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CENTRO ESTERO

CENTRO ESTERO

È uscito a novembre un quaderno trimestale doppio dell'ADL che propone all'attenzione delle lettrici e dei lettori la tematica del “Centro estero” con un ampio saggio di Stefano Merli, “Il laboratorio socialista de L'Avvenire dei lavoratori”. In esso Merli, storico del socialismo scomparso nel 1994, ricostruisce la vicenda politica del Centro Estero socialista di Zurigo e dell'ADL sotto la direzione siloniana. Il saggio, apparso in un prezioso volume edito da Bettino Craxi nel 1992 per le cure di Giulio Polotti, mette in evidenza i capisaldi teorici elaborati dal Centro Estero di Silone nel 1944-1945 (europeismo, federalismo, socialismo etico) che all'epoca apparvero visonari e rimasero minoritari all'interno della sinistra italiana, ma che oggi si mostrano in tutta la loro lucida lungimiranza. Di seguito anticipiamo qui per le nostre lettrici e i nostri lettori l'editoriale del direttore.

di Andrea Ermano

1. Le cicliche intermittenze organizzative, chiamiamole così, del socialismo in Italia, si possono ascrivere a una ben nota inclinazione del nostro establishment, inclinazione che don Luigi Sturzo – costretto nel 1924 all'esilio – ebbe a battezzare: “clerico-fascismo”. Niente di nuovo sotto il sole: otto secoli prima il gran padre Dante aveva compianto il sangue che “stilla” dal patto di potere cesaro-petrista. E ancora cinquant'anni fa Ernesto Rossi denunciava l'insana alleanza tra “manganello e aspersorio”.
In Italia, e solo in Italia, viene messa in forse l'esistenza stessa di una formazione politica socialista. Solo in Italia si sono verificate, durante il secolo trascorso, le “intermittenze” cui accennavamo. Eppure i socialisti continuano a rappresentare la più antica tradizione politica italiana dall'unità ad oggi, senza soluzione di continuità. In fasi storiche, nelle quali nel nostro Paese è venuta a cessare una visibile presenza del Psi, la continuità organizzativa del socialismo italiano è stata garantita dal Centro estero di Zurigo.
La vicenda del socialismo italiano all'estero è ovviamente segnata dai cicli della storia nazionale. Ricordiamo i sindacalisti scampati alle persecuzioni del generale Bava Beccaris, che nel 1898 prendeva a cannonate il popolo sceso in piazza contro il rincaro del pane. Ricordiamo i giovani del 1915-1918, renitenti al grande macello della Prima guerra mondiale. Non dimentichiamo gli antifascisti evasi dalla galera nazional-mussoliniana. Né dimentichiamo, nel secondo Dopoguerra, le grandi masse dei “cafoni” catapultati dai latifondi dentro l'odiosa xenofobia alemanna.
Il socialismo italiano all'estero è la forma politica assunta da queste e altre ondate migratorie, nel germinale impegno per l'auto-organizzazione operaia, per il mutuo soccorso, per la pace internazionale, per il dialogo tra le culture. Oltre cento anni di storia dell'emigrazione organizzata, nella logica della cittadinanza globale, rappresentano un patrimonio politico inestimabile. Oggi più che mai.

