IL PRIMO E L’ULTIMO DELLA CLASSE

Il disagio invisibile
Ciclo di incontri presso la CASA DELLA CULTURA di Milano, in collaborazione con IARD, Il Minotauro, e con il patrocinio dell’Ufficio Scolastico per la Lombardia e la Regione Lombardia

La prima citazione è da “Ex catedra” di Domenico Starnone , in cui si legge all’inizio “nessun insegnante ama davvero, senza riserve, i primi della classe”.
Il ritratto del primo della classe non risulta impositivo, ma rappresenta tutto ciò che non ha l’ultimo della classe. Esiste un testo di Dino Provenzali intitolato “Manuale del professore perfetto” edito nel 1921, in cui si ritrovano in maniera allarmante molti dei problemi aperti attualmente nella scuola. Tutte le volte che vediamo riprodursi i problemi quasi identici non significa che niente cambia, che il mondo è sempre uguale, ma che un tempo vi erano enormi problemi aperti all’origine e che per quanto si sia fatto nel giro di un secolo non si è ancora trovata soluzione. Gli ultimi della classe sono in qualche modo una sintesi dei problemi aperti a livello sociale e scolastico. Il primo della classe è come un problema risolto, una questione che non sussiste più per gli insegnanti, mentre l’ultimo della classe è un fardello di contraddizioni e di interrogativi continuamente irrisolti. L’ultimo della classe rappresenta la prova tangibile che in un gruppo di scolari, il lavoro di un insegnante si scontra sempre con difficoltà onerose. L’area a cui viene rivolta l’attenzione degli insegnanti è quella dei mediocri, che nei consigli di classe viene sommariamente definita e presentata in questi termini “la classe per andare bene, va… c’è un piccolo gruppo che lavora molto, molto bene. C’è un gruppetto che disturba moltissimo e prima ce ne sbarazziamo e meglio è, e al centro c’è una palude di gente che lavora e non lavora, stenta a studiare” però quella “palude” è il gruppo su cui l’insegnante si è impegnato maggiormente, perché sul primo della classe non occorrono interventi, l’ultimo della classe sta quieto e non è un problema, è lì, nella “palude”, che l’insegnante si concentra e sperimenta la fatica e la difficoltà di insegnare. Quando comincia ad avvilirsi, a perdere colpi, allora inizia a dire che sussiste un’area di mediocri: sono le frasi fatte degli insegnanti che non vanno prese come un abbassamento della figura docente, ma segnalano dei problemi. Lì viene indicato che ciò che l’insegnante vorrebbe fare e gli obiettivi prefissati, ogni anno sono falliti. Ogni anno scolastico l’insegnante scopre che la fatica intrapresa e il desiderio di ottenere risultati migliori, sono, in qualche modo, andati al disotto delle aspettative. Proprio in quell’area di mediocri sussiste la realtà della scuola, mentre invece il primo e l’ultimo della classe sono veramente figure per molti aspetti simboliche e rappresentative. Il primo della classe per l’insegnante è un ragazzo che se anche non avesse frequentato sarebbe sempre stato così. L’ultimo della classe è un ragazzo di cui presto l’insegnante si convince che doveva venire a scuola, ma è come se non ci fosse mai stato. “La scuola serve nella sostanza a chi non ne ha bisogno”: è una battuta brutta, cattiva, ma significativa, indica quanto in realtà gli insegnanti per testimoniare un buon lavoro, andando ad indagare sul gruppo di mediocri, scoprono che sicuramente alcuni di loro, magari non tutti, avrebbero dato magnifici risultati anche senza l’ausilio del corpo docente, allora si scopre una situazione avvilente che porta quel meccanismo di frustrazione in cui la realtà scolastica ha imperversato fino ad oggi. Nella letteratura scolastica si ha l’impressione che la scuola sia stata permanentemente in crisi; si avverte che l’insegnante sembra aver vissuto la propria professione sempre come un fallimento. Gli insegnanti scrivono molto sulla scuola nel momento in cui subentrano grandi mutamenti. Nel momento in cui l’istituzione scolastica appare stabile, per esempio, sotto il fascismo, è difficile trovare produzioni letterarie critiche sull’insegnamento e il modo di fare scuola. Appena cominciano i momenti di ebollizione, come il ’68, ma anche per esempio il primo grande passaggio da una scuola elitaria a un progetto di scuola di massa, nei primi anni del 900, si sferra un attacco frontale alla scuola in cambiamento e che sta introducendo gente meritevole di starsene al di fuori. La nuova tendenza strisciante all’interno della realtà scolastica è il presupposto che l’insegnante è libero di professare la lezione e uscire dall’aula, quando ha finito, ma non è mai stato così, perché la scuola pubblica è un’entità complessa, è un progetto molto complicato nato con l’illuminismo e che continua ad andare avanti in una fase in cui l’illuminismo è decaduto. Quindi si assiste ad un “progetto scuola” che avanza, mentre la società intorno oscilla continuamente tra dittature e culti dell’uomo della provvidenza e culture dei massmedia. E’ chiaro che la scuola muovendosi tra queste oscillazioni si trova in crisi permanente.

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