche alla luce del tirocinio che sto conducendo di carattere “riabilitativo” rispetto a un disagio straordinario di cui si conoscono solo in parte le cause, sembra opportuno trattare di tematiche affini. Risulta interessante osservare come l'azione di incentivo alla stima di sé, anche tramite la modalità del conseguimento di risultati positivi a scuola, influenzi anche le dinamiche del gruppo classe (Palmonari) e come subentrino forme di compensazione all’insuccesso scolastico quali lo sport, l’altro sesso, la popolarità, l’aspetto esteriore, ossia incentivi e stimoli di riscatto per la perdita di stima nei confronti dell’ambito didattico, disciplinare e quindi della sfera cognitiva del pensiero, che riflette una forma nota di disagio ordinario. Molti ragazzi compensano le carenze più prettamente didattiche con altri tipi di intelligenza in una volontaria forma di riscatto tramite altre abilità, (ossia “Le intelligenze multiple” di cui tratta Gardner) pur consapevoli dell’esplicitazione palese di un disagio, anche se costruttivo, creativo ed emancipatorio, spesso vivendo un’inadeguatezza ed una labilità comportamentale che, se non risolta o integrata, può sfociare in manifestazioni tipiche di devianza. Quest’ultimo concetto in sociologia non è ancora apertamente trattato, perché può essere fuorviante.
La devianza rappresenta l’esito più drammatico del disagio e risulta sottesa a modelli integrazionisti, conflittualisti, e di interazionismo simbolico.
Il disagio e più marcatamente la devianza costituiscono l’esito non scontato dei processi di adattamento e socializzazione. Quando si formulano ipotesi di percorsi e progetti di integrazione si esamina la questione “disagio”, soprattutto nella relazione tra insegnante e allievo, dalla cui realtà si ricava un concetto empirico di disagio. In una definizione analitica si possono sottolineare alcuni concetti relativi al fenomeno disagio, quali, ad esempio, l’ambiente e le modalità di interazione tra più soggetti, le cui caratteristiche determinano il grado di “malessere, insofferenza e sofferenza nell’ambito esosistemico ed intrapsichico”, secondo un’accezione biopsicosociale, causati dall’appartenenza etnica, da quella religiosa, dalla localizzazione geografica, dall’età, dall’occupazione, dalla collocazione socioeconomica e dai vari retroterra culturali: questi sono gli indicatori base che determinano e definiscono il problema del disagio. Altri fattori determinati nel delinearsi situazioni di disagio consistono nel livello di salute, nel grado di istruzione, nella conoscenza della lingua d’acquisizione e nelle relazioni interpersonali, mentre le cause più diffuse di malessere identitario, vale a dire di inadeguatezza esistenziale e disagio sono costituiti da traumi, da iniziazioni, deprivazioni o privazioni e da perdite. Le conseguenze del disagio consistono in mancanza di affetti, in sofferenza, nel conflitto e nell’insoddisfazione.
Il modello di disagio che si può presentare come spia del malessere diffuso nella società è quello specifico scolastico, che si presenta con sintomatologie eclatanti e conclamate o può presentarsi in sordina privo di sintomi evidenti. Il malessere, l’inadeguatezza, la sofferenza manifestate dalle varie forme di disagio possono essere percepite e condivise sia dall’educatore che dai soggetti portatori di difficoltà esistenziali, spesso a livello cognitivo, comportamentale e psichico, per cui si può ascrivere il fenomeno sia nell’ambito patologico sia nell’alveo della tanto agognata normalità e ricercata maturità.
La riuscita e la dispersione scolastica

Alla luce del tirocinio che sto svolgendo con Francesco, sembra alquanto opportuno considerare i concetti di riuscita e dispersione scolastica, poiché il ragazzo in questione spesso manifesta palesemente perplessità circa il proprio ruolo di studente e dichiara apertamente di volere intraprendere un’attività lavorativa, di qualsiasi tipo, purchè lo tenga lontano dal mondo scolastico. L’educational attainment, ossia il conseguimento di un titolo educativo presenta un carattere “macro”, in quanto rappresenta una misura che descrive tutti coloro che hanno svolto un percorso didattico ed hanno conseguito un titolo, vale a dire il conseguimento educativo. Oltre questo parametro d’indagine sociologica subentra il concetto di successo formativo, ossia l’educational achivement che fornisce dati indicatori quali la difficoltà di monitoraggio della presenza di stranieri e i problemi nel considerare il livello d’età scolastico retrocesso a livelli inferiori, misurato in termini di voto e media scolastica.
L’osservazione dei dati relativi al conseguimento educativo ed al successo formativo permette di quantificare il livello di dispersione scolastica accentuata da vari fattori quali la bocciatura, gli esami di recupero (debiti), le passerelle e quindi l’accentuazione di un percorso formativo irregolare. La dispersione scolastica è un fattore proporzionale allo scarso rendimento scolastico. Il rendimento rappresenta il risultato della capacità di valutare lo studente, il ragazzo, in base alla quantità di risorse impegnate e in rapporto all’obiettivo preposto. Dunque il rendimento che influenza la dispersione scolastica in modo inversamente proporzionale, risulta influenzato da diversi fattori quali le risorse individuali (quoziente intellettivo), risorse caratteriali e la quantità di interessi e rapporti interrelazionali. Fattori importanti nel rendimento sono le risorse contestuali, come le risorse culturali, economiche, sociali ( per esempio la conoscenza e la frequentazione di persone adulte tramite gruppi organizzati in associazioni sportive o culturali e in attività ricreative e creative). Altre risorse menzionabili sono quelle didattiche, di genere ( in quanto l’appartenenza sessuale può pesare a livello di prestazioni e quindi di rendimento), l’età (non discriminante per la buona riuscita scolastica), lo status economico di provenienza e lo status socioculturale (la famiglia d’origine).
Quindi la riuscita scolastica consiste nella fase finale di una serie di fattori che interagiscono tra loro in modo molto coeso, quali lo status d’origine, i significati attribuiti alla frequenza scolastica, l’ambiente e il clima scolastico, le scelte personali, le aspettative per il futuro, l’immagine del proprio avvenire.