2. Una cesura epocale si sta consumando proprio in questi mesi sotto i nostri occhi increduli, in seguito allo tsunami finanziario che, innescatosi negli Usa, ha investito l'economia mondiale. Le banche abbisognano di danaro pubblico. E gli aiuti statali, già superatissimi, sono nuovamente di moda. I media ci spiegano che è morto il reaganismo.
Ma non era vivo?!
Fino a ieri era vivissimo! Oggi leggiamo però che: “lo scandalo della Enron, il deficit commerciale, le crescenti ineguaglianze all'interno della società americana, la pasticciata occupazione dell'Iraq, la risposta inadeguata al tornado Katrina erano tutti segnali che l'era Reagan sarebbe dovuta finire molto tempo fa”. Parola di Francis Fukuyama, politologo washingtoniano assurto nel 1989 a fama mondiale con un saggio su La fine della storia.
La storia non finì affatto nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino, dove poggiava non soltanto un basamento del potere sovietico, ma evidentemente anche un bel po' di appeal americano.
Per diciannove anni abbiamo considerato molto logico che l'Urss, da Chruscev a Gorbaciov, si sia infine rivelata “non riformabile”. Oggi dovremmo chiederci come mai invece gli Usa, da Bush padre a Bush figlio, non siano riusciti nemmeno ad attenuare le storture, i difetti o gli eccessi più vistosi del liberismo selvaggio.
Già. Washington, nonostante i “segnali” elencati più sopra, è giunta a destabilizzare il mondo anziché riformare la propria economia. Perché? Tutto ciò accade – prosegue Fukuyama – essendo mancato agli Stati Uniti un vero “mutamento politico”. E non s'è avuto perché “le classi operaie – che in Europa votano i partiti di sinistra – in America ondeggiano tra repubblicani e democratici sulla base di temi culturali”.
Posto che in Europa “i partiti di sinistra” cui si fa riferimento sono poi sostanzialmente quelli aderenti al PSE, se ne deduce che le avanguardie intellettuali liberal statunitensi riscoprono la funzione storico-politica di un riformismo saldamente ancorato al movimento operaio. Dunque, ironia delle ironie, la Questione socialista riemerge… in America.
Peccato che nel nostro Paese, mirando a revocare l'approdo nel porto sicuro del socialismo democratico europeo, l'establishment abbia menato il popolo di sinistra dentro all'ennesima eccezione italiana.

3. Il punto più alto dell'elaborazione condotta nel Centro estero di Zurigo si ebbe, sotto la direzione siloniana, nei primi anni Quaranta: “Socialismo, umanismo, federalismo, unità europea sono le parole fondamentali del nostro programma politico” – scriveva Eugenio Colorni su L'Avvenire dei lavoratori il 1° febbraio del 1944. – “Questi valori morali hanno salvato l'antifascismo sotto la dittatura fascista. Questi valori morali dovranno ispirare il costume politico della nostra vita pubblica in regime di libertà”.
Su questa la base ebbe luogo il “passaggio delle consegne” da Zurigo a Roma, cioè dal Centro estero di Silone al Centro interno di Colorni.
Ma pochi giorni prima della liberazione di Roma, il 28 maggio 1944, Eugenio Colorni viene fermato da una pattuglia di militi fascisti della banda Koch. Tenta di fuggire. Raggiunto da tre colpi di pistola e ferito gravemente, il leader socialista viene trasportato all'Ospedale San Giovanni.
Muore il 30 maggio sotto la falsa identità di Franco Tanzi.
Il passaggio delle consegne tra Zurigo e Roma era avvenuto sei settimane prima: “Il 16 aprile del 1944 il Centro di Zurigo viene sciolto: conserva la responsabilità dell'Avvenire e il coordinamento dei socialisti italiani all'estero, come organo della Federazione socialista italiana della Svizzera”, scrive Stefano Merli nello splendido saggio storico che apre e impronta il nostro ultimo quaderno trimestrale.

Morto con Colorni il leader naturale del nuovo socialismo, la transizione tra Zurigo e Roma viene privata dei suoi contenuti ideali più decisivi. Il socialismo etico, umanista ed europeista cede il passo alla sovietizzazione. Una vera tragedia per la vita politica italiana che la leadership del PSI non sia rimasta nelle mani di Colorni! Ma il suo socialismo, sebbene a lungo minoritario, è tutt'altro che sconfitto. Fin qui Stefano Merli.
Ora bisogna porre in risalto che il testo di Merli appare per la prima volta come saggio introduttivo in un volume sulle annate 1944 e 1945 de L'Avvenire dei lavoratori. Giulio Polotti ne cura la riproduzione anastatica: un'opera davvero pregevole. Il reprint esce a Milano nell'anno 1992, cioè nel centenario del PSI, editore l'Istituto Europeo di Studi Sociali, Piazza del Duomo 19, vale a dire Bettino Craxi.
Data, luogo e fautori dell'edizione rendono ineludibile la seguente domanda: si trattò di un altro “passaggio delle consegne”, stavolta tra Centro interno e Centro estero?
Se di un “passaggio delle consegne” si trattò, inscritto nell'intentio operis di quella pubblicazione milanese, esso venne come affidato a un messaggio in bottiglia e al mare incerto.
Di lì a poco seguì un divorzio. I socialisti d'emigrazione, con crescente furore verso lo scenario di corruttela emerso a “Tangentopoli”, deliberarono nel 1993 di separarsi dal partito in Italia, giunto per altro alla vigilia del suo ennesimo scioglimento.

4. Dal pathos di quei primi anni Novanta, che segnarono la fine della Prima Repubblica, sono trascorsi tre lustri. Il capro espiatorio ha subito lo sgozzamento rituale. La corruzione non è cessata. La “partitocrazia” (parola, tra parentesi, di conio siloniano) non ha mollato la presa. La criminalità organizzata ha esteso la propria perversa sovranità su varie regioni. Lo strapotere clericale è tornato, come diceva Stendhal, “minuzioso ed implacabile”.
La razza padrona si è saldata alla razza padana.
E rieccolo, il Gattopardo, in pompa magna, protagonista e dominus della scena politica nazionale.
Sotto i trionfi cinici nella Seconda Repubblica, ormai agonizzante, cresce l'onda neo-razzista.
L'Italia rischia di diventare un paese nel quale la “sinistra” come compagine politicamente organizzata e strutturata potrebbe tout court scomparire.
Ma una “sinistra” che voglia resistere organizzata non può non porsi in una prospettiva umanistica, europeista e cosmopolita. Perciò la lezione del Centro estero rimane valida.

5. Affrontare il grande rimosso, la Questione socialista, ci aiuterebbe ad affrancarci dalla retorica neo-togliattiana del “partito nazionale”: pura estenuazione tattica nel contesto globale in cui viviamo. La sinistra italiana comprenderebbe allora il senso politico non arbitrario dell'opzione sociale, laica ed europea sottesa alla storia e alle prospettive socialiste.
Riconoscere il ruolo dell'economia di mercato o il valore della cultura religiosa non costringe a un duplice e paradossale naufragio, prima sulla Scilla neo-clericale, poi sulla Cariddi neo-liberista, o viceversa. E dialogare con la sinistra statunitense non obbliga a liquidare ogni socialismo e ogni laburismo come reperti antiquari.
Il movimento operaio europeo rappresenta – con i suoi centocinquanta anni di storia e la sua vocazione internazionalista – una risorsa per l'intera umanità nella prospettiva cosmopolita di un governo globale, senza la quale ogni sforzo appare insensato e vano.

6. È l'Europa lo strumento atto per noi ad affrontare le grandi sfide future, imminenti. Pensiamo al surriscaldamento climatico, che può innescare crisi idriche ed alimentari, che possono tendere i moti migratori oltre ogni sostenibilità. Pensiamo alle possibili conseguenze geo-politiche di tutto ciò.
Un governo del mondo è necessario: non un gabinetto di tecnocrati e strateghi, né un direttorio finanziario o chiesastico. Queste logiche di potere e potenza dividono l'umanità e l'avvicinano al disastro. Occorre un governo politico. Perché a materia prima di un governo globale non può venire che da un consenso vastissimo, cioè radicato nei cuori e nelle coscienze della maggior parte dei nostri simili.
Non si vede alcuna via d'avvenire senza una cooperazione di governo cosmopolita fondata sul consenso e la pace.
Ecco, dunque, perché parliamo di Europa, che in tanti decenni di esperienze comuni, ha sviluppato una tecnologia istituzionale preziosa a modellare la governance globale che serve con urgenza.
Noi, però, osiamo parlare anche di Europa socialista, come ai tempi del Centro estero di Silone e del Centro interno di Colorni. Perché una politica di consenso globale non può essere fondata né sul liberismo selvaggio né sull'integralismo religioso, ma solo sui grandi ideali del socialismo democratico e laburista europeo: Giustizia e Libertà.