Dinamiche relazionali del gruppo classe

Le differenti tipologie di dinamiche di gruppo sono assimilabili ai più comuni modelli di socializzazione: funzionalista, conflittualista e interazionista-comunicativo. “In una visione interazionista dei rapporti sociali, che si fa risalire all’approccio della fenomenologia sociale di A. Schutz e dell’interazionismo simbolico, l’integrazione è soprattutto coordinamento comunicativo in vista dell’intesa. La società non è una struttura di funzionamento né è determinata da leggi storiche sulla base di interessi umani prevalenti, bensì è vista come il prodotto delle interazioni tra i suoi membri” (Cfr M. Colombo). Spesso si riscontrano difficoltà nella comprensione dei rapporti interrelazionali ed intrapersonali assunti dai componenti di una classe scolastica. Per questo motivo è interessante approfondire gli studi e le osservazioni relativi alle dinamiche di gruppo, indagate dallo psicologo Palmonari.
La definizione del concetto di gruppo implica la coesistenza di diversi fattori interagenti, quali le dinamiche relazionali, l’interesse per obiettivi comuni, l’identità, l’interazione. Secondo Merton, il gruppo consiste in un insieme di persone che interagiscono in modo strutturato da modelli e che sentono di appartenere al gruppo stesso, dal momento che sono considerati dagli altri come membri del gruppo.
Sussistono tre dimensioni, tre livelli e tipologie di appartenenza al gruppo, di carattere cognitivo (sapere che si è del gruppo), di tipo emotivo ( senso di identificazione e passione), livello valutativo (un gruppo circoscrive una unità, ma la colloca in un contesto). Tali dimensioni gruppali che appaiono strutturate, coese e solide costituiscono, in realtà, presupposti delle frequentazioni adolescenziali, che invece si manifestano con caratteristiche labili ed aleatorie, perché nel giovane vi è la necessità di cambiare continuamente gruppo per trasformare un’identità in evoluzione. La personalità modale è il carattere maggiormente condiviso dai membri del gruppo, tramite una funzione strumentale, ossia orientata al compito con modalità espressive e volta alla pratica di sé. Le dinamiche gruppali si presentano secondo modalità coesive, di integrazione e distruttive, disintegrative. Possono subentrare anche modalità evolutive, orientate ad un fine, ad uno scopo nobile e creativo, potenzialmente ingeneratrici di dinamiche di individuazione ed autonomia, per far scaturire il super-io del gruppo, vale a dire il concetto di “noità”, l’entità di gruppo. L’espressione gruppale si identifica attraverso diverse funzioni quali la comunicazione verbale o non verbale tra i membri del gruppo e tra gli stessi e l’esterno, la funzione di potere, il controllo e l’influenza, caratteristiche incarnate soprattutto nella leadership che possiede ed esercita le maggiori potenzialità di influenza, guidando il gruppo verso un’azione, uno scopo, una finalità potenzialmente positivi o negativi. All’interno del gruppo si delineano posizioni come la maggioranza che esercita il potere di persuasione, mentre la minoranza può aumentare il livello di scontro anche con il potere di veto. All’interno di una dinamica tra maggioranza e minoranza, se la minoranza si ritira ingenera ostruzionismo, mettendo in ostacolo l’azione. Il gruppo di pari come il gruppo classe presenta una relazione interna al nucleo e continuativa, fondata sulla condivisione di esperienze, di interessi e valori. I gruppi presentano tratti comuni, quali la provenienza sociale, la condizione scolastica, l’aspetto estetico, il linguaggio, le modalità interattive, lo stile comportamentale e le rappresentazioni sociali. Il gruppo classe si distingue per eterogeneità dal gruppo dei pari che è invece omogeneo. “L’esperienza scolastica si può considerare la base reale sulla quale si vengono a strutturare non solo le competenze dei giovani, ma anche gli atteggiamenti verso il futuro, le scelte lavorative, l’integrazione sociale in senso lato” (Cfr M. Colombo).
Nei gruppi di adolescenti sussistono funzioni fondamentali analizzate in particolar modo dagli studiosi Lutte e Coleman, quali lo status simbolico autonomo riconosciuto dal gruppo intero, come per esempio il gioco sessuale. Le discriminazioni sociali esercitano una funzione basilare come lo sviluppo della competenza sociale che stimola la capacità di capire in che modo giostrarsi rispetto alle valutazioni degli altri. Nei gruppi di pari sussistono discriminazioni come il razzismo etnocentrico, in quanto l’eterogeneità spesso spinge e facilita i processi discriminatori, tramite meccanismi gerarchizzanti nel gioco della distanza sociale, in cui le diversità fisiche sono più tollerate delle differenze culturali e sociali.

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