7. Il socialismo di Colorni e Silone indicava una strada che la sinistra italiana infine ha quasi imboccato. Diciamo “quasi” nel senso che il Pci-Pds-Ds sembrava essersi collocato proprio sul solco ideale di quell'esperienza. Ma poi è arrivato il PD a scompaginare ogni cosa. E ancora non è dato sapere con chiarezza dove il PD intenda collocarsi nel Parlamento di Strasburgo.
Qui si pone il problema del rapporto storico tra dirigenti socialisti e comunisti. Nel nostro Quaderno le posizioni di Merli-Polotti-Craxi (anno 1992) sono fatte seguire non a caso dalle parole di Turati a Livorno (anno 1921). Turati si schiera con “il vile riformismo, il marcio riformismo, per alcuni, il socialismo vero per altri, immortale, invincibile, inesorabile… che crea lentamente ma sicuramente la maturità delle cose e degli animi… Sempre socialtraditori, in un momento, sempre vincitori alla fine”. E si rivolge ai delegati comunisti con queste parole: “compagni avversari, ma non voglio, non debbo dire nemici”, ma lancia infine un suo cieco tributo alla speranza di “una convergenza che dovrà un giorno ricongiungerci tutti quanti in una azione comune”.
Il giudizio della storia è noto a tutti, dopo le inenarrabili peregrinazioni bolsceviche, i processi di Mosca, gli orrori staliniani, i fatti d'Ungheria, i carri armati di Praga, gli scioperi di Danzica e la demolizione del Muro, dopo mille prove, chi di piaggeria, chi di coraggio civile, e dopo anche la fine senza ritorno del bipolarismo Usa-Urss.
La posta in palio era e resta: una sinistra italiana capace di riprendere il proprio posto in Europa, dentro la grande casa madre.
Perciò, rileggendo le posizioni di Merli-Polotti-Craxi non possiamo non interrogarci sui motivi che impedirono al Psi di promuovere una coerente politica unitaria nei riguardi del Pci. Si proclamò l'Unità socialista, financo nel simbolo del partito… ma intanto si rileggeva la storia del Centro estero puntando l'indice contro Nenni e i “fusionisti”. A che pro, dopo il crollo dell'impero sovietico? E perché il Psi si rinserrò nella conservazione, nel pentapartito, nel CAF?
Nell'istante decisivo mancò ai socialisti, tra tante zavorre abusive, un grammo di genuinità garibaldina? O furono i comunisti a non fare i conti con la propria storia, volendo solo tirare a campare? Oppure qualche “manina” influenzò gli uni e gli altri perché quel matrimonio non s'aveva da fare?
Un giorno forse avremo le risposte che cerchiamo.
Per ora ci contentiamo di tener fermo all'eredità di “valori morali dell'antifascismo” che il Centro interno di Colorni e il Centro estero di Silone seppero radicare, non solo a parole, in una prospettiva d'avvenire tuttora ben viva e feconda.

P.S. 29 dicembre: Il 2008 va a concludersi sotto il duplice segno della catastrofe liberista e della vittoria di Obama: una vittoria fondata sui voti dei cittadini americani. Non fu così per il suo predecessore nel 2000, quando la riconta delle schede venne bloccata a scapito di Al Gore, vincitore morale di quella competizione. Insignito poi del Nobel per la Pace 2007, Al Gore ha pronunciato queste parole: “Noi, la specie umana, siamo giunti ad un momento decisivo. È inaudito, e fa perfino ridere, pensare di poter davvero compiere delle scelte in quanto specie, ma è proprio questa la sfida che ci troviamo davanti”. È la sfida nella quale s'inscrive il nostro impegno, per piccolo che sia, di cittadini del mondo e di socialisti di lingua italiana fedeli a un’Idea che non muore.

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